Metti un giorno in panchina con Riganò

La caldaia è rotta: “Riga, cambiatevi di là", gli dicono. Cose che capitano in Prima Categoria, non siamo in Serie A. Christian lo sa, ha cominciato su questi campi. Il suo Fiesole ha vinto le ultime tre partite ed è sesto. Il quinto posto, l’obiettivo minimo, è ad un passo. Adesso c’è l’Incisa da battere, la sua ex squadra. Non ha mai vinto in trasferta: “Ma occhio – ci dice – hanno una classifica che non meritano”.

La partita inizia alle 14:30. Non fa freddo, nonostante la stagione. Il campo era ghiacciato fino alla sera prima. Marfour, il giardiniere, si danna fino ad un’ora dal calcio d’inizio. Gli vogliono tutti bene, anche se non è facile concentrarsi con il rumore del suo tagliaerba nelle orecchie. Le squadre iniziano a scaldarsi. Mister Riganò, “Riga” lo chiamano, scherza con i suoi vecchi dirigenti. Parlano dei figli, dei nipoti. Delle diete, perché l’età avanza e bisogna stare attenti.

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In panchina, accanto a sé, avrà Giorgio e Cristiano. Loro, dirigenti che giocano la propria partita prima che questa cominci sul serio. Entrambi i portieri, infatti, hanno la maglia verde. Non va bene, bisogna cambiarle ma c’è poco tempo. Cose che capitano in Prima Categoria. Come l’infortunio all’arbitro, che si riscalda e sente una fitta al ginocchio. Ci pensa Leonardo, fisioterapista del Fiesole. Ci siamo, la partita può iniziare.

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Mister Riganò sta in piedi: “Sempre, altrimenti resto sul divano in salotto”, sorride. L’Incisa gioca, la partita è combattuta. Riprende spesso Juri, il suo esterno goleador che gioca proprio vicino alla panchina. Non sbraita, urla solo quando è necessario. Esulta al gol di Labardi: “Andiamo bimbi”, li carica così i ragazzi. C’è qualche fallo di troppo, gli avversari pareggiano e lui non se ne fa una ragione: “Ma che gol abbiamo preso?”, chiede a chi sta in panchina.

Il Fiesole resta pure in 10: “Due falli e due ammonizioni, in 30 anni non l’ho mai visto”, si lamenta con l’arbitro. Poi i cambi e il secondo gol dell’Incisa, proprio alla fine. Come l’espulsione per bestemmia del suo portiere. Il Fiesole finisce in 9 e perde. Niente poker di vittorie, tante polemiche: “Ciao Riga”, lo saluta l’allenatore avversario. Stretta di mano, abbraccio. Lì funziona così.

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Lotta e umiltà: “Sono uno di loro”

“Sotto la curva Fiesole ho segnato il primo gol in C2. Poi il primo in B e il primo in A. Anche l’ultimo con la Fiorentina, quando sapevo che sarei andato via. Ora alleno il Fiesole. Qualcosa di scritto c’è”. Riganò sorride, avvolto dalla sua tuta. Non crede molto alla fortuna, vai a spiegarla a chi, partito da muratore, è arrivato a segnare in Serie A: “30 anni fa mi dicevano: ‘Eh, segni in promozione. Vediamo se ci riesci anche in Eccellenza’. In un anno ne ho fatti 19 in 26 partite in Serie A. ‘E in Nazionale?’, potevano chiedermi. Lì non so, non mi hanno mai chiamato. E’ il mio rimpianto”.

Ti guarda dritto negli occhi: “Non ‘Lei’, io mi chiamo ‘Tu’”, ti corregge: Ai ragazzi dico che io sono Riganò, uno di loro. Non mi sono dimenticato di cosa facevo quando avevo la loro età. Poco importa se mi chiamano mister o Christian”. Dal campo alla panchina. Oggi fa l’allenatore del Fiesole, in prima categoria. Come se avesse riavvolto il nastro, passando dall’altra parte: “Chi mi allenava non è mai impazzito con me. Semmai di gioia, perché gli facevo tanti gol. Davo tutto, ero ultimo solo quando c’era da correre. Non mi piaceva”.

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Christian era fermo dal 2017: “Sono troppo diretto per questo mondo. Ogni tanto dovrei mordermi la lingua”, sorride. Ad ottobre è arrivata la chiamata di Gianmarco, il direttore sportivo: “Ci siamo messi d’accordo in un quarto d’ora. Sono venuto da solo, non ho mica uno staff. A questi livelli non lo fai per soldi. E ho un brutto vizio, non ho mai bussato alla porta di nessuno. Se qualcuno ha bisogno di me, fa il mio numero”.

Adora Allegri: “Soprattutto quando dice che il calcio è un gioco stupido per persone intelligenti”. Va bene giocare: “Ma è la grinta che non deve mai mancare alla mia squadra. Era il mio cavallo di battaglia. Senza lottare non sarei mai arrivato”. Vorrebbe allenare Miccoli o Di Livio: “Soprattutto a livello caratteriale”. Simonelli e Autieri i suoi primi maestri, ma come scordarsi di Mondonico?

“Oggi, se non hai una cuffia grossa all’orecchio, non sei calciatore. Prima se ascoltavi la musica ti accusavano di non essere concentrato sulla partita. Lui era anticonformista. In pullman metteva “Mi spari sopra” di Vasco a tutto volume. A Como giochiamo alle 20:30 e alle 11 ci fa fare un giro in barca. Ad Avellino ci porta alla Reggia di Caserta, a Verona a mezzogiorno spritz per tutti. Poi però vincevamo sempre”.

Psicologo ancora prima che tattico: “Cosa vuol dire giocare bene? Tenere 80 minuti la palla o andare a concludere dopo due passaggi?”. Fatti prima delle parole: “Non mi piace fare interviste. Da giocatore dovevo parlare ogni domenica e non mi andava. Se uno fa cento interviste al giorno, compare cento volte sul giornale ma non dice niente di sensato. Delle volte parlavo la domenica dopo la partita, poi il lunedì avevo un’altra intervista. Mi chiedevano come fosse il giorno dopo. “Come quello prima”, rispondevo". Ride Riganò, lui che è rimasto lo stesso di sempre. Lui che ha voluto ricominciare. Lui che può perdere una battaglia ma che non perderà mai la guerra. 

           

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