Vicente Calderon, la bellezza eterna di un tempio abbandonato

La strada che porta al Vicente Calderon si chiama Paseo de los Melancólicos. Sembra uno scherzo ma è così da sempre. Una volta stonava con le urla dello stadio che ha accompagnato 51 anni di storia dell’Atletico Madrid. Oggi è il nome perfetto per descrivere l’atmosfera intorno al tempio dismesso. Silenzio, quiete e lavori in corso. Qui i colchoneros hanno festeggiato 5 dei loro 10 titoli nella Liga. Qui è nato il Cholismo, il calcio operaio capace di superare l’altra metà di Madrid e le grandi potenze europee. Qui è caduta la Juventus nel 2014, nell’ultima volta che i bianconeri hanno sfidato l’Atletico.




Il calcio operaio di Simeone ha cambiato casa, 17 chilometri più a est, stadio Wanda Metropolitano. Qui sono rimasti gli operai. Gilet giallo e piccone in mano. Nessuna sommossa stile Parigi, semplice riconversione di un luogo speciale. Il fiume Manzanares continua a scorrere lento a fianco di uno stadio che tra poco non esisterà più. In questi giorni sono iniziati i lavori per trasformare quest’area in un complesso residenziale, con ampie aree verdi e qualche locale di ristoro. Quasi 200 mila metri quadri da riconvertire, progetto di una municipalità costretta dalle esigenze del tempo a demolire sentimenti antichi.

L’ultimo urlo per un gol risale al 21 maggio 2017, il giorno della chiusura. Rete di Correa contro l’Athletic Bilbao, più di mezzo secolo dopo il primo segnato da Luis Aragonés contro il Valencia. È ancora lui il miglior marcatore della storia rojiblanca con 172 reti, ma un piccolo diavolo col 7 sulle spalle ha toccato sabato scorso quota 130. Griezmann è il simbolo del nuovo Atletico e di un tempo che scorre più veloce del Manzanares.






Nel parco circostante quasi tutte le panchine hanno la seduta che dà le spalle al Vicente Calderon. Sembra un modo per non guardare al passato. Perché la storia del “club Atletico de Madrid” si è solo spostata un po’ più in là. Qui, a due passi dal fiume, il silenzio viene interrotto solo dai colpi di piccone e dai clacson delle auto. Ci vorranno tre anni per finire l’opera, perché tutto questo sia davvero altro. E magari per vedere rifiorire le attività commerciali circostanti. Qualche ristorante ha chiuso, altri, come il mitico bar “El doblete” hanno seguito Simeone e compagni al Wanda. Fra gli abitanti del quartiere c’è chi guarda il Calderon con malinconia e chi sorride per una calma riscoperta.



Qui passava la Champions, oggi soltanto la trafficatissima M-30. Rumori di lavori e di motori, fari smontati e saracinesche abbassate. Oggi il Vicente Calderon è solo purgatorio. Una volta era il paradiso per una metà di Madrid e inferno per chi lo affrontava da rivale. Lo fu anche per la Juve, il primo ottobre di cinque anni fa. Gol di Arda Turan, sconfitta 1-0. Allegri e Simeone in panchina ieri come adesso, ma in campo i reduci di quel giorno sono pochissimi. Oggi nella Juve c’è Cristiano Ronaldo, l’incubo colchonero. Al Calderòn ha fatto 10 gol con due triplette, al Wanda è ancora a digiuno.





Il nuovo stadio ha 15mila posti in più. Saranno 15mila fischi in più. Tentativi di creare un miedo escenico e di esorcizzare il nemico che ha impedito all’Atletico di salire sul tetto d’Europa due volte quando bastava solo un passo. L’uomo che ha impedito a questa gente di festeggiare in uno stadio che oggi è una cattedrale che aspetta la demolizione. È il tempo che scorre. Lento e ineludibile, come il Manzanares

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