“No Hackney Marshes, no Wembley”. Viaggio nel cuore del calcio
Alla domenica che non c'è più
Avete mai visto mille giocatori insieme, spalmati su una distesa infinita di campi da calcio? Difficile, se non siete mai stati ad Hackney Marshes.
Nordest di Londra, Olympic Park a due passi. Eppure, più che nel centro acquatico all’ultimo grido o nello stadio ormai casa del West Ham, lo spirito a cinque cerchi si perpetua laggiù. Oltre i canneti e le luci della City: “Viviamo in un mondo spesso diviso. Ti giudicano per come sei, per come ti vesti, per il paese da cui provieni. Invece ad Hackney Marshes c’è un’unica lingua: il calcio. E tutti ne fanno parte”.
Siamo negli spogliatoi, all’entrata del complesso. Durante la settimana Jermaine lavora nel servizio sanitario nazionale, David fa il fotografo. Ma ogni benedetta domenica loro sono qui e (si) reggono il gioco: “Questo posto è il must!”, iniziano a raccontare in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. “Siamo ex giocatori, oggi arbitri e organizzatori di questa realtà”. La Hackney & Leyton Sunday Football League, dal 1947. “E continua ad essere il più grande punto di riferimento per la collettività”.
Grassroots. Gli inglesi hanno una parola tutta loro, quasi intraducibile, per indicare la radice e l’anima popolare di un movimento. Dalla politica al calcio. “Durante la settimana la gente lavora e fatica a partecipare ai campionati della Football Association che si svolgono di sabato”, spiega David. “La Hackney & Leyton non è solo portare il calcio alla domenica, ma soprattutto sviluppo della comunità: abbiamo gente che viene da tutto il mondo, dalle città e dalle campagne. E di ogni estrazione sociale”.
Dimenticatevi il concetto di élite: “Qui il broker gioca con l’idraulico, il poliziotto con il bartender o il giornalista. C’è perfino chi lavora nell’Arsenal, e sta pensando di iscrivere una squadra di soli Gunners in Sunday League. Nessuno è escluso, ciascuno è rappresentato”.
Il risultato? “Là fuori stanno cominciando le partite: non serve nemmeno una macchina di pattuglia”, sorride David. “Questo è l’unico evento di calcio al mondo da migliaia di persone senza stewards. Ci dev’essere qualcosa di buono!”. Il main building è in mezzo agli alberi, ben nascosto: da qui è ancora difficile immaginare cifre del genere. “Ma di questo parlane con Jermaine. Lui è Mr. Hackney Marshes”.
Numeri da record
Il collega strizza l’occhio e raccoglie il testimone: “Abbiamo 5 divisioni di Sunday League, con un sistema di promozioni e retrocessioni. Ci vuole parecchio lavoro per mantenere questo standard: la gestione finanziaria, far leva sugli sponsor per abbattere i costi delle squadre partecipanti. Non dimentichiamo che tutto qui dentro funziona su base volontaria. E mantenere più di 100 squadre è difficile”.
Appesa al muro c’è la lavagna con il programma del giorno: Inter Lucia-Ainslie al campo 9, South London Sharks-Athletico al numero 26. Ma quanti sono in tutto? “Al momento Hackney Marshes conta 58 campi regolamentari. Che diventano circa 70, con quelli per il calcio giovanile”.
Eppure, lì accanto David scuote la testa. “Trent’anni fa ne avevamo più di 100!”, esclama il segretario generale della Hackney & Leyton. “Si estendevano dove adesso c’è l’Olympic Park: i costi per la manutenzione erano alti così come la domanda nel mercato immobiliare”.
Effetto Olimpiadi. “Ne avremmo persi anche di più, se la gente del posto non si fosse opposta con fermezza: questo è Hackney Marshes, la nostra icona!” Salvato dalla comunità, per la comunità. “Penso che resterà qui per sempre. Non si può perdere, siamo un patrimonio inglese: se uccidi il grassroots football, uccidi il calcio stesso. Ora tutti fuori, che vi facciamo vedere perché”.
Cielo, vento e football
“Occhio al fango. Qui si gioca con quello che offre la natura”. E come in cima a un monte o a una scogliera, il panorama travolge. Verdissimo, a perdita d’occhio: niente panchine o tribune, solo campi, campi, campi. A distanza di qualche metro l’uno dall’altro. “Certo, a cosa servono i raccattapalle? Se qualcuno calcia fuori, ti ripassano il pallone quelli della partita a fianco”.
Jermaine ci mostra una normale mattina di campionato e intanto fa il suo lavoro. “Da quando sono arrivato qui nel ’96 ho vissuto tutta la transizione mediatica di Hackney Marshes: dal primo sito internet di una lega calcistica amatoriale alla nuova spinta dei social. Abbiamo materiale per coinvolgere tutti”. I ragazzi giocano e lui riprende: “Ciao Jer! Se fossi passato qualche minuto fa non ti saresti perso il mio gol”. Difficile sdoppiarsi. “Non avete idea”, ci confessa. “Guai a non arrivare in buon anticipo prima di una partita! Se alla tua squadra viene assegnato il campo più lontano, tanti auguri…”
Per gli arbitri è anche peggio: niente assistenti, palloni e giocatori che si moltiplicano oltre il terreno di gioco da dirigere. “Anche questo fa parte di Hackney Marshes”, il factotum descrive un altro dei suoi incarichi. “Tutti sanno la passione che ci mettiamo, e pazienza se è difficile fischiare sempre la chiamata giusta”. Le scaramucce sono poche, “Ma i ragazzi ci tengono ed è pur sempre calcio. La cosa più bella è che finita la partita si risolve tutto con ‘beer and fries’, guardando la Premier in tv tutti assieme”.
La Sunday League va ben oltre il 90’. “Non bisogna necessariamente giocare a calcio per far parte della nostra comunità. Abbiamo luoghi di ristoro, bar, si possono praticare anche altri sport. Questo posto è di tutti: chiunque è cresciuto a Londra conosce Hackney Marshes”.
“Ormai anche chi viene da fuori!”, aggiunge David a bordocampo. “Io stesso viaggio 60 miglia ogni domenica per arrivare qui: quando giocavo assomigliavo un po’ a Edgar Davids”. Le treccine sono rimaste quelle: “Lui scherza”, sorride Jermaine. “Ma abbiamo parecchi campioni passati per di qua”.
“Quella volta che Messi…”
Qualche bella giocata, qualche errore banale. Il livello di gioco non è world class, ma l’apparenza inganna. “Beckham, Terry, Ian Wright, David Seaman: quando giocavano nell’East London hanno fatto tante partite ad Hackney Marshes”. Palestra di calcio vero: “Ti sfido a trovare un calciatore londinese che non ci abbia messo piede! E da fuori anche Robbie Fowler. Eric Cantona”. A inizio e fine carriera, la Sunday League tappa obbligata: chissà chi saranno i prossimi, ci domandiamo al triplice fischio.
Mentre facciamo ritorno alla base, Jermaine indica una targa dorata: ‘A Hackney Marshes, per inseguire nuovi obiettivi. Firmato Gianni Infantino’.
Porte e palloni fiammanti, regalati da una delegazione guidata da Boban. “In occasione dei Best FIFA Football Awards 2017”, la soddisfazione degli addetti ai lavori. “Sono venuti qua a vedere le partite, a parlare con noi della storia di questo posto. E nel loro rapporto sul calcio di comunità in giro per il mondo, Inghilterra vuol dire Hackney Marshes. Nient’altro”.
Se ne sono accorti anche i più grandi. “Un giorno Messi è arrivato qui in elicottero!” Prego? “Per una campagna pubblicitaria a Londra. Avevano bisogno di un luogo simbolo, così decisero di far volare Leo sopra questi campi durante le partite. Immaginatevi la gente incredula quando l’ha visto atterrare. E immaginatevi Messi, subito circondato che nemmeno ai Mondiali”.
In fin dei conti è così: “Se non sei mai stato ad Hackney Marshes, allora non hai mai visto nemmeno Wembley”. Fuori sono rimasti solo i bambini, un pallone e tutta l’erba del mondo.
Era il racconto di una domenica qualunque. Dal 16 marzo però si è dovuta fermare anche la Sunday League: questo articolo è uscito nel primo weekend senza partite, sognando che tutto questo potesse tornare presto. Poco più di un mese dopo invece Jermaine Wright, Mr. Hackney Marshes, è morto di coronavirus: aveva appena 46 anni. Il football della comunità non è ancora ripartito. E avrà un vuoto enorme da colmare, quando succederà.