Maccarone dice basta: "Calcio, mi hai reso una persona migliore"
Volersi così tanto bene da non riuscirsi a dire tutto. Da capirsi, però, con uno sguardo o una parola. Massimo Maccarone conosce Silvio Baldini da una vita: "Da quando era giovane”, scherza ai nostri microfoni. Uno di mestiere fa l’attaccante, l’altro l’allenatore: “Anche se per me è sempre stato un secondo padre”. La prima esperienza insieme ad Empoli, nel 2000. Poi, 18 anni dopo, si sono ritrovati alla Carrarese: “Quando sono arrivato gli dissi: ‘Se c’è una persona che mi conosce bene, sei tu. Quando vedrai che non ho più le forze per andare avanti, dimmelo. Ti ascolterò e smetterò’. Però alla fine non ce l’ha fatta”, racconta Massimo con il sorriso. Qualche giorno fa ha compiuto 41 anni e ha detto basta con il calcio giocato: “Dopo i playoff persi contro il Bari, Baldini mi ha chiamato: ‘Perché non entri nel mio staff?’, mi ha chiesto. Lì ho capito cosa stesse tentando di dirmi”. Baldini è uno che parla chiaro. Dice le cose in faccia, per questo a Maccarone è sempre piaciuto. Ma che fatica dire ad un figlio di smettere. Pazienza, si sono capiti lo stesso.
Per ora, però, è cambiato poco: “Il mister non ha tutta la rosa a disposizione e quindi mi fa allenare. Sa che mi tiene vivo”. Dopo entrerà nel suo staff: “Mi ha insegnato a diventare calciatore e ora mi insegnerà a diventare allenatore. E poi la mia vita si è sempre basata sul calcio. Un’altra cosa la potrei imparare, certo. Però non la vivrei mai con la stessa passione”. Maccarone per il calcio si è fatto anche licenziare. Aveva 15 anni e in estate scaricava cassette di anguria. Era il 1994, l’Italia sarebbe arrivata fino alla finale del Mondiale americano: “Il titolare non mi faceva andare a vedere le partite. Iniziavano alle 20 ma il turno era dalle 15 alle 21. Allora un giorno gli rovesciai per terra tutti i cocomeri: ‘Non ti voglio più vedere!’ mi urlò, Era proprio quello che volevo sentirmi dire”. Difficile spiegarlo a papà, però: “Mi diceva sempre: ‘O vai a scuola o lavori’. Studiare era difficile. Giocavo nelle giovanili del Milan, uscivo di casa alle 7 e tornavo la sera alle nove fra treni e autobus. Allora in estate dovevo lavorare. La verità gliela raccontai solo molti anni dopo: ‘Sei un disgraziato’, mi rimproverò”.
Il figlioccio di Capello
Sebastiano Rossi, Maldini, Costacurta, Boban, Weah, Kluivert… “Tutti campioni che mi avevano preso in simpatia”. Massimo arriva al Milan nel 1993. Tre anni dopo si allena già con Capello, che gli sta addosso e lo rimprovera spesso: “Non ti preoccupare, fa così perché sei il suo figlioccio”, lo incoraggiano i compagni con una pacca sulla spalla. Aveva 16 anni ed era un ragazzino timido, riservato. Come Di Natale. I due si conoscono ad Empoli nel 2000. Sono la coppia d’attacco di Baldini, che porterà gli azzurri in Serie A: “Totò veniva dalla C2, all’inizio ebbe problemi – ricorda Maccarone – ma in allenamento era impressionante, mi colpì il fatto che riuscisse a palleggiare con qualsiasi cosa gli venisse lanciata. Che tecnica. Doveva soltanto credere di più in se stesso. Fra di noi in campo c’era grande affinità. Fuori un po’ meno. Lui era già fidanzato, io invece ero single. La sera uscivamo separatamente (ride ndr)”. Nel 2001 intanto al Milan non c’è più Capello, ma Terim: “Mi voleva tenere. A Milanello mi fecero le visite, sarei dovuto partire per il ritiro”. Poi però succede che l’Empoli si aggiudica il cartellino alle buste: “Misero 6,1 miliardi di lire, il Milan si fermò a 6. Lo sapevo già perché a quei tempi c’erano le soffiate – sorride - all’inizio non la presi bene. Ma chissà, restando a Milano forse non avrei fatto la stessa carriera”.
“Abbiamo preso il nuovo Del Piero!”
Un anno dopo, nel 2002, Massimo è ad un passo dalla Juventus: “Il mio procuratore parlò con Moggi: ‘Qui in sede c’è già il contratto pronto, devi solo firmare’, mi disse. Però avevo molto mercato anche in Premier e dall’Inghilterra offrivano di più. All’Empoli, non a me. Nella mia carriera non ho mai guardato ai soldi”. Chi bussa con più insistenza è il Middlesbrough: “All’ennesimo club rifiutato l’Empoli mi disse: ‘Prendi un aereo e vai lì tre giorni per vedere se ti piace’. Atterrai all’aeroporto di Manchester e ad aspettarmi c’era l’allenatore… del Bolton! Mi portò a prendere un caffè, voleva convincermi in extremis”. Troppo tardi però, Massimo va al Boro. In panchina trova Steve McClaren, che è entusiasta come un bambino: “Abbiamo preso il nuovo Del Piero!”, esulta in conferenza: “Ma non c’entravo niente con Alex, la gente lo ha capito dopo poco”, se la ride ancora oggi Maccarone. Non saranno anni facili. Un po’ per gli infortuni, un po’ perché con l’allenatore non scatterà mai la scintilla. I tifosi, però, lo amano: “Ogni volta che mi alzavo dalla panchina, partiva il coro: ‘'He's Here, He's There, He's Every Fucking Where... Massimo, Massimo, Massimo’. Mi volevano bene. Giocavo poco ma, quando entravo, segnavo sempre”.
Come nel 2006, anno in cui trascina gli inglesi fino alla finale di Coppa Uefa: “Ai quarti perdemmo a Basilea 2-0. Non giocai. Al ritorno il mister, disperato, mise in campo tutti gli attaccanti, me compreso. Mi schierò esterno e all’ultimo minuto segnai il 4-1 che ci qualificò. Stesso discorso in semifinale con la Steaua Bucarest. Ko per 1-0 all’andata. Al ritorno ce ne fanno due in 30’. Il mister mi butta dentro e segno una doppietta. Finirà 4-2 per noi”. In città è un Dio, sono tuti pazzi di Big Mac: “Dopo le partite, andavo sempre a cena in un ristorante italiano. C’era un’enorme vetrata trasparente, che lasciava vedere l’interno. Dopo i due gol alla Steaua, quando uscii, c’era una folla incredibile ad aspettarmi”.
CONTINUA A PAGINA 2
“Retrocessione Samp il rammarico più grande”
Le cose vanno peggio a Genova, sponda Samp. Massimo ci arriva nel gennaio 2011, con la squadra che lotta per evitare una clamorosa retrocessione: “Un club che mi affascinava da sempre – ricorda – i tifosi, i colori della maglia, lo stadio all’inglese. E poi ci aveva giocato Vialli, mio idolo. Purtroppo è andata male. Ebbi anche problemi familiari. Negli ultimi due mesi di stagione venni a sapere che a mio padre restava poco da vivere. La gente da fuori non capisce. Anche noi calciatori siamo essere umani e soffriamo per chi amiamo. E poi la società era fragile: ‘Vieni, giocherai con Pazzini’, mi dissero. Arrivai e il giorno dopo lo cedettero. La squadra pagò tutto questo”.
Dopo la Samp, torna il sorriso. Torna l’Empoli, dove Massimo trova Sarri: “All’inizio era molto silenzioso. Dubitava di me. Considerata la mia carriera, temeva che volessi fare come mi pareva. Che non lo volessi seguire. Poi abbiamo instaurato un bellissimo rapporto”. Il 13 settembre del 2015 negli spogliatoi del Castellani Maccarone e Sarri parlano come due amici. Quest’ultimo, nel frattempo, è passato al Napoli e i risultati non arrivano. E' la terza giornata di campionato e anche ad Empoli non va oltre il pari: “Ricordo quella conversazione a fine partita. Gli dissi che, nonostante tutto, quel Napoli mi sembrava già molto avanti. Che di lì a poco avrebbe svoltato. E infatti il giovedì vinsero 5-0 con il Bruges. La domenica altri 5 gol, alla Lazio. Insomma, avevo ragione. Maurizio aveva fatto bene a Empoli con ragazzi promettenti ma alle prime esperienze in A. Era scontato facesse ancora meglio a Napoli”.
Il pazzo esordio in Nazionale
Salto indietro, di nuovo al 2001. Maccarone segna in B con l’Empoli insieme all’amico Di Natale. E’ un punto fermo anche dell’Italia U21 di Gentile. Gol a raffica, tanto è che succede l’impensabile: “Stavamo giocando a Watford, in Inghilterra. Segno ma all’intervallo il Ct mi toglie: ‘Ma come? Perché?’, gli chiedo sorpreso: ‘Domani giochi con la Nazionale maggiore’, mi rispose. Vieri si era fatto male e Trapattoni a fine primo tempo aveva chiamato il mister: “Fallo riposare, lo porto con me’. Quella notte avrò dormito massimo un paio di ore. Del Piero, Maldini, Totti, Inzaghi, Montella… li avevo visti solo in tv. Al mattino, durante la colazione, ero imbarazzato".
E Maccarone è anche decisivo, perché entra e allo scadere si conquista il rigore poi realizzato da Montella. L’Italia vince in Inghilterra. Da più di 70 anni un giocatore non esordiva in Nazionale senza ancora aver mai debuttato in A: “Quando il Trap mi disse: ‘Scaldati’, io non ci credevo: ‘Dici a me?’, gli chiesi. Prima di entrare Vieri mi fa: ‘Se segni, ti cambia la carriera’. A fine partita mi disse: ‘Vabè, anche così vedrai che te la cambia lo stesso’”. Ricordi. Anche di un calcio che non c’è più: “Si è evoluto – spiega Massimo – sono cambiati palloni e regole. I giovani hanno atteggiamenti un po’ diversi, ma spesso li crea la società. Non è sempre colpa loro. Prima c’era la gavetta e non c’erano i telefonini. Dopo cena si stava fuori a parlare tutti insieme. Ora, appena si finisce, uno non vede l’ora di salire in camera per giocare alla play”. Massimo dice basta, senza rimpianti: "Il calcio mi ha reso una persona migliore, mi ha dato tanto. E' stato amore, passione, adrenalina. Vedere una partita allo stadio non mi mancherà. Viverla sì".
Google Privacy