“Ogni mia rimessa era un pericolo”. Stankevicius, il lituano che ha giocato per la Padania

“Se vuoi battere una rimessa laterale lunga e tesa non devi avere forza solo nelle braccia. È una questione di coordinazione tra tronco, quadricipiti, polsi e gambe. Quando ero piccolo nel mio paese in Lituania, Panevezys, coi miei amici giocavamo sempre a chi lanciava la palla più lontano con le braccia, visto che erano tutti appassionati di basket. Vincevo sempre io, che ero appassionato di calcio”.

Inizia così la storia di Marius Stankevicius, che in esclusiva ai microfoni di gianlucadimarzio.com ci spiega la tecnica per eseguire una rimessa laterale pericolosa, il suo marchio di fabbrica quando era giocatore: “Sai quanti gol ho visto fare in carriera su una mia rimessa lunga? Mi ricordo un Milan-Brescia. C’era ancora Kalac in porta da loro. Durante la partita battevo le rimesse offensive sul primo palo e vedevo che lui anticipava tutti. Allora ho provato a batterne una lunga a sorpresa sul secondo palo, nessuno si aspettava arrivassi fin là. Abbiamo segnato. Dopo poco ne ho battuta un’altra simile al centro dell’area. Lui è uscito ma è cascato e la palla gli è scivolata. Altro gol per noi. A volte quelle rimesse erano letali. Un’arma in più”.

In quel Brescia dal 2002 al 2008 Stankevicius ha mosso i primi passi nel nostro paese da giocatore: “Ho rifiutato un accordo con la Lokomotiv Mosca perché volevo a tutti i costi venire qui. Il Brescia mi ha voluto dopo che mi ha visto giocare in Nazionale proprio contro l’Italia di Giovanni Trapattoni. Era il 2001 ed era una partita di qualificazione ai Mondiali di Corea e Giappone. Io esordivo con la maglia della Lituania. Quella partita finì 0-0. Marcavo Del Piero. Fu un’emozione indescrivibile

Insieme a tanti campioni

Del Piero è stato solo il primo di tanti campioni con cui Marius ha avuto a che fare: “Come si dice? Se stai con lo zoppo impari a zoppicare, se stai con i bravi diventi bravo anche tu. Ho iniziato giocando con Guardiola e Baggio, due fenomeni. Ho appreso tanto da loro. Anche Antonio Cassano mi ha fatto crescere. Siamo rimasti amici. Ma tra tutti i grandi calciatori quello che mi ha impressionato di più per qualità tecniche e morali è stato Miroslav Klose. Un esempio per tutti”.

Tanti anni passati in Serie A tra Brescia, Sampdoria e Lazio, con due parentesi in Spagna al Siviglia e al Valencia: “Ogni squadra mi ha lasciato qualcosa. In Spagna ho apprezzato la mentalità e il calcio offensivo che propongono. Con la Lazio mi sono emozionato quando ho vinto la Coppa Italia contro la Roma nel 2013”. Poi il trasferimento prima in Turchia e poi in Germania a cercar fortuna. Ma a Marius mancava tremendamente l’Italia e non appena ha potuto è tornato per restare, ripartendo dalla Serie C con il Siena e poi in D col Crema: “Quando mi allenava Carletto Mazzone diceva sempre: 'In Serie A si gioca con la testa e con i piedi. In Serie B con i piedi e con la testa. In Serie C con i piedi e con i piedi.' Mai cosa fu più vera. E ho detto tutto. E tra Serie C e D non ho notato quasi nessuna differenza”. Ridiamo insieme.

Una vita per l'Italia

Oltre alla Nazionale lituana, dove conta 67 presenze e 4 gol, Marius ha fatto parte di un’altra Nazionale speciale: “Abito sul Lago d’Iseo con la mia famiglia non so da quanti anni. Ormai non so più se sono lituano o italiano. Alcuni amici mi hanno chiesto di giocare per la Nazionale padana e io ho accettato visto che per me il calcio è soprattutto passione. Siamo andati a fare i mondiali in Armenia se non ricordo male. Non abbiamo passato neanche i gironi ma ci siamo divertiti tanto. C’erano molte realtà come la nostra. È stata una grande festa di sport”.

Ora Marius sta tenendo il corso da allenatore a Coverciano per ottenere il patentino e poter così trasmettere tutta la sua esperienza ai giovani, accompagnandoli nella loro crescita. Al contrario di quel che è successo a lui, che si è fatto da solo nei campi di periferia lituani, sotto il controllo dell’URSS e con poche possibilità a disposizione per mettersi in mostra, allenandosi ore e ore a lanciare la palla più lontano possibile, sforzandosi di spingerla sempre un po’ più in là, sognando il nostro paese.

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