Vittorio Torino: "Maledetto rigore, non avrei mai lasciato Messina"

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La maglia grigia, lo stemma del Messina sul cuore, la rincorsa lunga e il piattone aperto. Undici metri più avanti, la Serie B è un sogno infranto sui guantoni di Sansonetti: «Avessi segnato quel rigore, sicuramente non sarei stato ceduto alla fine del campionato».

Vittorio Torino oggi fa l’osservatore per il Bologna e insegna ai ragazzini a fare gol: «Seguo anche mio figlio, nell’Under 14 dei rossoblù»

Buon sangue non mente, ma se potesse fermare il tempo non sceglierebbe un momento diverso. C’è un prima e un dopo Avellino nella sua carriera, perché a volte il destino gioca con gli uomini e rigori condizionano le esistenze.

Il 12 maggio 2001, al termine di un duello entusiasmante, il Palermo centra la promozione e il Messina è condannato ai play off. «Al Partenio ci giocavamo tutto. Eravamo a pari punti con i rosanero – ricorda Torino su Gianlucadimarzio.com – con gli scontri diretti a favore, ci bastava fare lo stesso risultato loro per andare in B. L’Avellino non chiedeva nulla al campionato, ma disputò la partita della vita. Nel finale ci fu l’episodio del rigore e io sfortunatamente sbagliai»

"QUANDO HO 'SUPERATO' RAVANELLI"

Un colpo durissimo, anche per chi ha sulla pelle le scorie del terremoto: «A Gualdo, in Umbria, dopo il sisma, dormivamo nei container. In quelle situazioni capisci quali siano le reali priorità. Il dramma ci unì e ci qualificammo da terzi per i play-off tra mille vicissitudini».

Anche a Messina per il salto di categoria ci vorranno gli spareggi e, ironia della sorte, un doppio derby con il Catania: «Dopo la sconfitta di Avellino ci davano per morti, ma riassorbimmo la botta e stupimmo tutti»

Lieto fine all’altezza, degno di una cavalcata trionfale: «Il Palermo del presidente Franco Sensi era una corazzata, noi una matricola, nessuno osava metterci sullo stesso piano. Ma ad agosto li battemmo 3-0 in Coppa Italia». Segnali chiari: «Eravamo forti ma all’inizio stentammo. La musica cambiò con l’arrivo in panchina di Florimbi». Godeas, Corino, Portanova.

Eppure la vera star era un’altra: «Enrico Buonocore, dieci vecchio stampo con una tecnica fenomenale, il più forte con cui abbia mai giocato». Lo nomina e quasi si commuove: «Poteva essere protagonista in Serie A, venne da noi in C2 e percepimmo la lungimiranza del progetto». 

Sono anni magici per Torino: Messina sogna trascinata dai gol del numero nove. «Venni ospitato persino a Controcampo: ero il calciatore ad aver segnato di più tra i professionisti, più di Crespo e Weah. Superai il record di Fabrizio Ravanelli»

Lo vogliono tutti, lui si sente invincibile: «Salernitana e Cosenza avrebbero fatto carte false per acquistarmi in B, ma sognavo la A con il Messina. Non era utopia, perché alla fine di quel ciclo loro ci arrivarono. Avrei lasciato lo Stretto solo per il Napoli, la mia squadra del cuore».

Periodo complicato per i campani: «Mi contattò il direttore generale Pavarese, ma erano in piena crisi economica e il passaggio sfumò». Poco male: «A Messina non mancava nulla, la passione della gente era impressionante. I tifosi ci trascinavano e in casa, al Celeste, non perdevamo praticamente mai. In tre anni, forse quattro volte».

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"VIA DA MESSINA SOLO PER IL NAPOLI"

La prima promozione, quella in C1, arrivò al secondo tentativo: «Avremmo meritato di andarci subito, quando segnai 24 gol, invece perdemmo i play-off a Lecce contro il Benevento. L’anno dopo dominammo e non ci fu storia».

L’impatto con la categoria superiore è metabolizzato dai risultati: «Andammo a Palermo consapevoli della nostra forza e firmammo l’impresa, vincendo a distanza di 42 anni dall’ultima volta con una mia rete». Emozioni indelebili: «A raccontarla adesso ho ancora la pelle d’oca». 

I gol fanno rumore: «Oggi lo posso dire, nel mercato invernale il Palermo provò a prendermi, venne il direttore Perinetti a trattare, poi mi chiamò il Presidente Aliotta e mi disse 'Vittorio, l’offerta è importante, decidi tu'».

Banale la risposta: «Non andai nemmeno all’appuntamento, li ringraziai per la proposta, ma declinai. Con che faccia mi sarei potuto ripresentare davanti ai tifosi? La gente mi adorava, i bambini giravano con la mia maglia. Certi valori contano più dei soldi». 

Note stonate nel paradosso del pallone moderno. Dietro l’angolo, però, ci sono Avellino e l’epilogo amaro di una storia d’amore romantica e bellissima: «Quel rigore mi tolse la possibilità di fare il salto definitivo e di tornare in B».

L’aveva assaggiata da ragazzo, a Ravenna, con Novellino allenatore: «Era un maestro, i suoi insegnamenti me li ritrovai lungo tutta la carriera. In rosa avevamo calciatori come Vittorio Mero, Stefan Schwoch, Gianluca Luppi, Beppe Iachini e Lamberto Zauli. Sfiorammo la Serie A»

Il mare come filo rosso, così, mentre il Messina e suoi compagni vanno in B, lui prende il traghetto e sbarca a La Spezia: «Andai via a malincuore, ma la maglia giallorossa è come se non l’avessi mai tolta. In Liguria trovai Pandev, veniva dalla primavera dell’Inter e aveva numeri impressionanti. In allenamento ci guardavamo stupiti, domandoci perché fosse lì».

Gli stimoli, però, iniziano a calare e ripartire per Torino diventa terribilmente complicato: «Ho girato molto. Sono stato ad Andria, Nocera e Legnano, piazze di livello, eppure imparagonabili a Messina. Quando senti il calore, il trasporto, l’entusiasmo della gente, rendi al meglio. Io quel contesto e quei brividi non li ho provati più». Colpa di un rigore, perché a volte è proprio da questi particolari che si giudica un giocatore. ù

di Giovanni Sofia

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