Ucraina, il pallone torna a rotolare nonostante la guerra. “Che orgoglio la reazione del mio popolo”

È uno sterminio, noi continuiamo a combattere e vogliamo tornare a vivere, mentre loro continuano a commettere tutte quelle atrocità che tutto il mondo ha visto in questi mesi”. Il messaggio è forte, arriva diretto e ti entra dentro. Quando te lo racconta, dalla voce si percepisce la sofferenza di questo periodo, la paura per un conflitto che dura senza sosta da 191 giorni. Un’eternità. 

A parlare è Pavlo Posochov, dirigente del Metalist 1925, squadra di Karkhiv, uno dei centri maggiormente colpiti dalla guerra. Una di quelle città che prima dell’operazione militare di Putin in pochi conoscevano. Un po’ come Zaporizhzhia o Mariupol. Oggi le sentiamo nominare ogni giorno nei telegiornali, vediamo in televisione le immagini terribili che arrivano da lì. “Noi tutto quello che nel resto del mondo avete visto sul web, le scene di Kharkiv, le fosse di Bucha, le sirene che suonano, le abbiamo vissute in prima persona. Ho tante immagini in testa. È una situazione assurda, di una crudeltà mai vista contro il nostro popolo”. Impossibile immaginare quello che hanno passato, Pavlo però te lo descrive con gli occhi - molto espressivi - con lo sguardo e con le parole. Pesate, dure ma dritte al punto. 

 


Poi si inizia a parlare di calcio. Nonostante in questi casi passi ovviamente in secondo piano. A Kharkiv la situazione ha colpito tutto, anche il mondo dello sport. Le due squadre della città, Il Metalist Kharkiv e il Metalist 1925, non possono infatti giocare lì per ovvi motivi. Disputeranno il campionato allo stadio Avanhard di Uzhgorod, a più di 1200 chilometri da casa loro. Ma al riparo da bombe e pericoli. “Era l’unica soluzione per tornare a giocare a calcio e in un certo senso per ricominciare a vivere. Bisogna piano piano cercare di ristabilire una situazione di normalità. Noi l’altro ieri abbiamo giocato in casa e tutto è andato bene. Speriamo sia sempre così”. La situazione però non è sempre facile, soprattutto per i tanti club costretti a giocare lontani dai propri tifosi. Come è successo alla prima giornata, in cui il Metalist 1925 ha giocato a Kiev contro lo Shakhtar Donetsk. Anche qui, lontano dalle armi. Anche se per gli arancioneri è storia nota: la Donbass Arena non ospita un match ufficiale da otto anni, quando fu colpita dai bombardamenti. Oggi è il destino di tanti. Anche se il pallone continua a rotolare. 

 

Noi siamo una squadra giovane, nata nel 2016. Tranne un ragazzo brasiliano, il centrocampista Wendel, tutti gli altri dai giocatori allo staff sono ucraini. Sentiamo quindi particolarmente la situazione. Le sirene della scorsa settimana a Leopoli vanno oltre la normalità. E non deve succedere mai più”. Pavlo arriva al punto, senza giri di parole o frasi di circostanza. Sembra quasi voler dire “non ce lo meritiamo, non possiamo soffrire ancora”. E come dargli torto. “Non serve che ti descrivo io come sono andate le cose. Le immagini di Bucha e degli altri massacri sono ancora negli occhi di tutti. È un genocidio”. 

  

Le parole di Posochov ti colpiscono, così come lo sguardo, quello di chi certe cose le ha vissute e non se le dimenticherà mai. Anche se, grazie al calcio, adesso può accennare un sorriso e tornare a respirare un po’ di normalità. Nonostante le sirene, le partite lontano da Kharkiv e l’incertezza di un conflitto che non sembra avere fine. “Sono orgoglioso di come il nostro popolo si stia comportando, anche nello sport”. Discorso che vale in particolare per le squadre delle città colpite, che sono dovute  andare a giocare a tanti chilometri di distanza pur di ricominciare. Sono poi quasi tutti ucraini tra staff e giocatori e Pavlo te lo dice con il petto in fuori, come motivo di vanto. Per loro ripartire ha un valore diverso . Lo potranno fare con e grazie al calcio, in attesa di un completo ritorno alla normalità. Lontani dalle bombe, ma soprattutto “al riparo per salvare la nostra vita”. Niente conta di più.

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