I vichinghi sul tetto d'Islanda, titolo al Vikingur Reykjavík 30 anni dopo

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C'erano un danese, un salvadoregno e un sierraleonese. No, non è l'attacco di una barzelletta per strappare qualche risata a chi legge, anche se siamo praticamente certi che questa storia un sorriso lo farà spuntare comunque. 

 

Vikingur, un trionfo atteso 30 anni

 

Una squadra islandese di soli islandesi, eccezion fatta per i tre sopracitati con origini diverse. Il Vikingur Reykjavik è campione dopo 30 anni di attesa, dopo una cavalcata strepitosa in campionato nonostante l'altresì stagione da 8 in pagella del Breidablik, la maggior antagonista dei vichinghi piazzatasi a meno uno dalla vetta. La storia di un successo non scritto, per svariati motivi. Il primo, il terzultimo posto dello scorso anno. Il secondo, un calciomercato fatto di 12 acquisti senza spendere un euro (e di conseguenza con tutte le incognite che porta) e con la cessione dell'ultimo bomber Karlsson, acquistato dal Venezia e girato in prestito al Siena. 

  

Ma sono le storie dei singoli a fare la differenza il più delle volte. Ad esempio quella del capitano Sölvi Ottesenn, nato calcisticamente nel Vikingur e definito un simbolo nonostante un'assenza di 14 anni. Dal 2004 al 2018 in giro per il mondo: dalla Svezia alla Norvegia, passando per Russia, Thailandia e Cina. "Lascio casa, ma un giorno vi farò ritorno" , l'addio del difensore tra le lacrime nel giorno della partenza verso altri lidi. Poi di nuovo al Vikingur, promessa mantenuta, assieme alla speranza di riportare un titolo da quelle parti che manca da un trentennio. Missione compiuta a 37 anni suonati, leader in campo e fuori. Sempre con quella fascia di capitano al braccio. Lasciata, solo per ambizione, ma sempre sua. Da sempre. Per sempre.

 

Altro simbolo, Pablo Punyed. Dal sole della Florida al gelo dell'Islanda, di fatto la sua seconda casa. Due titoli in bacheca con Stjarnan e Reykjavik, poi quello con il Vikingur arrivato pochi giorni fa. "Il ricordo più bello? Aver affrontato Javier Zanetti", non alla playstation ma sul campo di gioco. Agosto 2014, playoff di Europa League. Lo Stjarnan viene sorteggiato con l'Inter. Ovviamente, per chi non lo ricordasse, il confronto fu senza storia (6-0 a Milano, 0-3 esterno dei nerazzurri) ma Punyed realizza comunque un sogno: stringere la mano ad uno dei suoi idoli

 

Arnar Gunnlaugsson l'artefice dell'impresa. Prima vice allenatore del Vikingur, poi promosso a ruolo di primo. Chiamato per riportare il titolo da quelle parti, impresa non semplice e che le prime stagioni confermano in toto. Al primo anno, la stagione 2018-2019, la squadra si piazza al settimo posto. Quella successiva addirittura al terzultimo. Sembra essere arrivata la fine per Gunnlaugsson, ma il club dà ancora fiducia all'allenatore. "Sono stato chiamato per tentare un'impresa. La mia testa mi dice di mandare tutto all'aria e tornarmene a casa. Il mio cuore invece che è possibile farlo", così ai nastri di partenza della nuova stagione. Le prime vittorie condite da buone prestazioni, il Vikingsvollur che diventa un fortino ( impianto da appena 1500 posti ) e sogno che diventa realtà proprio davanti ai tifosi di casa. Vikingur-Leiknir assegna il titolo.

 

Duemila tifosi presenti, già un record se pensiamo che il numero massimo di supporters allo stadio raggiunto in stagione è stato di 804 contro il Kopavogs. 2-0 grazie alle reti nel primo tempo di Hansen e Agnarssson. Secondo tempo a scandire secondo dopo secondo i minuti che separano il Vikingur dal titolo. Poi il fischio finale. La festa per le strade della città, e missione compiuta per Gunnlaugsson.

 

"E' il giorno più bello della mia vita, questa squadra meritava di tornare a vivere giornate come queste" il commento a caldo dell'allenatore che sa di essere entrato di diritto nella storia di un club fondato nel 1908 e dal valore complessivo che non supera i 2 milioni di euro.

 

Certo, stiamo parlando di un calcio forse lontano anni luce da quello al quale siamo abituati. Ma forse è per questo che per certi versi è anche più bello da raccontare. In ballo ci sono interessi che vanno al di là dell'aspetto economico. Si scende in campo per divertirsi e divertire. E per iscrivere il proprio nome nella leggenda.

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