Pepe, un sorriso fra le cicatrici: “Nessun rimpianto, ora sono felice"

strong>Sfortuna e infortuni da un lato, stimoli e sorrisi dall’altro: due facce opposte della stessa medaglia. Rimpianti zero, una voglia matta di tuffarsi nella sua nuova avventura. “Non ho nessun rammarico, anzi. Sarò sempre grato alla vita per quello che ho potuto raccogliere fino a questo momento. La fortuna te la crei, con il lavoro e il sacrificio, mentre la sfortuna viene fuori da sé, come se avesse il compito di ricomporre l’equilibrio originario”. Avevamo contattato Simone Pepe per parlare di pallone, ne è venuto fuori qualcosa di più.

Dopo giorni di messaggi Whatsapp, Simone ci risponde al telefono: “Dovete scusarmi ma ero in Cina per un mondialito tra ex calciatori. C’erano Totti, Zambrotta, Zaccardo, Baggio e Antonini. Tra una cosa e l’altra, ci siamo fermati lì per una settimana circa”. Adesso il rientro in Italia, per tornare al lavoro che, da ormai quasi un anno, Pepe ha deciso di fare suo: il procuratore sportivo. A trentacinque anni e mezzo, l’ex numero 7 si è ritagliato un nuovo posto nel mondo del calcio. E pensare che, a quell’età, gran parte dei suoi ex colleghi sono ancora sui campi di Serie A.

La domanda viene da sé: senza gli infortuni, dove sarebbe potuto arrivare Simone Pepe? “Non me lo sono mai chiesto. Penso molto di più a quanto sono riuscito a fare nel giro di dieci anni. Ho giocato in Serie C, poi altri due anni in Serie B. Posso dire di aver fatto la gavetta e i sacrifici che ne derivano, per poi ritrovarmi alla Juventus, fino alla finale di Champions League”, spiega Simone ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Oltre venti presenze con la maglia della Nazionale, quattro scudetti conquistati ai tempi della Juve, “una società che ti insegna cosa vuol dire avere una mentalità vincente”. Pepe l’ha vista affondare, rialzarsi e tornare grande.

“Guardo Allegri in panchina e ripenso al modo in cui è arrivato alla Juventus. La partenza di Conte è stata un fulmine a ciel sereno, ma dopo 24 ore era già tutto risolto. Ripetere il lavoro di Antonio sembrava impossibile. invece siamo arrivati in finale di Champions League: lì capisci con chi hai a che fare. Lo comprendi dalla rapidità con cui la dirigenza è arrivata alla soluzione ideale. Conte e Allegri sono stati l’opposto, ma allo stesso tempo perfettamente funzionali per due obiettivi differenti. Il primo ci ha reso grandi, il secondo consapevoli di esserlo.

Alla base della rinascita bianconera c’è il marchio di Antonio Conte: “Considerando il momento che vivevamo, Conte era davvero l’allenatore giusto al momento giusto. Con lui arrivarono Pirlo, Vidal, Vucinic e Lichtsteiner. Un fenomeno e gli altri tre già forti e pronti per il definitivo salto di qualità. Nello spogliatoio Antonio mise subito in chiaro una cosa: o facevamo come diceva lui oppure chiunque sarebbe rimasto fuori. E il discorso valeva anche per uno come Pirlo”, spiega Simone.

Il meglio di Conte veniva fuori nel pre-partita: “Lo vedete il campo? Ecco, per gli avversari deve essere in salita, ci ripeteva prima di scendere in campo. Dopo 30 secondi di gioco era già lì che urlava e ci richiamava, dimenandosi per farci riconoscere i nostri errori. Il giorno dopo la partita ci mostrava dei video per farci capire dove saremmo dovuti migliorare e ogni tanto qualcuno si opponeva per dire la sua. A fine riunione, però, la storia era sempre la stessa: eravamo tutti convinti del fatto che avesse ragione lui”.

Arriva Allegri e la musica cambia, “com’era giusto che fosse. Conte doveva costruire, Max era lì per consolidare una base già forte. Ci diceva sempre che eravamo forti, che ci voleva determinati, ma sopratutto pazienti e ordinati. Se sbagliavamo un gol, dovevamo restare e calmi e prepararci a un nuovo attacco. Conte, al contrario, in quei casi diventava una furia…”

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Al centro di quella Juve, c’era il maestro Andrea Pirlo: “Il più forte con cui ho giocato, senza ombra di dubbio. Davanti a centomila spettatori, Andrea aveva quella naturalezza e tranquillità, anche nel tentare la giocata, che normalmente si vede giusto in allenamento. Visione di gioco pazzesca, tecnica incredibile. Dopo di lui, metto Antonio Di Natale

Gli anni di Udine restano un ricordo speciale, con i bianconeri che regalavano spettacolo trascinati da Simone, Totò e… Fabio Quagliarella: “Eh, Fabio… Quando mi chiedono di commentare quello che sta facendo, lo ripeto sempre: state sfondando una porta aperta. A Di Natale ho visto fare certe cose, pur giocando in squadre come Empoli e Udinese, che di norma vedi solo in tv, quando guardi le partite di Champions League. Ancora ci devo vedere chiaro su quella storia, quando rifiutò di venire alla Juventus…

Sia Di Natale che Quagliarella, per Pepe, avrebbero potuto giocare ad altissimi livelli: “Fabio ha avuto una grande opportunità, con la Juve, ma si è fatto male in un periodo complicato, quando tutti i compagni di squadra erano in una fase di crescita continua. Rientrare al top in certe condizioni diventa difficile e solo adesso si parla di lui quanto si dovrebbe. Se a 36 anni ha fatto più di 20 gol in 30 giornate, ha segnato una doppietta con la Nazionale ed è uno dei migliori bomber in Europa, significa che nessuno può mettere in discussione la qualità del calciatore. E’ lo stesso discorso che vale per Buffon, che a 41 anni ancora gioca. Ci sono alcuni professionisti a cui basta accendere l’interruttore, poi tutto il resto viene da sé…

Compagni di squadra con Juve e Udinese, Pepe e Quagliarella hanno giocato sempre insieme anche in Nazionale: “Dall’Under 17 a quella maggiore, ci siamo sempre ritrovati in azzurro. Mancini ha fatto bene a dargli fiducia, perché la Nazionale ha bisogno di gente che sposti gli equilibri e lui in questo momento è il migliore. E non venitemi a dire che in ottica Europeo sarebbe inutile convocarlo! Finché si tratta di giocare 8 partite, non è certo l’età a fare la differenza… Se Fabio dovesse continuare così, dovrà essere convocato anche in quell’occasione”

Chissà dove sarebbe oggi Quagliarella, se quei fatti che l’hanno costretto a lasciare Napoli non si fossero mai verificati: “Guardare indietro è inutile - spiega Pepe -. Fare calcoli, avere rimpianti. Anche io alla Juve avrei potuto dare di più, lo dice la storia. Pessotto in passato, Padoin e Giaccherini più recentemente: anche questo tipo di calciatori possono diventare fondamentali in una squadra come la Juventus. Certo, magari non avrei giocato 40 partite a stagione, però…”. La calcificazione sviluppatasi al muscolo della coscia sinistra l’ha tenuto fermo per lunghissimi periodi.

Pepe li ha affrontati con il sorriso, lavorando sodo per tornare a dare una mano ai suoi: L’unica volta che mi sono sfogato, l’ho fatto con un post su Facebook dopo che vincemmo 7-0 con il Parma. Ero infortunato da tanto tempo, ma non per questo abbattuto. Allo Stadium la gente mi faceva sentire importante, mi era vicina in un momento difficile e sarò sempre riconoscente per questo. Non mancavano, però, quegli ignoranti che mi davano del drogato e che iniziarono a dire in giro che se non rientravo in campo era per paura dell’antidoping”.

Per Pepe, era davvero troppo: “Non ho mai fumato, bevuto, niente. E mentre ero alle prese con gli infortuni, diverse volte sono stato sorteggiato per fare il test antidoping, cui mi sono sottoposto senza alcun problema. Pensavo ai miei figli e dicevo: e se uno di questi idioti fosse il padre di un loro compagno di classe? Se i miei figli dovessero passare per i parenti di un poco di buono? Li dovevo tutelare, così uscii allo scoperto, postando sui social le foto delle mie cicatrici e mettendo a tacere chi aveva provato a macchiare la mia immagine”

Degli infortuni non ne ha mai fatto un dramma, accogliendoli come parte del suo destino: “Dalla Serie C alla Juventus, in quanti ci sono riusciti? Sono stato un fortunato, più che uno sfortunato. E se le cose sono andate così, si vede che, prima di avere a che fare con i vari problemi fisici, sono riuscito a raggiungere traguardi che in pochi possono vantare”. Filosofia di vita, positività ed energia per guardare avanti: Pepe è felicissimo del suo nuovo percorso.

“Adesso sono un procuratore, seguo tanti giovani ma anche qualche calciatore di Serie B, più uno di Serie A. Non è detto che in futuro non proverò a fare altro, ma al momento è un ruolo cui sto dedicando tutto me stesso. Insieme a me lavora l’avvocato Alessandro Pucceri, ci stiamo togliendo tante soddisfazioni e sono felice di come vanno le cose. Certo, le difficoltà non mancano…”. Anche quelle passano, con il tempo si impara a guardarle in faccia e con una certa filosofia. Lo insegna proprio lui, il fortunato Simone Pepe.

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