Urs Althaus, oltre Aristoteles: "Beckenbauer mi voleva ai Cosmos"
Cinque minuti e saltano gli appunti, si va a braccio: “Urs, chiudi gli occhi: cosa vedi?”.“Io in smoking a New York, nel privè dello Studio 54. Una grande festa”.
Prima che Aristoteles lo avvolgesse per sempre: “Sono stato modello, attore, calciatore, ma sarò sempre ricordato così”. Il bomber di Oronzo Canà ne ‘L’allenatore nel Pallone', film cult degli anni '80. “Sergio Martino, il regista, mi invitò per un provino. Chiese se sapessi giocare a calcio e risposi di sì. Non ci credeva, così iniziai a palleggiare. Preso. Quel ruolo fu un dono dal cielo”.
Una delle tante vite vissute: “Almeno dieci, e mi mancano tutte!”. Urs, 64 anni, sorride e ricorda. Oggi vive a Zurigo, il 7 agosto uscirà l’edizione italiana del suo libro. “Io, Aristoteles, il Negro Svizzero (Bibliotheka edizioni)”. Un titolo forte: “Politicamente scorretto, ma è giusto. Se non fosse stato per il mio editore non l’avrei chiamato così, ma andava lanciato un messaggio. In Svizzera è stato un best seller”.
Urs il modello
Molti temi, alcuni delicati. “Ho conosciuto il razzismo negli Stati Uniti. Ero lì come modello, avevo 21 anni, sono stato il primo ragazzo di colore a posare per GQ. Vivevo in un grande albergo, quando chiamavo i camerieri per farmi portare lo Champagne in camera non ci credevano”.
Incontri mondani: “Feci uno shooting con Susan Sarandon, attrice famosa (la Louise di 'Thelma e Louise'). Lei mi prese sottobraccio e mi portò al centro della scena, ma prima di scattare le foto ci dissero di dividerci. Io da un lato, Susan dall’altro”.
Come mai? “Per lei sarebbe stato svilente posare con un ragazzo di colore”. Schiaffi all’orgoglio: “Negli Stati Uniti non è cambiato nulla, oggi come 40 anni fa".
Calciatore
Urs racconta, spazia, e torna all’adolescenza. “Giocavo a Basilea, sognavo di diventare come Pelè, ma una volta mi scambiarono per Teofilo Cubillas”. Tutt’altro che un sosia: “Era il 1973, gli svizzeri non erano abituati ad avere giocatori di colore, così mi confusero con lui”. Anche sui giornali: “Quando entrai allo stadio venni sommerso dai tifosi, credevano fossi Cubillas. Il giorno dopo, in tutte le edicole, c’era la mia foto con scritto “benvenuto”.
Altri tempi, un’altra vita. Urs smette di giocare per un infortunio e si butta nella moda. Prima il lavoro, poi una vita da viveur con Pavarotti vicino di casa. “Una volta tornai alle 4 di mattina dopo un party. Ero stanco, volevo dormire, ma nell’appartamento di fianco sentivo un uomo cantare. Dieci, venti minuti, un continuo, così andai a bussargli a brutto muso. Mi lamentai, lui rispose col sorriso. “Ragazzo, sai chi sono io?”. Lo riconobbi e mi scusai, diventammo grandi amici".
La droga
Il tempio delle feste, a New York, ha nome e numero: Studio 54. Il paradiso dei vip e dei party esclusivi, aperto nel 1977 e chiuso nel 1986, sulla 54a strada. Ci sono passati tutti. E Urs li ha visti sfilare: “Madonna, Michael Jackson, Grace Johns, John Travolta. Ci andavo quattro volte a settimana”.
Siamo già alla quarta vita, purtroppo condizionata dalla droga: “È stato il più grande errore di sempre. Crack, cocaina, ecstasy, ho provato di tutto”. Poi ha smesso, dopo aver quasi passato il limite: “Una notte mi addormentai a Central Park, capii che ero fuori controllo. Avrei dovuto dare una svolta alla mia vita, altrimenti sarei morto. Chiamai un amico e andai a disintossicarmi. Da quel giorno sono pulito”.
Anche se ha continuato a frequentare le feste: “Ricordo la casa di Andy Warhol, pazzesca. Lui gentilissimo. Dava questi party esclusivi pieni di artisti e stilisti”.
Aristoteles
Gli anni ’80 coincidono con l’Italia. Urs incontra Lina Wertmüller e inizia un’altra vita, l’ennesima: “Mi invitò a Roma per girare un film con Sofia Loren, ma non è mai uscito”. L’allenatore nel Pallone invece sì, 1984: “Lino Banfi è stato come un padre, quella parte mi ha cambiato la carriera”.
Ancelotti, invece, recitò una parte che in futuro gli verrà qualche Oscar. “Mi insegnò a calciare le punizioni. Sergio mi disse che avrei potuto usare una controfigura, ma volevo segnare da solo. Primo tiro, palla in tribuna. Ci riprovo, ma non è cosa. Poi arrivò Carlo, disse di mettere il piede d’appoggio in un’altra posizione e poi calciare. Rincorsa e gol sotto l’incrocio, Graziani, scherzando, disse che mi avrebbe portato alla Roma”.
Franz Beckenbauer, invece, faceva sul serio. “Quando vivevo a New York andai diverse volte a vedere i Cosmos. C’erano lui, Pelè, Chinaglia, e un giorno Franz mi chiese se volessi provare a giocare con loro. L’avevo conosciuto a una festa, sapeva del mio passato allo Zurigo, ma rifiutai. Lavoravo come modello, guadagnavo bene, non me la sentivo di ricominciare. Tornando indietro, però, forse accetterei”.
Un viaggio, mille ricordi, aneddoti in serie. Tutti raccontati nel libro, che parla anche dell'ultima sfida: “Un anno fa ho sconfitto il cancro. Ho temuto di morire, ma sono stato fortunato. Un altro regalo di Dio. Prima di operarmi, il dottore mi ha chiesto se fossi l’Aristoteles del film”. Una delle vite vissute, l'unica che tutti ricordano.
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