Tanti auguri a Dino Zoff, la storia in pugno
Solo. Rinchiuso nel cristallo di una nobile antichità. Guarda. La partita imperversa, uomini di campo svolacchiano, il pallone esibisce il suo mistero. Osserva. La linea di porta è il suo confine. Sarà come il vento, la lontananza, ma quella del portiere è più una maledizione. Una condanna di solitudine, gli basta un errore e la papera è già consumata. Vestiva di nero per esibire la sua rinuncia al lusso delle seconde opportunità. Dino Zoff, solo tra i solitari, portiere di sogni antichi e briciole di nostalgia.
L’immaginario popolare ne conserva il ricordo, il tempo lo nasconde tra i piumini delle leggende. Il calciatore si scompone nell’uomo, figura di valori antichi, mani di gomma, mani forti e sicure, pugni di noce. E poi lo sguardo, gli occhi impenetrabili, le guance color borotalco e lo sguardo chiuso in una scorza di cristallo. Lo accusarono di apatia e di eccessiva freddezza. Ma era così, e non amava né i compromessi né l’ipocrisia. Gli rinfacciarono di tuffarsi poco, ma era allergico agli eccessi di stile e alla golosità di parole, paroline e parolone. E poi non si tuffava perché il volo copre un errore di piazzamento. Lui sentiva con la porta. La fiutava. Aveva con lei un rapporto di misteriosa attrazione, una complicità di sapore, un patto di fedeltà. Amore silenzioso, perché la porta era la sua dama e lui l’avrebbe protetta fino alla fine.
Erano tempi in cui la facilità dell’urlo non aveva ancora disarmato la difficoltà del silenzio e i calciatori erano persone, non solo personaggi. Erano tempi in cui Zoff e Scirea preferivano le carte alla baldoria, Giovanni Arpino parlava di Hemingway con Facchetti e Gianni Brera crivellava di epiteti Rivera l’Abatino, Rombo di Tuono Riva e Pelasgio Conti. Erano anni in cui Zoff, freddo fuori e bollente dentro, accarezzava Bearzot il Vecio prima di sollevare la Coppa del Mondo e Pertini agitava le braccia tremolando emozioni nascoste, quasi imprigionate, dietro gli occhiali già inforcati. È la storia.
Come quando Zoff ha stretto l’Italia tutta in un palpito di mani, battito di pugni, mentre la palla già inzuccata rischiava di violare la sua porta e lui l’ha stretta come da bambino stringeva il manubrio della bicicletta, forte e deciso, e milioni di italiani si sono stretti al divano già scombinato, alla moglie vicina, al marito, al figlio, all’amico ancora inebetito dall’improvviso sobbalzo di cuore e hanno gridato con Nando Martellini: “Ha parato Zoff!”. E poi si sono alzati, le mani ancora sudate di paura come i guantoni di quell’omarino che li aveva salvati dal tonfo in un tuffo e in una presa, il pallone ammanettato da quei palmi gonfi di nodi, gonfi di graffi e gonfi d’orgoglio, mani d’Italia, mani di Zoff.
Oggi compie 75 anni. L’uomo solo, numero 1 e numero primo, divisibile solo per se stesso, il portiere con la faccia di quei paesani che portano le pietre al fiume, le spalle piegate dal lavoro e la testa comunque fiera di sgobbare. Il tempo passa. Quello, l’hai detto anche tu, non puoi proprio pararlo. Restano le imprese, le parate, le parole misurate. Qualche sorriso scappato qui e là. Resta l'uomo: maestro, esempio, semplicità fatta a mito. Tanti auguri.
Mario Cicerone
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