Pozo, capitano della Spagna per caso: “Brahim un crack da quando era bambino”

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Il Covid al calcio ha tolto tanto. Ci ha tolto tanto. Ma a qualcuno ha anche dato. Ad un ragazzo della minuscola Huévar del Aljarafe, paesino di 2.000 anime nei pressi di Siviglia, per esempio ha regalato un sogno. “Stavo letteralmente andando in vacanza, pensa. Credo fossero le 11 di sera, ero in macchina con la mia ragazza e mi chiama De La Fuente, l’allenatore dell’Under 21 spagnola. Mi dice di fare le valigie, ché si va Madrid. Non ci potevo credere”.

Alejandro Pozo, terzino spagnolo, parla come un bambino che descrive il suo giocattolo nuovo. Invece ricorda quando un tampone positivo di Sergio Busquets, la scorsa estate, ha messo in isolamento tutta la nazionale maggiore spagnola. A poche settimane dall’Europeo, sì, ma anche ad un giorno e mezzo dall’amichevole contro la Lituania. La partita le tv l’hanno già comprata, qualcuno dovrà pure scendere in campo, ed ecco che la Federazione chiede aiuto all’Under 21. “Pozito, preparati: giocate voi”, gli dice De La Fuente, che a quel punto farà le veci di Luis Enrique.

“Era domenica. Lunedì alle 9 avrei avuto il treno”. Inversione a U, le vacanze aspetteranno. “Ma sei matto? Non c’ho pensato un momento”, fa strabuzzando gli occhi. “Poche ore dopo ero già al centro federale di Las Rozas. 24 ore più tardi in campo. Una follia”. Le piccole furie rosse, prese e buttate nella mischia con un allenamento alle spalle, danno una lezione alla Lituania. 6-0, con Pozito che disputa tutto il secondo tempo con la fascia di capitano al braccio. Il sogno di una vita capitato per caso.

“Brahim speciale già da bambino”

Quella notte allo stadio di Butarque gli esordi assoluti in nazionale maggiore sono 17. Fra cui due “italiani”, Brahim Díaz e Gonzalo Villar (al tempo alla Roma). “Due amici miei da sempre!”, esclama contento Pozo quando li nominiamo.

Con Brahim giocavamo insieme nella ‘nazionale’ andalusa. Avevamo 7 anni, e lui calciava già con destro e sinistro indistintamente. Era già un crack da bambino. Era proprio diverso, si vedeva, e infatti oggi è al Milan”. Non si sentono dalla scorsa estate, da quella bolla in cui dovettero rimanere dopo l’amichevole per essere pronti a sostituire eventuali positivi anche all’Europeo. “Ricordo che mi ripeteva sempre che voleva rimanere in rossonero”. Tutti tornano negativi, loro tornano in vacanza. Si salutano, Brahim (ri)fima con il Milan il giorno dopo. Uomo di parola.

“Villar vuole trionfare nella Roma”

E Villar? “Uno dei miei migliori amici, anche lui lo conosco da quando eravamo bambini. Ci sentiamo sempre. È un giocatore spettacolare, con una qualità incredibile. Quest’anno ha fatto bene ad andare in prestito ma ha le qualità per fare bene alla Roma. L’ha già dimostrato la scorsa stagione. So che il suo desidero è trionfare alla Roma e non ho dubbi che lo farà se l’allenatore gli darà l’occasione”.

Chi mancava all’appello, quel giorno, era Pedri. Nonostante i 18 anni, lui era stato già convocato con i grandi e si trovava, dunque, in isolamento. “Ma certo che non era con noi”, sottolinea l’ex compagno. “Quando l’hanno convocato la prima volta con l’Under 21 venne che era ancora un ragazzino, tre anni meno di tutti. Sorprendente, giocava che era uno spettacolo. Era appena arrivato e chiedevamo cosa ci facesse ancora nelle giovanili. E infatti non è durata: ha fatto una convocazione con noi e a quella dopo l’ha chiamato Luis Enrique”.

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Lontano da casa

Alex Pozo risponde a gianlucadimarzio.com seduto sulle gradinate dell’Estadio de los Juegos Mediterraneos, casa di un Almería a cui manca pochissimo per vincere il campionato di seconda divisione spagnola. Con lui come grande protagonista. La voce acuta da ragazzino non l’ha persa, così come il marcato accento andaluso, nonostante la carta d’identità dica ormai 23.

Pozito nasce nel Siviglia. Nasce del Siviglia. Gioca nelle giovanili biancorosse dai suoi primi calci, con il mito di Jesús Navas. Lo stesso da cui, pensavano tutti in città, prima o poi avrebbe ereditato la fascia destra. Se non fosse che, a più di una decina di anni di distanza, Navas è ancora lì e a cedere quel posto non ci pensa proprio. “Eh, ma lui è un’icona. E poi hai visto come gioca? Io però spero ancora di poter fare anche solo una parte di ciò che lui ha fatto per il Siviglia”.

Stesso ruolo, ma non solo: le loro storie combaciano in modo quasi perfetto. “Lui ha visto in me se stesso quand’era piccolo. Canterani, entrambi del Siviglia, entrambi abbiamo iniziato da esterni per diventare terzini… Abbiamo stretto una bella amicizia e lui c’è sempre stato per aiutarmi. Che il mio idolo diventasse amico mio è stata la cosa più grande che mi potesse capitare”.

Con la fascia destra chiusa nel Siviglia, Pozo ha dovuto cercare terra fertile per crescere altrove. Un prestito dopo l’altro. Granada, Maiorca, Eibar. E alla fine un calciatore si stanca di girovagare”, ammette. Questo è il suo quarto anno ceduto a titolo temporaneo, ma il primo in cui la squadra ha l’obbligo di riscatto, in questo caso se verrà (come sembra) promossa in Liga. “Sono arrivato con l’esperienza giusta in cerca di un progetto, e finalmente sembra che potrò stabilirmi per tanti anni. Per poi trovare una squadra… o chissà se fra qualche tempo ci saremo noi lassù”.

Nonostante oggi nell’Almería dello sceicco Turki Al-Sheikh lui stia “alla grande”, la decisione di tagliare i ponti con Siviglia, forse per sempre, non è stata facile né scontata. Come può esserlo abbandonare il club di cui sei tifoso da quando sei alto così? Pozo sospira. Avevo il sogno di debuttare con quella maglia e l’ho fatto. È vero, mi rimane un po’ il rimorso di non aver giocato molte partite. Ma alla fine il Siviglia è una delle squadre più grandi d’Europa, lotta per la Liga, giocatori che… mamma mia… È davvero difficile. Io lo so e voglio fare la mia carriera e chissà se in qualche anno il Siviglia si interesserà a me di nuovo”.

“Obiettivi? Tornare in nazionale e… aprire un museo”

Per il futuro, oltre la promozione in Liga, gli obiettivi sono due. “Intanto, voglio tornare in Nazionale. Luis Enrique mi ha visto, sa chi sono, e sappiamo bene come non gli importi della riconoscenza alla vecchia guardia. Ce lo disse anche quando eravamo nella bolla che, se avesse avuto bisogno, ci avrebbe portato all’Europeo, senza paura. Sono sicuro che se continuerò a crescere l’anno prossimo mi chiamerà”.

Il secondo obiettivo “è aprire un museo di maglie”. Fra le migliori cita subito quella dell’idolo Navas, ma il pezzo pregiato della collezione è ovviamente quella del debutto con la selección, incorniciata insieme alla fascia di capitano. Il grande rimpianto è non averla mai scambiata con Messi, che fra l’altro gli diede un gran mal di testa quando gli toccò marcarlo con il Maiorca.

“Mamma mia se me la sono passata male! Non ne potevo più, ogni volta che prendeva palla era un’occasione da gol. Perdemmo 4-0. L’ultimo gol è stato un uno contro uno con me. Io gli ho lasciato il destro, mi sembrava la cosa più sensata. E lui? E lui mi ha fatto le stesse cose che avrebbe fatto col sinistro: finta, finta, palla all’incrocio. Che devi farci. Almeno posso dire di aver marcato il migliore del mondo. Non è male, no?”

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