Lazio-Inter: la partita di Peruzzi, il portierone che ha sfidato il fisico

E stasera chi glielo fa il regalo? Sembra quasi tutto apparecchiato: Angelo Peruzzi fa 50, all’Olimpico Lazio e Inter indosseranno il loro abito più bello. Quello d’alta classifica come quando giocava lui. Tra Roma (soprattutto, sette stagioni) e Milano, le sue ultime due squadre prima di ritirarsi nel 2007 e diventare club manager biancoceleste.

Bisognerà aspettare l’addio di Buffon per rivedere un portiere del suo livello lasciare il nostro calcio. Perché Peruzzi ha vinto tutto. Anche più di Gigi, di cui è stato secondo in quella Germania dorata nel 2006. Quello con le nazionali dieci anni dopo il Mondiale per club, più Champions, Supercoppa e Coppa Uefa. Poker ossessionante, di questi tempi, in casa Juve. Oltre a un tris di vittorie nella Serie A più bella di sempre.

Un altro Tyson coi guantoni

Pensare che su quel ragazzone viterbese sembravano puntare in pochi. Troppo grosso, dicevano: in porta non ci puoi mettere un cubo. 1 e 81 per quasi 90 chili. Dimostrerà di sì: tecnica e riflessi sono quelli dei grandi, la stazza li andrà a impreziosire. Diventa potenza, esplosività. Tyson e Cinghialone sono i due soprannomi che con simpatia e un po’ di timore reverenziale (andateci voi, a sbattere in uscita) hanno segnato la carriera di Angelo.

Sempre da Roma era partito, lato giallorosso e con l’incoscienza della gioventù: risulta positivo a un antidolorifico vietato e una delle prime stagioni della carriera la dovrà scontare per doping. “La peggior sciocchezza che abbia fatto nel calcio”, dichiarerà col senno di poi. I fatti saranno dalla sua parte. In campo è un leader e un treno: nel 1991 arriva alla Juventus del Trapattoni bis e in una delle prime partite, contro l’Inter, gioca e vince con il naso rotto senza battere ciglio. Fuori, mai sopra le righe. Nel mito di Zoff, di cui si apprestava a raccogliere l’eredità storica in bianconero.

Seguendo Lippi, fino a Berlino

Sono gli anni del duopolio Juve-Milan: all’estremo di Del Piero, in porta, c’è sempre lui. Anche in quella notte magica contro l’Ajax, quando vola incontro ai rigori di Davids e Silooy, in cima all’Europa. Che diventerà amara, sempre in quel ’96, con la maglia dell’Italia. L’unico torneo da titolare in Nazionale, stretto prima da Pagliuca e poi da Buffon.

Sembra una love-story che non decolla, quella con l’azzurro. Ci vuole una punta di nero, per cambiare tutto: nel 1999 Peruzzi lascia Torino e segue Lippi all’Inter. La squadra passerà dalla delusione (quarto posto) al dramma Ronaldo, ma 'Tyson' sarà il miglior portiere del campionato. L’Italia chiama, verso Euro 2000. Zoff (proprio l’idolo d’infanzia) però lo avverte: Sarai il terzo, dietro a Buffon e a Toldo. A queste condizioni lui non ci sta. In Belgio e Olanda ci volerà Abbiati, ma poi il numero uno del Parma si infortuna proprio a ridosso del torneo.

E quella pizza inghiottita intera...

Il classico treno che non ripassa più: sarà l’Europeo di Toldo, ma chissà. “Forse avrei giocato io, mi ha rivelato più avanti il ct”. A 30 anni, tempo scaduto. Anzi no. Arriva la chiamata della Lazio: gli anni difficili del post scudetto, nell’incertezza del crac Angelo diventa una bandiera. E in campo continua a garantire.

Così quando Lippi lo chiama nel 2006, stavolta Peruzzi dice sì. Nemmeno un minuto (non ne farà più con l’Italia) ma la vittoria più bella doveva ancora arrivare. Lui c’è, soprattutto in spogliatoio: entra nella leggenda la pizza mangiata in un sol boccone dopo aver scommesso con Totti. “Pareva un’anaconda”, il 'Cinghialone' che teneva su i ragazzi di Berlino. Quel Mondiale passa anche da lui. Dall’Olympiastadion all’Olimpico. Il nome è sempre quello, a 50 anni ancora una volta.

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