Parola alla difesa: Stendardo, da centrale ad avvocato

Pomeriggio di metà febbraio. È inverno, ma a Roma domina il sole e ci sono 18 gradi. Il traffico del centro non impedisce di restare incantati dalla città. “Di Roma mi sono innamorato. È tra le più belle al mondo, e io ho la fortuna di viverci e di lavorarci”. A parlare è Guglielmo Stendardo, ex difensore – tra le tante – di Lazio, Juventus e Atalanta. Uno dei pochi calciatori laureati, che ha scelto la giurisprudenza come seconda vita. D’altronde, sempre di difesa si tratta: “Oggi sono un avvocato che si occupa di assistenza legale a 360 gradi, soprattutto in ambito sportivo” racconta Guglielmo ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com. “Insegno anche diritto dello sport alla Luiss Guido Carli di Roma”.

Dal campo alla scrivania, senza però abbandonare gli scarpini: “Sono anche il capitano della squadra dell’università, costituita da ragazzi che studiano. Questo è un aspetto importante per un percorso formativo: unire sport e studio. Lo si può fare anche ad alti livelli, portando grandi risultati in entrambi gli ambiti. Basta ispirarsi al concetto di Dual-Career dei college americani. La Luiss vuole mandare questo messaggio, e io sono orgoglioso di fare da ‘ambasciatore’ per certi valori”.

Studiare per aiutare gli altri

Ma perché un calciatore, durante la sua carriera, dovrebbe buttarsi sui libri? Insomma… fama, soldi e ragazze non mancano. Per Stendardo, però, c’è qualcosa di più importante: “Quando hai i riflettori puntati addosso non pensi quasi mai al futuro, credi di essere al centro dell’universo. I dati, però, sono inquietanti: a 5 anni dal termine della propria carriera, il 60% degli ex atleti vive in uno stato di povertà. C’è un problema che cerco di far conoscere, bisogna sensibilizzare le istituzioni sportive e le società. L’atleta deve essere messo nelle migliori condizioni non solo quando fa sport, ma anche dopo”.

La situazione, in effetti, è preoccupante: “In Italia ci sono 3 mila professionisti tra Serie A, B e C. I fortunati sono il 10%, ossia quelli che giocano nelle prime 8-10 squadre di A. Solo loro possono investire nel proprio futuro attraverso i propri guadagni. Ma c’è una scarsa educazione finanziaria, e quando la carriera finisce ci si ritrova spesso nei casini”.

Giocatore, ma con il libro sempre dietro

Certo che trovare le motivazioni per studiare, quando giochi in Serie A, non deve essere facile. Ma per Stendardo è stato tutto normale: “Credo di non aver fatto nulla di eccezionale. Ho solo cercato di seguire i consigli dei miei genitori, che mi hanno sempre spronato, e la percezione che la mia carriera un giorno sarebbe finita. Il calciatore è come un lavoro a tempo determinato, un sogno che a circa 35 anni svanisce. A quel punto inizia una nuova e difficile realtà, dove si deve continuare lo studio. Il percorso formativo va però alimentato quando si è giovani, non lo si può fare a 35 anni…”.

Impegno sui libri e saper cogliere le occasioni. Questo il segreto di Guglielmo: “Quando ho smesso di giocare, la Luiss mi ha dato una grande opportunità. Nella vita, come nello sport, sono fondamentali la determinazione, la concentrazione e soprattutto la motivazione. Se non ce l’hai, tutto diventa più difficile. Io mi sono sempre voluto migliorare sia come calciatore sia come uomo. Ogni persona deve guardarsi indietro ed essere fiera di tutta la propria vita. Questo è un messaggio che dovrebbero portare avanti tutte le società. Alla fine della carriera sportiva si è ancora giovani, c’è tanto da dare ai propri figli o alle nuove generazioni. Lo sport è lo specchio della società, e io credo molto in questa rivoluzione culturale”.

Quella partita saltata per diventare avvocato

Le priorità vanno quindi date alle cose essenziali. E, per Stendardo, molto importante è stata l’abilitazione da avvocato. Talmente fondamentale da fargli saltare una partita, l’11 dicembre 2012, quando era all’Atalanta: “In Coppa Italia, contro la Roma”. Ma come, niente bastone tra le ruote da parte della società? “Io credo che nel calcio ci sia una microcultura. I genitori spesso hanno aspettative elevate nei confronti dei figli calciatori, soprattutto se sono a un buon livello, e così si tralasciano studio, formazione e conoscenza. Il calcio è una cosa seria, e io l’ho sempre praticato con passione. Però ha una fine. Le società puntano al risultato economico e sportivo, che è importante, ma attraverso lo sport bisogna anche costruire degli uomini migliori”.

E Guglielmo ha cercato in tutti i modi di diventarlo. Con pazienza, fatica e dedizione. Ma alla fine ne è valsa la pena: “Oggi mi rendo conto ancor più di prima di quanto sia stato importante studiare. Senza un ruolo attivo nel calcio, oggi sarebbe stato tutto diverso. Invece svolgo il mio lavoro con passione, sto con i giovani e nel frattempo mi aggiorno professionalmente. In ogni caso, i titoli non sono tutto nella vita. Contano anche il saper vivere, il rapportarsi. Cultura e conoscenza possono essere raggiunte anche con un percorso proprio: esperienze, viaggi, imparare nuove lingue. Una conoscenza non solo giuridica o medica, ma che preveda una base su cui costruire qualcosa di migliore rispetto al passato”.

Il ricordo di Luciano Gaucci

Prima di essere avvocato, Stendardo però è stato anche calciatore. E una delle sue avventure, tra il 2003 e il 2005, l’ha passata nel Perugia di Luciano Gaucci, scomparso il 1° febbraio scorso: “Un presidente vulcanico. Aveva un carattere particolare, ma era un buono. Ha dato tantissimo al Perugia. Il primo anno ero di loro proprietà ma sono andato in prestito al Catania, poi sono tornato la stagione successiva. Ho dei ricordi positivi, e Luciano era una persona che faceva tutto con passione. Ha raggiunto ottimi risultati con il Perugia, facendo la storia della società”.

La Champions con la Lazio

La parentesi che segna la carriera di Guglielmo, però, è quella alla Lazio. 5 anni complessivi, con i due prestiti a Juventus e Lecce nel mezzo. Una Supercoppa vinta, ma soprattutto la partecipazione alla Champions League, l’ultima giocata fino a oggi dalla Lazio: “Il più bel ricordo è il 2-2 all’Olimpico contro il Real Madrid, dove ho anche fatto un assist a Pandev. Sono momenti indelebili che conservo nella mente e nel cuore. La Lazio è stata l’apice della mia carriera”.

Champions che in casa biancoceleste, visto il fantastico momento, potrebbe tornare nella prossima stagione: “Qualora si qualificasse, la Lazio dovrà e potrà fare bene in Champions. È una squadra forte, costruita bene da tempo. Il vero valore aggiunto è Simone Inzaghi, solo complimenti per lui. E Igli Tare non è da meno, come ds non ha sbagliato quasi nulla negli ultimi anni”.

E per la lotta scudettola Lazio può fare qualsiasi cosa, deve temere solo se stessa. Se gioca al massimo delle possibilità può battere chiunque. Marzo sarà un mese importante per capire quale piega prenderà la stagione, ma penso che Inzaghi sappia tenere sull’attenti tutti i giocatori. Peserà l’assenza di Lulic perché siamo nella parte fondamentale dell’anno, ma di sicuro sapranno rimpiazzarlo”.

Il segreto dell’Atalanta

E se parli di Champions, non può che venirti in mente l’Atalanta. A Bergamo, Stendardo ci ha passato 4 stagioni e mezzo, fino al gennaio 2017. Il tempo giusto per conoscere alla perfezione il vero punto di forza dei nerazzurri: “Lavoro, lavoro e lavoro. Senso del dovere, serietà, professionalità e alchimia tra pubblico, club e squadra. Tutto questo fa emergere una società modello, di cui Percassi è l’emblema. Tengono a posto i conti e fanno anche ottime plusvalenze. Hanno costruito uno stadio stupendo. Poi il settore giovanile è il migliore d’Italia, e rappresenta un modello di riferimento anche in Europa”.

Forse rispetto al passato è cambiato questo: prima i giocatori del settore giovanile erano proprio bergamaschi, prodotti della città. Oggi invece c’è una cultura più internazionale: calciatori come Kulusevski o Kessié ne sono un esempio. Hanno una rete di osservatori non solo nazionale, ma anche mondiale. Complimenti al presidente, che si affida a collaboratori molto competenti. Per quanto riguarda gli ottavi di Champions contro il Valencia, può assolutamente farcela. Se la giocherà a viso aperto e avrà tutte le possibilità di passare il turno”.

La nuova vita, tra presente e futuro

Ieri lo stadio, oggi le aule di tribunale e i banchi dell’università: “In ogni cosa che faccio do sempre il massimo. Ringrazio la Luiss e il professor Lubrano per avermi fatto entrare nella loro famiglia. Sono orgoglioso e voglio fare sempre meglio. È bellissimo lavorare con i giovani, perché rappresentano la speranza di un futuro migliore. E io voglio dare loro tutta la mia esperienza”. È questa la nuova vita di Guglielmo Stendardo. Dal campo alla cattedra, sempre con la stessa determinazione.

A cura di Stefano Renzi

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