Zaino in spalla, giro del mondo. Ora, “profeta” in Colombia. Giuliano Tiberti, un italiano a Medellín: “Vi racconto la mia vita nel pallone”

Un amico un giorno mi ha bussato alla porta, e mi ha proposto di girare l’Europa per tre mesi: così è iniziato tutto”. Soltanto uno zaino in spalla, un bacio a mamma Antonella e un abbraccio a papà Sergio. “Ci vediamo presto”, avranno pensato. Ed invece il giro del mondo di Giuliano Tiberti non dura né 80 giorni né tantomeno tre mesi: “Sono in Colombia, a Medellín. Da quattro anni”, risponde la sua voce via Skype. A Roma Giuliano (30 anni, una laurea in scienze motorie ed una passione per il calcio che non è mai andata via) ha lasciato famiglia ed amici, un fratello “quasi sposato” (Giacomo) ed un nipotino (Matteo). Ed appena presa quella laurea, ha deciso di lasciare l’Italia e girare il mondo: 8 mesi fra Russia, Mongolia, Cina, Nepal, Sud-est Asiatico ed Australia. E’ il giro del mondo davvero, eh. Poi… “il Sud America”. Cosa ci fa un italiano in Colombia? “Hai fretta? Perché ci vuole un po’ di tempo per rispondere”. Tempo ce n’è, Giuliano si mette comodo. Lo senti che ha voglia di raccontare il suo cammino e la sua vita, la sua esperienza: “Ho valutato quello che l’Italia poteva offrire ad un ragazzo di 25 anni laureato in Scienze Motorie. Tutte le opportunità erano chiuse: non trovavo lavoro e guadagnavo 1000 euro a giocare in Eccellenza. Non mi lamentavo, ma non era quello che volevo: ormai, nel calcio professionistico, non potevo più sfondare”. E allora, zaino in spalla? “Sì, ho deciso di viaggiare e lavorare. Ho fatto di tutto, cameriere, barman…. Poi l’arrivo in Sudamerica, e vedendo questo posto ho avuto l’idea di tornare a lavorare nel calcio, nella mia passione. Mi sono innamorato di questo paese, della loro gioia di vivere e del loro talento: mi sono creato una possibilità, ho bussato a tutte le società sportive cercando un’occasione”. Ed è arrivata: “Sì, il primo anno ho investito su me stesso, poi vincendo campionati e facendo un bel lavoro stiamo andando avanti. Ora alleno le squadre sub-14 e sub-15 dell’Estudiantil, una cantera che cresce i ragazzi fino a 17 anni. Ogni anno, tre o quattro di loro vengono in Europa”. L’ultimo? “Sergio Galeano, lo ha preso all’Udinese e girato al Granada dove sta facendo molto bene”. Come lui, un italiano a Medellín. Non c’è da stupirsi se risultati alla mano, in Colombia, lo hanno già soprannominato il ‘Profeta’: lui ride, poi spiega che “è merito dei metodi di lavoro che ho portato qui. Dopo due vittorie a livello nazionale con gli juniores, il Presidente ha deciso di affidarmi squadre più giovani per avviare un percorso di formazione e portarle a competere a livello nazionale”. Per farlo, Giuliano è tornato a Roma: 4 mesi, il tempo per ripartire col patentino UEFA B da allenatore in mano. Un corso fianco a fianco con Daniele Conti, “ci sentiamo spesso: è una persona generosa, squisita e semplice. Di quelle che ti sorprendono”. La prima curiosità che ci deve togliere, però, è come l’abbia presa la sua famiglia. Giuliano allora si mette di nuovo comodo e ricomincia: “All’inizio non è stato facile, ma con loro ci siamo arrivati gradualmente. Sono andato via di casa a 25 anni, con uno zaino in spalla ed una laurea appena presa. Ad un certo punto devi prendere una decisione nella tua vita ed io, viaggiando, ho visto il mondo con occhi nuovi. Quando succede questo, i genitori lo capiscono e loro piano piano hanno condiviso la mia visione”. Nostalgia, però? “Cerco di tornare ogni anno per un mese a Natale, ora tornerò ad aprile per dieci giorni perché il mio Presidente per il compleanno mi ha regalato il biglietto aereo. Però io qui vivo bene e sono felice, per questo i miei genitori sono tranquilli”. Hai trovato la felicità? “Credo che la felicità non sia una condizione eterna dell'esistenza, la vita è un viaggio altalenante di emozioni. Però potersi guadagnare da vivere facendo qualcosa che ti appassiona enormemente si avvicina di molto alla felicità ed al benessere dell'esistenza: faccio cose che mi rendono felice, e questo mi basta. Lavoro tanto, con passione. E poi Medellín è una città accogliente, con un clima meraviglioso ed un paesaggio stupendo. Mi alzo alle 8/9 di mattina, preparo il lavoro, pranzo e vado al campo per gli allenamenti. Quattro a settimana più la partita, poi il tempo libero: una birra con gli amici, cinema, teatro…”. Calcio italiano? “Anche! Ho visto Real-Roma, ma in generale seguo sempre la Serie A. Qui però più di tutti vanno Liga e Premier League, ma anche la Bundes con Guardiola è in crescita. La Colombia è un paese matto per il calcio”. Strutture? "Sicuramente un passo indietro rispetto agli standard europei, ma stiamo crescendo. Medellín è una delle grandi città del calcio in Colombia: non avremo l'organizzazione europea, ma quanto quanto talento...". Lì il calcio è ancora gioia sì, "bambini che giocano ovunque, genitori che non danno mai problemi. Chiunque vada in campo, per loro è un divertimento, un momento di grande gioia. Viene etichettato come un paese del terzo mondo, ma non è così. La Colombia gode di una fama che non rispecchia la realtà: qui vivo benissimo, non ho mai avuto problemi". Giuliano Tiberti è una persona concreta, lo si sente. Lo si percepisce. Ed infatti niente sogni, neppure gli obiettivi a lungo termine fanno per lui: “Quando cambi spesso vita, non hanno senso. Ora voglio vivere al meglio questa esperienza, ho due anni di contratto e voglio formare i miei ragazzi con l’ambizione di arrivare, un giorno, nel professionismo. L’idea, e la speranza, è quella di tornare in Europa sì. Posso aggiungere una cosa?” chiede poi nell’unico attimo di timidezza che traspare. Tempo ce n’è ancora, in fondo la tecnologia azzera le distanze: “Ho letto un’intervista a Ranieri qualche giorno fa. E diceva che il calcio fa fatica ad essere un divertimento in Italia: mi ci sono rivisto, quando giocavo non ho mai vissuto questo sport come una gioia. E qui l’Italia deve cambiare. Soffriamo il calcio come un dovere, qua in Colombia è ancora joya. Ci tenevo a dirlo…”. Ci salutiamo, lui si prepara per gli allenamenti del suo Estudiantil e per un’altra giornata da italiano a Medellín. Un giorno, sicuramente, lo rivedremo in Italia. E non basterà più soltanto uno zaino sulle spalle per ripartire: porterà dietro un pezzo di Colombia, chissà magari anche qualche talento ma soprattutto “il ricordo del primo giorno qui. Era un giovedì, avevo appena avuto l’incarico e quando sono sceso in campo mi sono sentito a casa: ho capito che questo è il lavoro della mia vita e mi ha dato una grande forza per continuare nonostante la nostalgia di Roma”. Anche per questo allora, forse, chiusa la chiamata ci scrive su Whatsapp, un sms che diventa un messaggio in una bottiglia che attraversa l’Oceano in un attimo: “Vi uso per abbracciare con affetto e ringraziare pubblicare i miei genitori e la mia famiglia. E salutare il gruppo Barbazza: sai, sono gli amici di tutta una vita”. Vita che dice che di strada, Giuliano, ne ha fatta eccome. E c’è da scommetterci, ne farà ancora molta. Il profeta. 

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