Ronaldo il Fenomeno: "Ho fatto di tutto per tornare all'Inter"

Ronaldo si racconta. Il brasiliano fa un tuffo nel passato e dalle colonne di SportWeek ricorda il suo passato da Fenomeno. In particolare, si sofferma sul periodo prima di approdare al Milan, durante il quale aveva un desiderio ben preciso: "Sembra comodo dirlo dopo, ma è solo e soltanto la verità: io volevo tornare all'Inter. Di più: ho fatto di tutto per tornare all'Inter. Ho aspettato tutto il tempo possibile per dare all'Inter il tempo di dirmi sì o no: quando non arriva né un sì né un no, vuol dire che è no. Per il Milan era sì e io in quel momento, più che traditore, mi sentivo un po' tradito per essere stato rifiutato: era una scelta impopolare, ma nella mia vita non ho mai avuto paura di farne.

E oggi - continua Ronaldo - per me non ha nessun senso chiedermi se lo rifarei. Se l'ho fatto è perché in quello momento sentivo era la cosa da fare: né giusta né sbagliata, ce l'avevo in testa e c'era un perché. Berlusconi e soprattutto Galliani mi volevano bene, molto: il rapporto con loro è un ricordo che mi fa sorridere ancora oggi. Il legame si è interrotto ma la stima è rimasta"

Ronaldo rivive anche gli istanti di quel terribile infortunio al ginocchio: "Molte persone in questi anni mi hanno detto: 'Il silenzio di quella sera all'Olimpico, quando sei caduto urlando con il ginocchio in mano, non lo dimenticherò mai'. Io quel silenzio non me lo ricordo, ma il dolore sì. E anche i pensieri del dopo: 'Tornerò? Come tornerò?'. Però, passata la paura, mi sono ritrovato addosso una forza di volontà che non credevo di avere e di poter avere. Un altro uomo prima che un altro giocatore, ma con lo stesso amore per il calcio: è sempre stato quello il mio miglior allenatore, medico, fisioterapista, compagno".

E infine sul 5 maggio 2020, data da dimenticare per tutti gli interisiti:  "L'infortunio era destino, il 5 maggio fu una colpa: quando il destino ce l'hai in mano, se ti scappa via non puoi prendertela con nessuno. Non eravamo noi, e non ci siamo mai spiegati davvero perché: per quello piangevo. Sicuramente perché quello scudetto era il regalo minimo che dovevamo fare ai nostri tifosi. Che dovevo fargli per quanto mi avevano voluto bene anche quando stavo male. Ma a Roma non sapevo già cosa sarebbe successo, solo quello che avrei detto a Moratti". 

L'intervista completa sul settimanale Sportweek della Gazzetta dello Sport

 

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