"Ronaldo, Icardi, la mia Inter". Zamorano: "Il calcio, la mia vita"

Bam Bam. Cuore, potenza e passione. Ivan Zamorano torna nella sua Italia, con il sorriso sulle labbra e con una bottiglia di vino da stappare. Si chiama “El Capitàn”, l’ha prodotta nel Salento con l’imprenditore locale Fabio Cordella. “È buono, forte, mi somiglia molto: abbiamo messo nel vino quello che io mettevo in campo”. Ai microfoni di gianlucadimarzio.com, l’ex attaccante cileno, oggi 52 anni, ripercorre gli anni italiani vissuti con la maglia dell’Inter, dove arrivò dal Real Madrid nel 1996 e rimase fino all’estate 2001. “Che sia a Milano, a San Siro oppure all’estero, quando vedo giocare l’Inter provo un sentimento fortissimo, è qualcosa di speciale per me. Ho sempre dato tutto me stesso per i colori nerazzurri, lottando per vincere e divertirmi sul campo. Al di là dell’amore per l’Inter, però, credo di aver lasciato qualcosa a tutto il calcio italiano. Quando incontro per strada tifosi di Milan, Juventus o Fiorentina, si dimostrano tutti affettuosi e mi portano rispetto. Nel mondo del calcio non è così scontato. Ne vado fiero: significa che sono riuscito a trasmettere a tutti il mio modo di vedere questo sport”.
 
A guardarsi in giro oggi, nei migliori campionati europei, quelli come Ivan si contano ormai sulle dita di una mano: “Caratterialmente mi rivedo solo nella mia gente. Medel, Vidal. Io sentivo il calcio in un modo differente: ogni pallone era vita o morte”. Il guerriero che tutti ricordano non era un semplice personaggio: per Zamorano, il calcio è sempre stato una ragione di vita. E proprio questo, in fondo, gli ha permesso di distinguersi dagli altri e di raggiungere altissimi livelli. “La verità è che siamo tutti differenti: io ho fatto della grinta il mio punto di forza. Se cerco un giocatore come me, oggi, non riesco a trovarlo. Uno mi somiglia nella corsa, l’altro nel modo di calciare, Ronaldo magari nel colpo di testa”. Elevazione da record per CR7, pure Zamorano però non scherzava nel gioco aereo. 179 centimetri di pura energia, da bambino si allenava con i lampadari di casa: rincorsa, salto e stacco. Dall’asfalto di Santiago de Cile allo Stade de France in finale di Coppa UEFA, di strada Bam Bam ne ha fatta tanta.


 
Arrivai al Bologna nel 1988, mi dicevano che ero giovane e dovevo fare esperienza in prestito. Andai al San Gallo, segnai molti gol e in Svizzera mi trovavo davvero bene. Un anno più tardi, fui io a non voler tornare in Italia: scelsi di fare un’altra stagione al San Gallo, poi Siviglia, Real e Inter. Diciamo che in nerazzurro mi sono preso una bella rivincita”.


 
Dal Bologna all’Inter, dieci anni dopo il suo arrivo in Europa Zamorano vinse la Coppa UEFA: era il 1998. Lazio-Inter 0-3, Ivan fa gol dopo cinque minuti di gioco. Raddoppia El Tractor Javier Zanetti, poi la chiude Ronaldo. Anzi, “Luis Nazario de Lima”, come sottolinea Ivan per distinguere il brasiliano dagli… omonimi: “E’ il compagno più forte che ho avuto in carriera. Quando si ruppe il ginocchio in Coppa Italia a Roma, nessuno credeva che sarebbe tornato ai suoi livelli. Tutti raccontano di come la sua qualità venisse fuori sul più bello, dopo settimane di allenamenti “svogliati”. A me piace guardare al Ronaldo professionista, che lavorava sodo per riprendere a giocare al top. E riprendersi in quel modo lì dopo un infortunio del genere, credetemi, è da Fenomeno vero”.

 

Proprio a Ronaldo è da ricondursi uno dei marchi di fabbrica di Zamorano: la maglia 1+8. “Dopo i Mondiali del 1998, Ronnie stava vivendo un periodo particolare. Da Moratti a Mazzola, passando per Suarez, gli altri dirigenti e tutti i miei compagni: capimmo tutti che era il momento di far sentire a Ronaldo la nostra fiducia, di fargli capire quanto fosse speciale per noi. Ci voleva qualcosa che lo stimolasse, io sapevo che gli sarebbe piaciuto vestire la mia numero 9. Decisi di lasciargliela e Sandro Mazzola mi fece: “Dai Ivan, puoi sempre optare per una somma. Il 18, il 27, vedi un po’ tu”. La somma… Quella parola mi rimase impressa. “Posso farla per davvero”, pensai. Andai a chiedere a Moratti se fosse possibile mettere un “più” tra i due numeri. Una volta ottenuto il permesso, affidai questo compito a Paolo e Claudio, i magazzinieri. Dopo qualche giornata di campionato con il nastro adesivo incollato sulla schiena, la mia maglietta diventò la più richiesta nei negozi. A quel punto, la Nike cominciò a produrle con il + già stampato”. Gira pagina per continuare a leggere: da Simeone al caso Icardi.

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Per un anno, in stanza con Zamorano, c’era El Cholo Simeone: “Parlava ogni giorno di calcio, si capiva che da grande avrebbe fatto l’allenatore. Anzi, si capiva pure il modo in cui lo avrebbe fatto. Guardi l’Atletico oggi e pensi che... cazzo, quella è proprio la squadra del Cholo. Ha preso il colchoneros in un momento pazzesco per Barcellona e Real Madrid, erano fortissime. Eppure, oggi l’Atletico è lì, a giocarsela con tutti. Ed è tutto frutto del lavoro di Diego”.

 
Ieri in campo insieme, oggi ancora nel mondo del pallone. Simeone è diventato un grandissimo allenatore, Zamorano invece fa il procuratore sportivo. Il compito di far gol e trascinare l’Inter adesso spetta – o meglio, è spettato – a due sudamericani: Mauro Icardi e Lautaro Martinez. La stima di Ivan nei confronti del Toro è come una benedizione: “Ho tanta fiducia in lui, con Conte può crescere ancora tanto. Se sta bene mentalmente e fisicamente, può diventare il grande attaccante che all’Inter serve in questo momento. I numeri 9 hanno bisogno di continuità e a Lautaro nell’ultimo anno è mancata. Dall’altro lato, però, Conte è bravo nel valorizzare i giovani e sicuramente anche Martinez ne beneficerà”.
 
Caso-Icardi? Nei grandi club, arriva sempre il momento di prendere una decisione, anche difficile, per far crescere la squadra. Con Icardi si è giunti a una determinata decisione perché, da quel che ho capito, lo spogliatoio era d’accordo nell’allontanarlo, la dirigenza pure, così come lo staff tecnico. Solo chi lavora ogni giorno per l’Inter sa quanto questa scelta fosse necessaria: i giocatori passano, il club rimane. E’ questo il motivo per cui il bene della squadra deve essere messo davanti a ogni cosa”.


 
Parla dell’Inter e gli si illuminano gli occhi, vive ancora il nerazzurro come ai tempi in cui lo indossava per scendere in campo. La parentesi a Milano è stata la più dolce della sua carriera: “Se potessi tornare indietro? No, credetemi: lascerei tutto cosi com’è. Mi sarebbe piaciuto vincere un po’ di più ma quando giochi a calcio ci sono anche degli avversari che lavorano per i tuoi stessi obiettivi, è da mettere in conto la possibilità di fallire. Non ho nessun rammarico. Da bambino, sognavo di fare il calciatore e di dimostrare alla gente l’amore che provavo nel rincorrere un pallone. Ho lottato per i miei compagni, per i club che mi avevano comprato. Ed era tutto ciò di cui avevo veramente bisogno”.

 
Cuore, grinta e passione. A 52 anni come quando era in campo, con il lampadario dentro casa come su quel calcio d’angolo al Bernabeu. Antitesi di un calcio sempre più social e meno sentimentale, simbolo di una generazione che ha riempito il cuore di tutti i tifosi. Dell’Inter, sì, ma non solo.

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