Costa, un italiano in Taiwan: “Qui si gioca, ma serve la mascherina”

Messaggi e chiamate prima di rintracciarlo. Ex calciatore, oggi allenatore in Taiwan. Di lui non si sa altro. Dopo qualche ora, finalmente riusciamo a trovarlo. Messaggio su Facebook, lui risponde alle 04:38: “Eccomi, io sono Thomas”. Sei ore di fuso orario. In Taiwan è una domenica mattina come tante, la Pasqua non si festeggia. In compenso, è appena iniziato il campionato.

Thomas Costa è di Massa Carrara, vive a Taipei da dieci anni, ha fatto il calciatore e oggi allena in una scuola calcio. Di Taiwan conosce ogni segreto: “Provo a insegnare ai bambini tutta la bellezza del calcio. Anche se gli sport più seguiti sono baseball e pallacanestro, la Premier League locale è diventata campionato professionistico nel 2017. Il livello è discreto”.

Si è trasferito in Asia per amore. Poi ha imparato ad amare Taiwan: “Quando sono arrivato tutto mi sembrava strano. Il calcio era poco sviluppato. Pensa che in Italia non avevo mai giocato. Ci ho provato per arrotondare. Giocavo con i dilettanti e nel frattempo insegnavo inglese e italiano in alcune scuole. Oggi in ogni classe trovi almeno tre baby calciatori, prima era impensabile”.

Le coste della Cina sono lontane poche centina di chilometri da Taiwan. In mezzo il Mare Cinese. Nonostante ciò, il Coronavirus non spaventa l’isola: “Continuiamo la vita di sempre. Il Governo si è mosso quando in Italia sono stati annunciati i primi casi. Scuole chiuse per due settimane, nessun volo in entrata o in uscita e l’invito a usare le mascherine nei luoghi pubblici”.

Non una novità per i paesi asiatici, lì proteggere il volto fa parte della cultura: “Le persone la indossano pure in caso di influenza. Qualcuno anche solo per estetica. L’invito è diventato un obbligo negli ultimi giorni”. Anche in campo: “La scuola calcio dove alleno ha deciso di far indossare le mascherine a tutti, sia istruttori che bambini. Non è facile correre con una protezione sul viso, ma i piccoli si stanno abituando”.

Prevenzione anche senza emergenza. Taiwan conta circa 24 milioni di abitanti, i casi positivi sono 393 e i morti solo 6: “Qui la Sars nel 2003 ha colpito pesantemente. Hanno imparato la lezione. Negli aeroporti ci sono scanner della temperatura e il governo ha dichiarato che il 90% dei casi positivi riguarda persone arrivate dall’estero. Per loro è prevista una quarantena obbligatoria di 14 giorni”.

Misure restrittive imponenti, la privacy dei cittadini è messa in secondo piano. Conta il benessere della società: “La polizia controlla le case di chi è in quarantena. Alcuni amici in mi hanno detto che sono stati mappati i loro spostamenti tramite smartphone. E nelle strade ci sono telecamere ovunque, quindi la polizia può rintracciare i trasgressori. Tutto è sotto controllo”.

Organizzazione e velocità d’azione. Le basi del modello Taiwan per battere il Coronavirus. Da molti stati è considerato una “provincia ribelle” della Cina. Non fa parte dell’ONU, né dell’OMS e per questo ha adottato ogni provvedimento in piena autonomia: “C’è grande disponibilità di mascherine. Sono state inviate in Europa e negli USA. Taiwan è indipendente, anche se molti non lo ammettono”.

La vita va avanti regolarmente, il calcio pure: “Continuano gli allenamenti e le partite. Le squadre si allenano tre volte alla settimana e le sfide sono a porte chiuse. Allo stadio non si vedono mai tifosi, di solito ci vanno parenti e amici dei calciatori. In televisione non c’è l’usanza di guardare il calcio. Spesso le partite sono trasmesse su Youtube”.

Thomas deve scappare, fra pochi minuti inizia l’allenamento dei suoi bambini alla scuola calcio: “Non ci fermiamo mai. Raggiungerò il campo in motorino, ma senza mascherina. La indosserò una volta arrivato”. Insieme ai suoi allievi, tutti cittadini di una terra capace di segnare in contropiede al temuto Covid-19. 

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