77 secondi: Tutino e quel rigore con Salerno sulle spalle

Il tempo può essere una scarica di pugni o una carezza. Anche un minuto lo è, soprattutto l’ultimo. Napoleone diceva: “Posso perdere una battaglia, ma non posso perdere neanche un minuto”. Forse questa frase non è mai entrata nello spogliatoio della Salernitana, ma è il manifesto della sua stagione.

Dal ribaltone nel recupero con il Venezia firmato Cedric Gondo al rigore di Lignano Sabbiadoro conquistato e segnato da Gennaro Tutino. Un altro gol oltre le colonne d’Ercole del tempo, un gol che profuma di storia e di destino.

IL RECUPERO E IL TEMPO 

Eppure il destino sembrava ormai segnato. Nei cinque minuti di recupero la Salernitana aveva provato ad attaccare facendo però solo il solletico al Pordenone. Il tempo scorreva. Lento o veloce, a seconda dei punti di vista. A Salerno e sulla panchina granata, quel tempo sembrava un frecciarossa. Una raffica di vento e una maledizione. Mentre una squadra perdeva secondi preziosi, l’altra sembrava perdere il treno per la serie A.

Minuto 94, solo il tempo per l’ultima preghiera. Rinvio di Perisan per tenere lontano l’assalto, testa smorzata di Bogdan per Casasola che vede luce e avanza. C’è un corridoio e un possibile filtrante. In mezzo all’area Tutino vede quello spazio e s’infila. La palla arriva, lui pure. Prima di Barison che lo travolge. Marini fischia: è rigore. L’orologio dice 94:39”. 

77 SECONDI: TRA FISCHIO E TRIPLICE FISCHIO 

“Il tempo è un autore: trova sempre il finale giusto”, diceva Charlie Chaplin. E come nei suoi film, può essere dramma o favola. E magari anche un po’ grottesco, perché a fare da sfondo alla scena madre del campionato, c’è un acquascivolo che sovrasta lo stadio Teghil. 

In quello scenario si batte il rigore più importante del campionato di serie B. Quello che può fare scalare due posizioni alla Salernitana e renderla padrona del suo destino negli ultimi 180 minuti. A Monza, in quel momento, stanno festeggiando il secondo posto dopo la vittoria con il Lecce. Quei 77 secondi che separano rigore assegnato e rigore segnato, in Brianza passano senza essere visti. 

A Lignano invece sono un lento romanzo. Il protagonista principale ha la maglia numero 9. Si chiama Gennaro Tutino e fino a mezz’ora prima, questa partita l’ha vissuta in panchina. Escluso all’inizio, nonostante gli undici gol in campionato. Ha sofferto da seduto ma ora non conta più. Dopo il fischio - nel frastuono di esultanze e stupore - si è rialzato e ha sussurrato otto lettere: “Lo tiro io”. In questa stagione ne ha calciato solo un altro, contro il Vicenza all’Arechi. E no, non andò bene.  

DISTANZE E SGUARDI 

Stavolta però non c’è passato né futuro. Anche fuor di metafora, perché mentre Gennaro sistema il pallone sul dischetto, l’arbitro va a raccomandarsi col portiere Perisan. L’assenza del pubblico fa sentire tutto: “Resta sulla linea, non venire avanti. Se lo pari, ma muovendoti in avanti, vanifichi la parata. Tanto dopo il rigore, è finita”. 

Si chiude tutto lì, in quel duello. Le voci dal campo sono solo di giocatori del Pordenone: “lo pari eh”, “vai Samu, è parata, è parata”. Sono passati circa 55 secondi dal fallo. 

Intanto, a 888 chilometri da quella scena, Fabrizio Castori sta soffrendo in tuta. È rimasto a Salerno per il Covid. È in isolamento nel centro sportivo del club, solo in una stanza davanti a un televisore. A debita distanza, da un terrazzino, c’è qualcuno che prende il telefonino e immortala la scena. Il video è ormai virale: la risata nervosa, i “mister” e gli “zitto, zitto”, i saltelli e il quasi abbraccio al televisore. 

Distanze. Come ha scritto Gennaro Tutino sul suo profilo dopo la partita, “11 metri e Salerno sulle mie spalle”. Ecco, alle sue spalle in campo, in pochi hanno avuto la forza di guardare. Non l’ha fatto Bocchini, vice di Castori. Non l’ha fatto il ds Fabiani, che racconta di averlo vissuto al telefono con il presidente Lotito. Non l’hanno fatto in tanti giocatori. 

TRA FEDE E RINCORSA 

Sette secondi sono il tempo che separano l’appello disatteso dell’arbitro Marini a non entrare in area e l’urlo che scuote anche chi non ha guardato. In mezzo c’è la decisione su dove calciare, la rincorsa, il destro a incrociare e il tuffo di Perisan. Quello che non si può vedere, è la fede di Gennaro Tutino. Nei propri mezzi, ma anche in qualcosa di più. Non si sa se in quel minuto ha pregato o si è rivolto a Dio. È abituato a farlo e non certo per invocare un risultato sportivo.

A Cosenza aveva un rapporto speciale con Don Mario Ciardullo, il padre spirituale della squadra. Amicizia e confessioni, anche sul campo del Marulla. Una volta, nell’intervallo di una partita, lui e Garritano si erano messi in un angolo a recitare il Padre Nostro. E quella partita fu vinta. Come questa. “Genny ha portato Dio in campo, in famiglia e tra i compagni”, racconta Don Mario da Cosenza.  

A Lignano i compagni di Tutino lo hanno abbracciato forte. Più di tutti, capitan Di Tacchio, che - come lui - aveva sbagliato un rigore quest’anno. Quando si è liberato, Genny ha rivolto uno sguardo verso l’alto. Per dire grazie. Negli stessi secondi, a Salerno, una bambina riccia baciava lo schermo guardando suo papà. Sua figlia Benedetta, anche lei innamorata a distanza. Come migliaia di salernitani che hanno davanti 180 minuti, prima venerdì contro l’Empoli, poi lunedì a Pescara. Di paure, speranze e sogni. “Abbiamo in mano il nostro destino”, ha detto Tutino a fine partita. Due punti di vantaggio da mantenere. In mezzo a un tempo che non passa mai.

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