Si ritira Sodinha, "un Renato Pozzetto con i piedi di Maradona"

Troppo esili quelle ginocchia per sostenere tanta e tale classe, troppo lunghe quelle degenze per continuarne a fare uno stile di vita. Felipe Monteiro Diogo, in arte Sodinha, 85 chilogrammi suddivisi su 174 centimetri, non esattamente un fisico filiforme, ha salutato il mondo del calcio a soli 27 anni: troppe cadute per rialzarsi e continuare a giocare a calcio. Meglio dire basta, ha pensato il brasiliano di Jundail, ribattezzato “piccola lattina di coca cola” per le gambe tozze e muscolose, accompagnate da due piedi che con la serie B, dove giocava da qualche anno tra Brescia e Trapani, poco c’entravano.

Il saluto è maturato con il più freddo dei social, compromesso al quale si è piegato anche questo talento che tanto ricordava i fantasisti del calcio anni ’70, tutto finte, andamento lento e dribbling improvvisi, accompagnati da un mancino esplosivo. “ E' giunto il momento di fare quello che mai avrei voluto fare, dire basta, dire addio, ad un sogno che ho sempre portato nel cuore-il messaggio di Sodinha- La vita ti mette davanti tanti ostacoli, diverse volte superati, ma questa volta mi tocca gettare la spugna.

Nella mia vita ho dovuto affrontare cose che non auguro a nessuno, le critiche che ho ricevuto diverse volte da persone che non hanno la minima idea della sofferenza che ho avuto, mi hanno ferito in un primo momento ma mi hanno fatto diventare più forte. Non è bastato. E' con grande dispiacere che lascio il calcio giocato. Con tanti rimpianti ma allo stesso tempo felice per le grandi soddisfazioni che questa avventura mi ha regalato. Ringrazio di cuore tutti i miei tifosi e fans, da Udine a Bari, passando per Pagani, Portogruaro, Brescia e nonostante i soli 6 mesi Trapani. Un grande abbraccio a tutti...".

Nove anni in Italia, appena 85 partite ufficiali a referto, accompagnate da 6 reti: eppure, sono state sufficienti per renderlo elemento noto ai calciofili del Belpaese. Sodinha accontentava l’estetica, catturava lo sguardo come un quadro di Botero, sin da quando l’Udinese lo prelevò appena 19enne per 3 milioni dal  Paulista Futebol Clube, prima di girarlo in prestito per mezza Italia. Maglia larga fuori dai pantaloncini per non esporre i fianchi larghi al pubblico ludibrio delle telecamere, Sodinha ha rappresentato per tanti l’impiegato che al sabato si diletta con gli amici nei campi di periferia: peccato che il tocco del brasiliano nato il 17 luglio 1988 fosse da stadi di primissimo piano.

Ha avuto tra i suoi allenatori anche Conte a Bari (2008/2009, serie B), dove mise insieme solo 4 presenze. Poi Paganese e Portogruaro in Prima Divisione, mentre alla Triestina non gioca mai. Perse la stagione 2011-12 per 3 operazioni al ginocchio destro, rimpatriando al Ceara per poi raggiungere Brescia. E’ in Lombardia che ha sviluppato il 70% delle sue partite: 61 presenze, 5 reti e tanti innamorati platonici a suo sostegno.  “Ricorda Coutinho, nazionale carioca degli anni '70 -spiegò un giorno il dt Gigi Maifredi, uno che di talenti ne ha visti- Avesse anche il fisico perfetto, non sarebbe qui, perchè è un genio. A tavola sta alle regole però ingrassa, possibile che festeggi da sudamericano". Con pane, pasta e dolci: il tutto vestendo camicie floreali e canotte da rapper. Rilanciato da Alessandro Calori, uno “al quale voglio molto bene-ha assicurato spesso Sodinha-gli auguro sempre tutto il meglio”, messo fuori rosa nell’estate del 2014 da Ivo Iaconi, per poi essere reintegrato per la settima giornata di campionato e restar coinvolto nella stagione negativa dei lombardi, non riuscendo ad evitare la retrocessione del club in Lega Pro nonostante il risanamento societario.

A Brescia addirittura c’è chi gli ha dedicato un’ode, come il tifoso Gianmarco Pacione:  “Le mattonelle sporche. Il terriccio di sempre, forato crudelmente da tacchetti appena docciati. La distinta svolazzante sul tavolo, baciata dal Borghetti del nostro dirigente appassionato di videopoker. Ricordo impresso, fisso. La mia prima partita senza fuorigioco. Sostituito poco dopo l’inizio della ripresa. “Mangia meno pasta!”, l’urlo freddo servito con il tè bollente. Ossimoro da spogliatoio. Parole che scivolano aride nel flusso puro della memoria. Un salto dimensionale, la rovina di un impero florido, costruito su tap-in a pochi centimetri dalla linea, su rientri difensivi mai accennati. Il braccio su, il fischietto rude, il mio sogno concluso. “Sei un bomber di razza”, dicevano.

Si, di razza dalle ossa grosse. Quella corsa da “pinguino”, usata solo per esultare mitragliando alla Van der Meyde genitori scettici, d’un tratto era diventata una costrizione, un freno, un infortunio privo di volto e causa. Rientravo senza attenuanti nella categoria dei “ciccioni”, lo facevo da plurimedagliato esperto in riso alla pilota e gite a fast food di qualsiasi tipo”. Un “ciccione” salutato in estate, come la sua gamba mancina che fungeva da pennello per un artista, in direzione-Trapani: "E' stato un'idea maturata assieme al tecnico Cosmi-l’aveva definita il ds siciliano Daniele Faggiano- già conoscevo il calciatore poiché l'avevo avuto a Bari con Perinetti quando ancora era gli inizi della sua esperienza in Italia”. 3 presenze, altri guai fisici e ultima tappa di un inguaribile sognatore: un mancino per pennello e un peso non docile per fardello. Continuerà a incantare, magari nei campi amatoriali, dove si ritrova l’essenza del calcio. Un po’ quella che si respirava vedendo in campo quel brasiliano con qualche chilo di troppo e una montagna di talento. Salve, Sodinha: la sua classe sopraffina ci mancherà.

Luca Guerra

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