“E Lippi mi sorrise”. Dietro al trionfo del 2006
Sarà che in questi giorni a casa, il tricolore fuori dai balconi, i ricordi viaggiano veloci. Materazzi, Grosso, quella sistematina agli occhiali davanti alla Coppa. Ecco: per un attimo tutto torna leggero, di corsa. Ancora oggi. Soprattutto oggi: c’è voglia di Italia che esulta. Di Marcello Lippi. Il papà di quell’Italia, che nella sua Viareggio compie 72 anni.
“Ormai penso che del mister si sappia tutto”: non ha torto Marco Amelia, che in Germania era il terzo portiere. La storia da prima pagina ha pochi segreti. Ma per arrivarci davvero, a quell’alzala alta capitano, occorre che gli eventi si incastrino alla perfezione. Da un rigore che per pochi centimetri non è gol a un contorno fondamentale. Tutti avrebbero convocato Cannavaro, Pirlo, Del Piero. Ma che dire di tanti altri? Le scelte di Lippi hanno fatto la differenza anche dietro le quinte. Anche senza battere il rigore decisivo.
“La sua capacità di amalgamare il gruppo in un momento tanto difficile del calcio italiano è stata incredibile”, ricorda il vice di Buffon e Peruzzi. “Prima di quel Mondiale nessuno scommetteva su di noi. Forse eravamo gli unici a crederci veramente. Dal giorno in cui siamo partiti da Coverciano”.
Questione di sliding doors. O di porte a vetri: “Mi vengono in mente le partite a ping-pong contro Gigi”, sorride Simone Barone a distanza di anni. In quel 2006 due spezzoni di gara contro Repubblica Ceca e Ucraina, più un formidabile record con la racchetta: “Lo stesso Buffon l’ha raccontato nel suo libro, quanto prendesse seriamente quelle sfide durante il ritiro di Duisburg. E di come si incazzava quando perdeva. Al punto da spaccare una vetrata”.
Quel che non tutti sanno, la scena si consumò davanti agli occhi di Lippi: “Dalla faccia il mister non era molto tranquillo”, l’ex centrocampista si rivede in mezzo ai frantumi. “Io ho lasciato lì la racchetta e sono scappato. Poco dopo è arrivato Gigi, a chiedermi di tornare a giocare. Ma ho preferito restarmene in camera”. Perdere il numero uno di quella Nazionale per una sciocchezza simile: solo aver corso il rischio, sapeva di imperdonabile.
“Il giorno dopo Lippi non mi ha detto niente e io ho cominciato a cercarlo con lo sguardo. Lui mi ha risposto con gli occhi. E si è messo a ridere”. Tutta la fiducia del ct: “Capiva fino in fondo che gruppo e che persone eravamo, di cosa avevamo bisogno in un determinato momento. Lo si vede anche da questi piccoli gesti. Aveva il carisma di un comandante, ma gli piaceva scherzare e interagire: ci ha protetto dall’esterno creando un’alchimia fantastica”.
Chissà quante altre parole ci sono, urlate e non dette dall’allenatore, dietro ogni gol della cavalcata azzurra. O autorete, perché fa tutto parte del pacchetto: “Se non l’avessi colpita così male”, contro gli Stati Uniti ai gironi, “magari avrei giocato un bellissimo Mondiale ma saremmo usciti ai quarti”, la verità di Cristian Zaccardo. Di un cammino simile non va toccato nulla. Solo così noi e Lippi (fresca confessione) possiamo cullarci con quella finale all’infinito, che tanto finisce sempre bene.
“Tantissimi auguri mister! Mi hai dato tanta fiducia convocandomi per quel Mondiale. Ti devo tanto, sempre riconoscente. Con stima, il tuo #2”. Ci uniamo al messaggio di Zaccardo: anche dalle tv e dalle piazze, quella fiducia è sempre viva. Ormai sono quasi 14 anni.