"Guardare oltre". Essere Gilardino, allenatore goleador a Rezzato
style="text-align:justify">Fa un certo effetto vederlo a bordo campo e non in area di rigore. “Alza quel corpo quando calci, altrimenti la porta non la prendi!”. C’è da fidarsi, se la voce è quella di Alberto Gilardino. Tuta, fischietto, scarpe da corsa. A tenere le redini del Rezzato, girone B di Serie D. “Domenica abbiamo la semifinale playoff contro la Pro Sesto: la affronteremo in modo gagliardo, con entusiasmo e voglia di crescere. Io per primo”.
Rewind. Davanti a noi c’è davvero Gilagol, quello del violino da 273 acuti in carriera. Da Milano a Palermo passando per Firenze, in tutta Italia e per l’Italia. Quello che – presente storico – ‘potrebbe tenerla vicino alla bandierina’ e invece no, ringraziano Del Piero e un paese intero nella notte di Dortmund. Flash di un Campione del Mondo e di un allenatore tra i dilettanti. Nessuna nota stonata. “A ottobre c’è stata questa opportunità e l’ho presa subito al volo”, Gila inizia a raccontarci la sua nuova vita in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com.
“Ho trovato una squadra con molti giovani ma prevalentemente di giocatori esperti, che hanno fatto categorie superiori”. Bruno, Caridi, Sodinha: Serie B reunion in provincia di Brescia. “Quindi per me è stato molto più semplice adattarmi”, spiega Gilardino. “Il Rezzato è una realtà un po’ diversa dalle altre: tra giocatori e staff c’è un rapporto molto diretto, ma qui si annusa il professionismo”.
L'ex attaccante finora non ha conosciuto altre realtà. “Io sono arrivato al Rezzato per mettermi in gioco, lavorando sui miei concetti”. Lezioni di una vita, che tornano utili soprattutto ex post. “Ho sempre avuto grandissimi allenatori: Prandelli, Pioli, Mihajlovic. Penso soprattutto a Gasperini: a quello che mi chiedeva, al suo modo di pensare. Ammetto che a volte facevo fatica ad accettarlo, quando mi allenava. Ora che sono dall'altra parte invece capisco i suoi concetti, al di là del capolavoro che sta facendo con l'Atalanta”. Più maturo, a quasi 37 anni, ma pur sempre Gila. “Quello che ho imparato da loro nell’arco della mia carriera, oggi lo voglio proporre ai miei ragazzi. Da giocatore non mi sono mai snaturato, non ho intenzione di farlo nemmeno da allenatore”.
Un esempio? La cartolina finale dell’attaccante, poco meno di un anno fa. Lo Spezia ospita un Parma a caccia della promozione nell’ultima giornata di Serie B: sul punteggio di 0-1, c’è un rigore per i liguri. Gila calcia male, sbaglia, incassa la velenosa contestazione dei suoi tifosi che lo accusano di aver tirato volutamente fuori per favorire la sua ex squadra. Sarà la sua ultima partita da calciatore. “Non ho nulla da dire a riguardo. Al calcio ho sempre dato tutto, anche a La Spezia. All’interno di una stagione per me complicata: sono arrivato a ottobre senza preparazione con la squadra, con diversi problemi fisici e al mio primo anno di Serie B. Eppure ho lasciato un segno importante anche lì”.
16 presenze e 6 gol (di cui un gioiello a Cittadella). “Ma è soprattutto come uomo che mi hanno apprezzato. Ancora oggi dirigenti e calciatori dello Spezia mi chiamano per complimentarsi e parlare con me. Poi i rigori si sbagliano, mi è capitato tante altre volte. Ho fatto una carriera straordinaria, sinceramente non avevo bisogno di costruirmi un finale diverso. Mi sono guardato dentro e mi son detto che era arrivato il momento. Meglio decidere da sé, piuttosto che arrivare a far decidere gli altri”. Chapeau. “Ci vuole coraggio, convinzione nella decisione. E magari una piccola spinta: a giugno ho fatto il corso a Coverciano, un mese e mezzo intenso con altri 12 ex calciatori (da Pirlo a Batistuta) che ha accelerato il mio passaggio ad allenatore. Il rettangolo di gioco è e resta la mia vita”.
Si allargano gli orizzonti, dopo più di 18 anni nello stretto. “In area di rigore sono sempre stato molto abile, molto furbo. Sapevo che quella è sempre stata casa mia, fin da piccolo, quando guardavo le cassette di Vialli e Batistuta, di Platini e Van Basten. Giocavo con il pensiero che lì dentro comandavo io, cercando di anticipare le mosse del difensore. Un obiettivo costante”.
Genesi di una prima punta doc. “La percezione di potercela fare l’ho avuta quando ho debuttato in Serie A a 17 anni”. Piacenza-Milan, assaggio del futuro di Alberto apparecchiato da Gigi Simoni. “Ero giovane e determinato. Ma sicuramente non avrei mai pensato di poter fare quello che ho fatto. Devo ringraziare tutte le persone che ho incontrato nel calcio, dagli addetti ai lavori alle società in cui ho giocato”.
Brainstorming di emozioni, colori, momenti. “Sì, il violino è stato il mio primo grande amore, legato ai miei bellissimi ricordi a Parma. Eravamo a cena io e Marchionni e ci è venuta l’idea: dal prossimo gol lui mi avrebbe fatto l’inchino e io il gesto del violino. Da lì è nato un po’ tutto”. Tra 2003 e 2005 Gilardino esplode, segna 51 reti con i gialloblù e vince l’Europeo U21 con la Nazionale. Sembra la Locomotiva di Guccini, ‘l’eroe giovane e bello’ di un calcio italiano improvvisamente ai suoi piedi. Eppure, a 23 anni, l’attaccante è già un uomo formato dagli eventi.
“Fino al 2001 vivevo nell’incoscienza della gioventù, ero molto ingenuo. Poi…”. L’incidente stradale, ai tempi del Verona: la macchina va fuori strada, viene inghiottita dal Sile, Alberto e i suoi amici ne escono per miracolo. “Il grande spavento ci ha fatto capire che la vita è unica, che va vissuta giorno dopo giorno cercando davvero di essere arrabbiati il meno possibile. E di condividere la passione per il calcio con i tuoi cari, con le persone che lo amano come te”.
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Viene in mente Firenze, dove tutto attorno a Gila è funzionato alla grande. “Eh, quanti ricordi…”, si perde l’attaccante quando rivede la sua maglia in mano. “Penso subito al mio debutto, quel Fiorentina-Juve del 2008: segnai la rete del pareggio in girata al 90’. Immaginatevi il Franchi”. Scoppia lo stadio e scoppia l’amore. “Una storia bellissima, tra me e i fiorentini, tra me e il viola. Ho fatto tantissimi gol (63 in 157 partite, ndr), in una città stupenda dove sia io che la mia famiglia siamo stati davvero bene e magari un giorno torneremo a vivere. E poi eravamo un grande gruppo”.
Oltre a Gilardino, Donadel e Frey, Marchionni e Mutu: da Parma a Firenze, i fedelissimi di Prandelli. “Dalle cene che facevamo fuori nascevano i nostri traguardi sul campo, togliendoci soddisfazioni incredibili: con la Fiorentina ho giocato la Champions, abbiamo vinto ad Anfield con un mio gol, ci siamo giocati gli ottavi contro il Bayern”. Quel gran torto dell’arbitro Ovrebo che in città si ricordano ancora.
Ma per Gila la parola rimpianto non esiste. “No, non ci sono partite che vorrei rigiocare, momenti della mia carriera che avrei voluto andassero diversamente. Ho avuto tutto subito e poi l’orgoglio di lottare per la salvezza negli ultimi anni. Non mi guardo mai indietro”. Storia di un attaccante completo, il 9 esaltato dal 10. “Alino o Adrian? Sono due giocatori completamente diversi, sarebbe stato bello provare un 2-1: Mutu-Diamanti-Gilardino. Mi sarei divertito e avrei fatto divertire molto loro due e chi ci avrebbe guardato”.
Eppure, nel periodo al Milan (2005-08, vince anche la Champions), c’è chi pensa che il ragazzo di Biella abbia fallito l’esame di maturità. “Lo dicono in tanti. Ma in rossonero ho vissuto il fulcro della mia carriera: in quel momento ho espresso il massimo e dato tutto, al fianco di grandissimi campioni e di un grandissimo allenatore come Ancelotti. Un onore e un piacere aver giocato per quei colori”. Commiato da signore. All’interno del Milan glamour e stellare di Ronaldo e Kakà, il problema principale di Gilardino forse era proprio ‘essere Gilardino’.
“Cioè riservato e mai sopra le righe. È sempre stato un mio pregio e forse anche un mio difetto: in questo mondo a volte fanno più strada quelli con caratteristiche diverse dalle mie. Ma io ho sempre mantenuto la mia indole, l’educazione che ho ricevuto dai miei genitori”. La testa sarebbe lontana dai riflettori, i piedi ce la fanno finire per forza. “Ah, dobbiamo fare pure il video…”: anche oggi, nella tranquilla Rezzato, l’ex attaccante rivela le proprie inclinazioni. Parlando però con la disinvoltura del Campione del Mondo.
Perché a Gilardino sarà per sempre stretta l’etichetta del ‘bomber di provincia’, così come non gli calzerà mai quella del canonico goleador tutto veline e gossip. “Hubner o Vieri? Dario non lo conosco ma è un giocatore che mi è sempre piaciuto tantissimo. Lo seguivo al Cesena, al Piacenza. Mentre Bobo è veramente una bella persona: l’ho avuto come compagno per sei mesi al Milan ed era un piacere allenarsi con lui. Sono i due opposti, io credo di essere nel mezzo”.
Trovato l’anello di congiunzione. “È vero, non amo i social ma ho le passioni di tanti italiani. Mi piacciono i canali di cucina, ad esempio: non che a casa sia un grandissimo chef, ma mettermi ai fornelli ogni tanto mi rilassa. E poi anche la playstation: nel 2006, io, Materazzi, Iaquinta e Grosso ci sfondavamo di partite in ritiro”.
Concerto per violino, finale in crescendo. “Mi vengono i brividi ogni volta che ci ripenso. Come a tutti gli italiani: il sogno di qualsiasi bambino è indossare la maglia azzurra, magari vincendoci qualcosa. E io ho avuto la fortuna di poterlo realizzare”. Per un attimo torniamo in Germania, nelle parole del numero 11 di Lippi. “Arrivavamo da molta indifferenza, circondati dalle critiche di Calciopoli. Lì il ct fu molto bravo a consolidare il gruppo e a proteggerci da quello che succedeva fuori. E in campo c’è stato un susseguirsi di situazioni esaltanti: dalla vittoria nel girone al rigore contro l’Australia. È stato tutto perfetto, migliaia e migliaia di italiani in Germania ci diedero un grandissimo sostegno”.
Soprattutto a Dortmund, 4 luglio 2006. Gila non entra nel tabellino dei marcatori, ma nei supplementari contro Ballack e compagni fa due cose pazzesche. “Il palo me lo ricordo ancora, una bellissima azione. E poi l’assist a Del Piero: l’apoteosi di quel mondiale. Era da tanto che Alex cercava un gol importante in una competizione così. Sono contento di avergli dato io quella palla. Per lui e per l’Italia”.
Genio nella notte, senza pubblicità. Nemmeno il tempo di ringraziare la dirigenza del Rezzato (il ds Braghini e il dg Togni), che Alberto scappa a fare qualche giro di campo. L’allenamento è finito da un pezzo, sono tornati tutti a casa. Anche Gila.