"The day after", l'eredità di Roma-Liverpool in 10 punti

L’amarezza per quello che sarebbe potuto essere e non è stato. La beffa di un risultato storico che però non è bastato. La delusione di un sogno svanito. La finale di Champions League i tifosi della Roma la vedranno in tv, da spettatori. Ma Roma-Liverpool ha lasciato qualcosa di più di un’eliminazione bruciante. Tante, tantissime sensazioni positive e dati oggettivi dai quali ripartire. Abbiamo provato a riassumerli in 10 punti.

Semifinale. Il primo dato è oggettivo e racconta l’impresa storica di una società non - ancora - abituata a certi traguardi. Prima semifinale da quando esiste la Champions League, 34 anni dopo l’ultima volta. Nel 1984 era ancora Coppa Campioni, così come si chiamava Coppa Uefa nel 1991, quando la Roma giocò la sua ultima semifinale europea. Altri tempi, altre ere. Troppi anni d’attesa per un traguardo che dovrà diventare se non la normalità, certamente una buona abitudine ogni 3-5 anni. Intanto i giallorossi si prendono lo scettro di migliore italiana in Europa, un magro premio per una stagione da 8 in pagella.

Consapevolezza. Il cammino in Champions League ha lasciato un’altra eredità da non perdere: la consapevolezza di poterci stare a questi livelli. Non è stata un caso la semifinale, non è stata solo fortuna. La Roma ha meritato di stare tra le migliori quattro d’Europa grazie ad un cammino esaltante contro club del calibro di Chelsea, Atletico, Shakhtar, Barcellona e Liverpool. Avversari che fino a poco tempo fa non erano alla portata. L’ha ben spiegato De Rossi ieri sera: “Ai quarti magari tanti pensavano che avremmo solo dovuto salvare la faccia, oggi idem, invece abbiamo fatto 3 gol al Barcellona e 4 al Liverpool”. Due vittorie diverse ovviamente ma che si aggiungono al primo posto nel girone, ad un ruolino casalingo fatto di 5 vittorie ed un pareggio con 12 gol fatti e 2 subiti. Top club, non c’è altro modo per definire, oggi, la Roma di Di Francesco.

DI Francesco. Forse il vero artefice di questa nuova dimensione europea della Roma. Arrivato tra lo scetticismo generale, l’allenatore abruzzese ha dimostrato di essere pronto per certi livelli. Anzi, ha alzato ancora di più l’asticella giallorossa, migliorando e crescendo insieme alla squadra. Mentalità e appeal internazionale, aspetti così importanti per la proprietà americana e dove non erano riusciti i vari Capello, Spalletti 1 e 2, Luis Enrique, Zeman e tutti gli altri. Il salto di qualità andrà fatto anche in Campionato. Il blackout a cavallo del nuovo anno è il vero neo di questa stagione. Non essere ancora sicuri di partecipare alla prossima Champions League a tre giornate dal termine, con una semifinale sul curriculum, è preoccupante. Ma il percorso di crescita è appena iniziato, con il botto. E il futuro non può che essere roseo.

Rosa di livello. Così come l’allenatore, la rosa giallorossa si è dimostrata all’altezza della massima competizione europea. Non si gioca a Stamford Bridge, Anfield e Camp Nou se non si hanno testa, gambe e personalità per sopportare certi palcoscenici. Il tutto senza l’esperienza trascinante degli elementi in campo. Questa cavalcata per la maggior parte della rosa era una novità, una “prima” da vivere e fare propria come bagaglio esperenziale. La Roma e i suoi giocatori hanno capito cosa vuol dire la “vera” Champions League, da qui bisogna ripartire. Qualità e abitudine, maturità e forza nervosa.

Incasso. Un’altra parte fondamentale di questa Champions League sono i soldi arrivati nelle casse giallorosse. Un tesoretto che sfiora i 100 milioni di euro, tutto compreso: diritti, premi, market pool e incassi del botteghino. Soldi freschi che permetteranno un ulteriore salto di qualità e non esporranno la Roma alle cessioni “obbligate” prima del 30 giugno. Probabilmente per la prima volta da quando c’è la proprietà americana si potrà fare un mercato solo con le proprie forze. Che non vorrà dire “no cessioni”, ma verrà effettuato un mercato in entrata/uscita senza la spada di damocle del bilancio. “Ascoltiamo tutti e poi decidiamo”, un leitmotiv dominante a Trigoria, ma mai come quest’anno scisso da qualsiasi fattore esterno.




Festa di sport. Lo avevano chiesto tutti. La Roma, il Liverpool, i protagonisti in campo. “Facciamo in modo che il ritorno sia una festa di sport” e così è stato. Messi da parte - ma non certo dimenticati - i fatti di Anfield, ieri la città di Roma ha risposto presente. Civiltà e organizzazione, senza che le questioni di ordine pubblico facessero diventare la Capitale una zona militarizzata. 5000 tifosi del Liverpool festanti (e un po’ alticci, va detto) hanno invaso la città, ma l’organizzazione messa a punto dalla Questura, insieme alle forze dell’ordine inglesi e delegati del club, ha fatto sì che tutto filasse liscio. Controlli fin da Fiumicino, zone di ritrovo, navette dedicate da e per lo stadio, il tutto senza restrizioni eccessive. Libertà e controllo massiccio ma discreto. Una lezione italiana al tanto esaltato modello britannico.

Olimpico. La bellezza di uno stadio colmo d’amore. Prima, durante e soprattutto dopo la partita. “Amor che vince il tempo e resta intatto”. La Curva Sud e l’Olimpico tutto hanno dimostrato al mondo cosa vuol dire tifare Roma. Al di là del risultato, come detto dal Capitano a fine partita: “Sono orgogliosissimo della gente che e è venuta qua. Ci hanno sempre accompagnati. Si è creato qualcosa che non vedevo da anni, da quando ero bambino, da Roma-Broendby, Roma-Slavia Praga, partite che non hanno portato un trofeo ma che mi rimangono nel cuore. Serate piene di orgoglio, piene di amore e di romanismo”. Sipario.

Maturità. Finalmente un’eliminazione da squadra matura. Da big. Senza isterismi, senza espulsioni, senza “imbarcate” vergognose. Roma-Fiorentina e Roma-Porto ieri, Roma-Galatasaray l’altro ieri. Oggi Roma-Liverpool. Ad ogni romanista bastano questi ricordi per capire tutto, per cogliere le differenze. Non servono altre parole.

Storia. Va di pari passo con la maturità. Costruire un’identità. Magari non sempre vincente, ma sicuramente non perennemente perdente. Sconfitte come queste aiutano a vincere. Sembra una frase fatta, ma a Roma non è così. Ripartire da qui per alzare un trofeo. Nella Capitale manca da troppi anni e soprattutto, il vero cruccio giallorosso, manca solo alla Roma. Juventus, Inter, Milan, Napoli e Lazio, tutte nell’ultimo decennio hanno vinto qualcosa. Roma no.

VAR. L’ultimo punto non puo’ non comprendere anche una naturale recriminazione. Gli errori arbitrali ci sono stati, è un fatto inconfutabile. All’andata con il gol del 3-0 in fuorigioco e al ritorno, con sviste clamorose che hanno oggettivamente indirizzato la gara. Il fallo di mano e la conseguente espulsione di Alexander-Arnold è un errore macroscopico che con la VAR sarebbe stato segnalato. La Roma non è uscita per colpa dell’arbitraggio, ma per il 5 gol presi ad Anfield, va ripetuto. Ma che nella massima competizione per club non sia ancora presente una tecnologia che esiste già in molti campionati europei e nel prossimo Mondiale, è un fattore non secondario. Crescita, mentalità e maturità. Da qui ripartirà la Roma, così come si spera la UEFA riparta dall’introduzione in Champions League del VAR. Google Privacy