Le cinque mosse con cui Xavi ha rilanciato il Barcellona
Qualcuno dalla stampa più madridista la definì addirittura “una pagliacciata”. Era l’8 novembre, il Barcellona stava vivendo uno dei momenti più bassi della sua storia e Joan Laporta presentava il suo nuovo allenatore ballando al ritmo di un Camp Nou elettrizzato per il ritorno, questa volta in panchina, di un ragazzo della casa come Xavi Hernández. Un colpo di teatro prima di tornare alla solita, deprimente vita, dicevano, ma Laporta era sicuro: “Questo giorno marcherà la storia del club”.
Cacciato senza troppi convenevoli Koeman, Xavi aveva il compito di onorare un’idea e riportare entusiasmo. Compito facile dopo un periodo buio così lungo, meno semplice dissipare la paura più grande: che i probabili risultati negativi ricreassero un ambiente ostile e che lui crollasse senza il paracadute dell’esperienza. Cinque mesi dopo quell’8 novembre dei timori non c’è più traccia. Il Barcellona incanta e i risultati sono solo una conseguenza. L’ultima vittoria contro il Siviglia l’ha portato al secondo posto in Liga e questa sera contro l’Eintracht si gioca i quarti di finale di Europa League. Da grande favorito.
È questo, in pochissime parole, quello che Xavi ha ottenuto nei suoi primi 150 giorni da allenatore del Barcellona. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui. È vero, ridare a questa squadra una mentalità vincente, vedendo da dove partiva, è già un risultato enorme, ma Xavi il Barça l’ha proprio rivoltato come un guanto. Tanto che oggi è difficile trovare molte squadre che giochino meglio di loro in Europa. E allora fra tattiche, ambiente, mercato e rigore, esploriamo i cinque segreti con cui Xavi ha ridato vita ai blaugrana.
1) Armonia dentro e fuori dal campo
A Ronald Koeman, predecessore di Xavi, si possono imputare tanti errori. Ma una grande attenuante gli va concessa: non ha mai avuto l’appoggio dei piani alti, che a loro volta non hanno perso occasione per esprimere la loro ostilità, anche pubblicamente.
Per Xavi, invece, le cose sono state subito diverse. Laporta l’ha messo in chiaro dall’inizio: “Avrà il nostro supporto quando le cose andranno male. E quando andranno peggio, pure”. La differenza col predecessore è evidente: quest’allenatore lui l’ha scelto. Non solo: dopo la promessa disattesa della permanenza Messi, era la prima vera dimostrazione ai tifosi che ci tenesse davvero ai valori del club. In un certo senso, Laporta non ha promesso di proteggere Xavi, ma un’identità.
Con l’appoggio del presidente, e il clima più sereno che ciò ha generato, la musica in panchina è cambiata radicalmente. Un’altra chiave è stata la sintonia di Laporta e Xavi con Mateu Alemany e Jordi Cruijff, rispettivamente direttore sportivo e segretario tecnico. La costruzione della squadra, da vari anni troppo caotica, ne ha giovato.
2) Grande mercato invernale
Ecco, il mercato. Se vogliamo seguire il paragone con Ronald Koeman, a lui avevano preso Luuk de Jong e tolto Griezmann e Messi. A Xavi invece è stato concesso “un regalo caduto dal cielo”, usando la sua stessa definizione, come Pierre-Emerick Aubameyang. È arrivato poco più di due mesi fa, ma si è integrato così bene che sembrano un paio d’anni. Sono già nove i gol in 12 partite. Per mettere in prospettiva: gli ultimi nove con l’Arsenal li aveva accumulati in ben nove mesi. Tutto frutto dello “Xavi ball”, come si diverte lo stesso Barça a promuoverlo sui social.
Oltre a lui sono arrivate due ali. La prima è Adama Traoré, un prestito presente ed efficace nelle prime uscite, oggi meno sfruttato per dar spazio alla furia di Dembélé. Ma soprattutto è arrivato Ferrán Torres, cocco di Guardiola che ha scelto di affidarsi al suo probabile successore. È diventato subito un titolare inamovibile, ma il valore del suo trasferimento è innanzitutto simbolico: che un giocatore sia ancora disposto a trasferirsi da una superpotenza come il Manchester City indica che il marchio Barcellona sia ancora molto forte. E il merito è anche del lavoro di Xavi.
Infine, non si può trascurare il contributo di Dani Alves. 38 anni sul groppone, eppure è uno degli imprescindibili di questa squadra. È arrivato in uno stato fisico invidiabile, portando in valigia l’essenza del calcio che Xavi voleva impiantare, e soprattutto il materiale per impartire ai compagni un master in cultura della competizione. Tutto al minimo salariale: un ritorno inestimabile.
3) Potere ai giovani
A loro si sono aggiunti i ragazzi terribili che il Barça aveva già a disposizione. Alcuni, come Gavi o Nico González, sono frutto di una riscoperta della cantera. Altri, come Pedri, sono figli della nuova tendenza del Barcellona nel pescare i giovani più promettenti anche fuori da Can Barça. L’apporto che danno è insostituibile, non solo per la loro scandalosa proprietà tecnica, ma anche perché aiutano Xavi a mantenere viva la fiamma del DNA Barça, quello che lui è stato chiamato a restaurare.
4) Il lavoro tattico
Parlando di Pedri, il centrocampista canario è stato uno dei punti cardine del rinascimento di Xavi, che passa innanzitutto dal gioco. “Il nostro stile si basa sul dominio dello spazio e del tempo, e lui è fondamentale per portarlo avanti”, ha detto l’allenatore dopo il suo ultimo, Messi-esco gol contro il Siviglia (che non a caso ha scatenato il coro “Peedri, Peedri”, che prima di lui il Camp Nou cantava per l’astro argentino).
Non tutti, però, sono calcisticamente superdotati come Pedri. L’aveva detto proprio quand’è arrivato: “alcuni giocatori non capiscono il gioco di posizione”. E infatti Xavi ha dovuto fare un profondo lavoro di educazione della rosa alle idee che propone. Considerando che quello fosse il livello di partenza, la velocità con cui l’allenatore è riuscito a costruire una macchina così virtuosa è davvero da primo della classe.
Il modulo è tornato ad essere il classico 4-3-3, ma ci si è arrivati attraverso un processo di prova-e-sbaglia, fatto di 3-5-2, 3-4-3 e 4-2-3-1. I principi, però, sono stati chiari fin da subito: “Dobbiamo vergognarci quando perdiamo il pallone”. Lo stile scelto ovviamente è figlio del guardiolismo, di cui Xavi era perno, ma si situa a metà fra il Tiki Taka (che Koeman prima dell’esonero chiamò “Tiki Taki”, rendendoci l’immagine più nitida di come con lui il Barça fosse uscito fuori dai binari della propria identità) e il gioco più intenso e verticale che impose Luis Enrique.
Tre ruoli hanno competenze cruciali e innovative per il Barcellona di oggi. Per cominciare, le mezze ali (de Jong e Pedri) giocano paradossalmente poco alla Xavi: creano spazi oltre che distribuire il pallone, corrono molto in verticale e cercano sistematicamente l’inserimento.
E anche chi con Xavi aveva giocato, Dani Alves e Jordi Alba, ha adottato posizioni diverse rispetto al passato. I terzini, infatti, agiscono spesso da mediani aggiunti e raramente si sovrappongono. Le ali, invece, sono molto aperte e cercano ripetutamente l’uno-contro-uno. Oggi sono proprio loro — Ferrán, Dembélé, Adama — i giocatori che più fanno la differenza in questo sistema. In attesa della vera punta di diamante del ruolo: Ansu Fati, pronto a tornare dopo un lungo infortunio.
Offensivamente, per il Barcellona l’arrivo di Xavi ha cambiato tutto. I culé sono passati dal non produrre tantissimo e convertire poco (1,5 gol attesi e 1,3 segnati a partita) ad essere una squadra spettacolare, produttiva ed efficace (2 gol attesi e 2,5 segnati in media nel 2022). Nel gioco di transizioni veloci e pressing che Xavi chiede la difesa ha un po’ sofferto, ma adesso sembra aver trovato una sua dimensione: in cinque delle ultime sette gare non ha subito gol.
5) I 10 comandamenti
L’ultimo dei “segreti”, in realtà, è in ordine di tempo il primo che Xavi ha impiantato. Sono finiti i (lunghi) tempi di permessi e privilegi: l’allenatore di Terrassa ha subito spiegato che con lui senza rigore e disciplina i giocatori non sarebbero andati lontani. Tanto che ha stilato i suoi personali “10 comandamenti”, rimbalzati su tutta la stampa spagnola:
- I giocatori devono arrivare mezz’ora prima dell’allenamento.
- Lo staff deve arrivare due ore prima dell’allenamento.
- I giocatori mangiano al centro di allenamento.
- Multe per chi non rispetta le regole.
- Il valore delle multe aumenta esponenzialmente ad ogni nuova sanzione.
- Non si può tornare a casa dopo la mezzanotte nei due giorni precedenti alla partita.
- Ci si allena duramente, e gioca solo chi dà tutto in settimana.
- I giocatori sono liberi di fare quello che vogliono fuori dal campo, finché le loro attività non pregiudicano il rendimento (a Piqué, per esempio, è stato impedito di viaggiare a Madrid per un’intervista).
- Nessun passatempo “rischioso”, come andare in bici o in monopattino elettrico (l’ha fatto Riqui Puig, ed è stato sanzionato).
- I giocatori sono tenuti a mantenere una buona immagine, perché i tifosi possano identificarsi in loro.
Cinque ingredienti, un cocktail perfetto. Il Barcellona non sarà ancora il Barcellona, ma è sulla strada giusta per tornare ad esserlo. A Xavi, intanto, sono bastati 150 giorni per consacrarsi ai livelli più alti del gioco e portare un club depresso a surclassare squadre che fino a poco tempo fa non erano più considerate alla sua portata (come il Real Madrid), giocando fra l’altro divinamente. Gli si chiedeva molto meno, ci si aspettava infinitamente di meno.
Ve lo ricordate l’8 novembre? Quella festa il giorno del suo arrivo a qualcuno era sembrata “una pagliacciata”, e invece potremmo davvero ricordarla come uno dei grandi punti di svolta nella storia del club, come disse Laporta. Sicuramente, come l’inizio di una carriera da stella, quella dell’allenatore che in 150 giorni ha ribaltato il Barcellona.