Venezia, cronaca di una retrocessione annunciata
“Ecco, adesso è finita sul serio”. La festa granata è lontanissima sullo sfondo. Regna il silenzio, nel resto del Penzo. Le lacrime dei ragazzi di casa in mezzo al campo, gli applausi timidi e dignitosi che partono dagli spalti. Dalla Salernitana alla Salernitana (era stato sempre contro il club di Lotito, il debutto nell’agosto 2017 dopo 12 anni di serie minori), il Venezia saluta la Serie B dopo due sole stagioni. Quella del sogno e quella dell’incubo. Dalla semifinale playoff raggiunta con Inzaghi ai ‘playout dell’assurdo’ che hanno condannato la squadra di Cosmi ai rigori.
Nel mezzo, sembra passata una vita. Un’agonia. Tre allenatori in nove mesi (Vecchi, Zenga, Cosmi), una rosa ‘volante’ (con 11 giocatori in prestito più altri 7 in scadenza di contratto) e dagli evidenti limiti tecnici. Il mese scorso ne aveva fatto le spese il ds Angeloni, più una scossa all’ambiente che una contromisura effettiva. Gli sforzi economici per portare il Venezia dalla D alla B in due anni erano stati tanti: per il club di Tacopina, questa doveva essere la stagione del risparmio e del controllo della categoria. Si è presto rivelato un gioco pericoloso.
Eppure, un mese fa gli arancioneroverdi sembravano pronti per un finale diverso. La pazza rimonta di Carpi aveva portato in dote dei playout a quel punto insperati (come cambiano in un batter d’occhio, le prospettive…). C’era fiducia, voglia di farcela, attorno ai ragazzi di Cosmi. Poi si è scatenata la giustizia sportiva: Palermo in C e Venezia salvo, anzi no, spareggio contro la Salernitana. Tre settimane più tardi.
Shock fisico e mentale. “L’unica società veramente penalizzata da questa vicenda è il Venezia, che si è sempre comportato secondo le regole”, ha alzato la voce la dirigenza arancioneroverde dopo la sentenza della Corte d’Appello. E Cosmi non è stato da meno. “Gli organi competenti ci avevano assicurato di non dover giocare. Come avremmo potuto allenarci normalmente? Alcuni ragazzi avevano già svuotato gli armadietti”.
In vacanza, il Venezia però non ci è andato. A Salerno come al Penzo si è vista infatti una squadra generosa e capace di rimettere in piedi il discorso salvezza, pareggiando il totale fino a sfiorare il colpo del ko a più riprese. “Chi voleva il sangue l’ha avuto. Questi ragazzi hanno sorpreso anche me”, ha confessato l’allenatore nel postpartita. Domizzi e compagni hanno prolungato la loro stagione dove di più non si poteva, fino ai rigori che hanno fermato il tempo nella calda serata del Penzo. Ad un’annata così storta non poteva mancare l’atroce beffa finale.
Ma ci sono storie, all'interno di questa storia, che danno coraggio al calcio veneziano ferito ancora una volta. Come quella di Marco Modolo, capace ieri di segnare un gol non da difensore e di provocare l’espulsione di Minala nell’arco di pochi minuti. L’orgoglio del lagunare doc (lui, che è nato a San Donà): 180 partite in maglia arancioneroverde, sempre presente nell’era Tacopina e ancora in Serie D nel 2009/2010.
Se di doman non c’è certezza, il Venezia ripartirà per l’ennesima volta da lui. E dai tifosi che hanno cantato spontanei (veci, putei, signore) dalle tribune del Penzo. Come se ci fosse stato un testimone da raccogliere: ieri la Curva Sud non era entrata allo stadio in segno di protesta contro la Lega Calcio, nonostante i giocatori avessero chiesto supporto fino alla fine. “Ve-ne-zia, Ve-ne-zia, Ve-ne-zia!”. In qualche modo è arrivato. Surreale ma vero, come questa retrocessione.