Simeone: "Giovanni resterà nel cuore dei napoletani, è l'argentino che ha vinto a Napoli dopo Maradona"

Ospite del Napoli nella notte in cui la squadra ha festeggiato lo scudetto allo stadio Maradona, Diego Simeone ha concesso un'intervista ai microfoni della Gazzetta dello Sport per commentare l'impresa della squadra di Spalletti e di suo figlio Giovanni.  

L'allenatore dell'Atletico Madrid ha raccontato di essere riuscito a girare per la città da turista e di essersi recato al murales di Maradona: «Nonostante mi fossi camuffato con cappello e mascherina, la gente mi ha riconosciuto. Mi avevano parlato di una città caotica ma io l’ho trovata bellissima e accogliente. È vero che napoletani e argentini si somigliano tanto. Quando Giovanni mi disse che c’era la possibilità di venire qui, non ho avuto bisogno di convincerlo. E subito dopo che arrivò mi disse al telefono “Papà è bellissimo, io qui voglio vincere qualcosa di importante”. E c’è riuscito! Quando ci siamo abbracciati venerdì gli ho detto: ti rendi conto? Sei l’argentino che ha vinto a Napoli dopo Maradona. Resterai per sempre nel cuore di questa gente».  

Le parole di Diego Simeone sullo scudetto del Napoli 

Nel 2000 Diego Simeone ha vinto lo scudetto con la Lazio, 23 anni dopo suo figlio Giovanni lo vince con il Napoli. Il Cholo ha così parlato di queste due squadre: «Quella Lazio è la squadra più forte in cui abbia mai giocato, per individualità. Questo Napoli è ancora più solido come gruppo e meccanismi».

Poi, da allenatore a allenatore, ha elogiato il lavoro di Spalletti: «Consigli? Non ne ha bisogno. Quest’anno il Napoli ha giocato un calcio bellissimo. Li ho seguiti tantissimo e non solo perché c’è Giovanni. Ho apprezzato movimenti e modo di stare in campo. Spalletti l’ho proprio studiato».  

Infine, sul proprio futuro e sulla possibilità di un suo ritorno in Italia non si è sbilanciato: «Ho un altro anno di contratto con l'Atletico, vedremo che succederà. Gli stimoli li trovi perché in club così spesso cambi giocatori e devi sistemare il modo di stare in campo. [...] Non so quanto ancora potrò allenare, ho 53 anni: altri 5? Di sicuro il nostro è un mestiere stressante. Ma poi penso che sono bastati pochi giorni di vacanza per farmi tornare la voglia di rientrare in campo. Il prato è come una droga per noi. Spesso mi capita di incontrare tifosi interisti e laziali che mi chiedono di tornare. Chi può saperlo? Di sicuro mi farebbe piacere».

L'intervista integrale su La Gazzetta dello Sport

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