Una vita da...Zampagna: "Il cuore, i sacrifici, le acciaierie e il lavoro! Giocavo per una 'pacca' sulla spalla, la mia storia..."
La rassegnazione per un destino già segnato, o la possibilità – meglio, la voglia – di lottare di trasformare quella rassegnazione in ‘rabbia’, in spirito di lotta. Ah, per fortuna esiste il libero arbitrio. E buona pace per i moralmente risentiti, evidentemente loro hanno optato per la prima di strada: quella più facile, quella più comoda. Che – se vuoi – ti permette anche di guardare il mondo da un letto o un divano. Lui, no. Lui ha lottato. Ha vinto. Non si è rassegnato al grigio delle acciaierie, ad un destino che di segnato non aveva un bel niente. Perché homo faber fortunae suae. Lui è Riccardo Zampagna. Punto. Niente soprannomi, li odia. La sua non è una storia. La sua è la Storia. Un inno alla vita, un inno a sognare. Di quelli veri, autentici. Dovrebbero scriverci un libro. No, già lo ha fatto.
Nasce a Terni, la Manchester d’Italia. Il ritmo di vita scandito dai turni delle acciaierie, dove lavorava papà Ettore e ogni tanto un giretto al Libero Liberati, che vedeva solo da fuori e dentro di sé ripeteva (“chissà un giorno…”). Quel giorno arriva, se lo vuoi. E’ arrivato. Ma il resto della storia non può di certo essere tralasciato. “Non sputo nel piatto dove ho mangiato – racconta Zampagna ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – A me e alla mia famiglia le acciaierie ci hanno dato da mangiare, però mi hanno tolto un padre, perché lui lì dentro ci è morto. Presto, troppo presto. Io posso solo augurare ad ogni ragazzo di avere modo di confrontarsi con un padre come il mio, perché mi ha trasmesso tanto. Un giorno mi disse, ‘Riccardo non seguire le mie orme. Alle acciaierie nessuno ti darà mai una pacca sulla spalla per un tubo fatto bene’. E io ho giocato proprio per sentirmi dare questa pacca sulla spalla e sentirmi dire ‘bravo Riccardo’, anche per mio papà. Poi è chiaro sarei un’ipocrita se sputassi sopra i soldi, mica si mangia il marciapiede della strada! E le pacche sulle spalle dei bergamaschi, quando ho rifiutato PSG, Fulham e Monaco forse sono state la cosa più bella. Ma mica solo le loro! Credo che quando morirò al mio funerale ci sarà un po’ di gente…”.
Il bello di Zampagna è che è proprio come te lo immagini: spontaneo, sincero. Dice quello che pensa, a volte pure in maniera abbastanza colorita. Ma è così bella la sua storia! E’ bella perché è dannatamente normale, in un mondo di ‘calciatori super eroi’, ‘calciatori super divi’. Ma mentre le qualità o ce le hai o non ce le hai, l’umiltà te la insegna la strada, la storia, la vita. Lo svegliarsi alle 6 di mattina tutti i santi giorni, il dover stare a casa il sabato sera. Perché se giochi non mangi. Altro che bolidi ultimo grido o ville extralusso… “Quando ho iniziato a giocare a calcio, lavoravo 12 ore al giorno e praticamente giocavo solo la domenica. Ho iniziato dalla Prima Categoria e intanto facevo il tappezzerie. Poi mi prese la Pontevecchio, una società di Perugia e così al datore di lavoro riuscii a strappare mezza giornata libero. Mi svegliavo tutti i giorni alle 6, alle 13 staccavo, prendevo la mia macchinina e andavo a Perugia. Alle 8 di sera tornavo a casa: cenavo e andavo al letto. Altro che discoteche! Sono stati otto mesi intensi, ma non potevo rinunciare al lavoro e non volevo rinunciare al calcio. Poi è cominciata la mia carriera da professionista con Walter Sabatini che mi prese alla Triestina e ancora oggi mi dice che sono stato la più grande scoperta che ho fatto”.
Alla fine anche il destino si è inchinato a Zampagna. E gliel'ha concessa l’emozione più bella. O, per essere meno fatalisti, se l’è guadagnata con sudore e umiltà l’occasione più bella: la Ternana. “Credo di essere stato l’unico ternano a vivere un’esperienza del genere. Da quando entravo nello spogliatoio a quando scendevo in campo, tutti momenti unici, bellissimi, indimenticabili. Non ce n’è uno in particolare. Intorno a me c’erano i miei amici, mi sentivo a casa. Una volta sono andato sotto la Curva e lì c’era mio cugino che piangeva. Terni è la mia città”. Per la quale ti sei anche impegnato nel sociale… “Sì. Ho scritto un libro e ho devoluto il ricavato per comprare un mammografo per l’ospedale. Poi abbiamo fatto un’amichevole al Liberati e con i proventi ho comprato un respiratore artificiale per i bambini nati prematuri perché qui non lo avevamo e ogni volta dovevano venire con l’elicottero per portarli a Perugia o a Roma”.
Ma non è l’unica città nel tuo cuore, che poi sono anche gemellate… “Bergamo è la mia seconda città! E’ una città del nord con una tifoseria del sud. Una passione incredibile, una tifoseria straordinaria. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato il gol in rovesciata contro il Brescia. Non sono riuscito a tornare a casa fino al giorno dopo perché mi ‘sequestrarono’ i tifosi per festeggiare”.
Dal campo alla panchina. Con le stesse idee: umiltà e meritocrazia. Ora riparti dal Trestina (Serie D): “Sono molto carico, vorrei cominciare oggi stesso. Dicono che sono bravo, i risultati mi danno ragione. Ho cominciato dalla Prima Categoria, con il Macchie. Sono abituato a partire dal basso, tanto! Ho fatto una promozione e ora il Trestina mi ha dato questa opportunità, voglio far vedere di che pasta sono fatto. A chi mi ispiro? A nessuno. Umiltà e meritocrazia. E una volta a settimana tutti a cena insieme, punto”.
Una vita di lotta e sacrifici. Con una differenza importante rispetto agli altri: che Riccardo sarebbe pronto a morire per conquistarsi anche solo un centimetro. Glielo ha insegnato la vita, glielo ha insegnato il papà. Ogni maledetta domenica…
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