"Perdenti" che hanno scritto la storia: Norvegia pazza del Bodo Glimt

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L'8 novembre, mentre Biden parlava per la prima volta da presidente eletto e Trump denunciava brogli nel conteggio dei voti, sul New York Times trovava spazio il Bodo Glimt, simbolo calcistico di una piccola città di appena 50mila abitanti a nord del Circolare Polare Artico e a 16 ore di auto da Oslo. Una squadra che da sempre era paragonata ad un ascensore, proprio perché andava continuamente su e giù: un anno in prima divisione, quello successivo in seconda e così via. Ora è considerata la migliore in Norvegia, almeno dal 2000 ad oggi. Dopo la promozione del 2017, l’undicesimo posto del 2018 e il secondo della scorsa stagione, è arrivato il titolo dei record. Il primo in 104 anni di storia, mai nessun club così a nord della Norvegia aveva vinto qualcosa del genere. I numeri sono impressionanti: una sola sconfitta in 25 partite, 85 gol fatti e 18 punti di vantaggio sul Molde campione in carica. Il Bodo Glimt ha segnato 4 o più reti in otto occasioni e con sei punti nelle ultime sette giornate stabilirebbe il record assoluto dell’Eliteserien.

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"Chi non ama i perdenti?"

Una squadra, il Bodo, che ha fatto innamorare tutti. Frode Thomassen, amministratore delegato del club, di recente ha spiegato come magliette e articoli vari siano stati ordinati da ogni angolo della Norvegia. Ulrik Saltnes, il capitano, è rimasto sorpreso dal fatto che non sia passato un solo giorno senza richieste di interviste. Inoltre, non appena la società ha pubblicato online un annuncio con cui richiedeva un allenatore per l’U19, in un attimo sono arrivate oltre 400 candidature. Orjan Berg, ex giocatore e ora allenatore dell'accademia giovanile, durante le vacanze estive non sapeva più dove nascondersi per sfuggire da chi lo fermava di continuo per fargli i complimenti. Suo figlio Patrick, centrocampista 22enne del Bodo, alla sua prima convocazione in Nazionale è stato accolto con entusiasmo da Haaland e Odegaard: “Il campionato non lo guardiamo quasi mai – gli hanno detto – ma non abbiamo saltato una vostra partita”.

Solo made in Norvegia (del nord)

In un anno in cui tutti vogliono vedere il Bodo, la squadra ha giocato senza pubblico a causa del coronavirus. Solo 200 tifosi a settimana avevano accesso all’Aspmyra Stadion, il record è stato di 600 spettatori. In estate un gruppetto di fan ha noleggiato un raccoglitore di ciliegie, lo ha parcheggiato fuori dallo stadio salendo sul carrello ed estendendo il braccio idraulico fino a quando non ha potuto vedere il campo: “Siamo dei perdenti. E chi non ama un perdente?”, le parole con cui l’ad Thomassen ha provato a spiegare l’enorme affetto che si è creato intorno alla squadra, diventata nel frattempo vincente. Merito di Kjetil Knutsen, promosso da vice a capo allenatore nel 2018. Un 52enne capace di entrare in totale sintonia con ragazzi che potrebbero essere suoi figli: “Sa ascoltarci”, ha detto Berg: “Lo amo”, si è spinto addirittura oltre Saltnes. Loro due, oltre al difensore Brede Moe e all’ex Hauge, sono tutti prodotti del vivaio o giocatori presi dal nord della Norvegia. Almeno il 40% della rosa è stato composto seguendo questo criterio. Il simbolo è appunto Patrick Berg, rampollo di quella che è probabilmente la principale famiglia del calcio norvegese. Un po’ come i Maldini nel Milan, per intendersi. Suo padre, Orjan, giocava per il Bodo, così come i suoi zii, Runar e Arild. Suo nonno, Harald , è considerato il miglior giocatore della storia del club.

Riscatti e rivincite

E pensare che Patrick, fino a un paio di anni fa, non se la passava di certo bene. Frustrato per i pochi minuti giocati, ha pensato all’addio: “Ero deluso e arrabbiato. Incolpavo tutti tranne me stesso”, dirà più tardi. Il Bodo è storia di riscatti e rivincite. Saltnes, il capitano, tre anni fa è stato vicino a dire basta con il calcio. Prima di ogni partita combatteva con nausea e crampi allo stomaco. Insomma, non si divertiva più: “Se guardiamo la squadra che ha affrontato il Milan, quasi tutti i giocatori in passato volevano andarsene”, ha svelato dopo il match di San Siro in Europa League. Una prima grande svolta c’è stata nella primavera del 2019, quando il Bodo si è recato in Spagna per il consueto ritiro pre campionato. Di solito, una volta lì, si discuteva sugli obiettivi da centrare durante l’anno. Infine il patto: “Non guardiamo ai risultati. Pensiamo solo alle nostre prestazioni”.

La svolta di Bjorn, pilota di caccia

Una seconda svolta l’ha portata Bjorn Mannsverk, ex pilota di caccia che ha svolto due turni di servizio in Afghanistan e che ha volato sopra la Libia: “Senza di lui niente sarebbe stato possibile”, si sente dire spesso. Totalmente indifferente al calcio, Bjorn è diventato il mental coach della squadra dal 2017. Come membro dell'aeronautica militare norvegese, aveva scoperto i benefici dell'allenamento mentale e lo ha voluto introdurre anche nello sport. Conduce sessioni individuali, ciascuna della durata di circa 30 minuti - e riunioni di gruppo. Invita i giocatori a riflettere sulle proprie emozioni ed esperienze, tanto che ogni mattina la squadra medita prima dell’allenamento: “Concentrarsi sui risultati genera molto stress, farlo sulle performance invece è molto creativo”, ripete. L’intenzione del Bodo è quella di continuare a vincere, di aprire un ciclo nonostante cessioni illustri che sembrano inevitabili. I prossimi Hauge potrebbero essere due pilastri come i danesi Philip Zinckernagel e Kasper Junker, o lo stesso Berg. Intanto, però, la Norvegia si gode una macchina perfetta. Un ascensore che sa solo salire. Una storia di perdenti diventati uomini da record.

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