Il calcio una religione, l’Avellino un culto: “Questa squadra ha segnato la mia vita”
Storie di calcio, o forse di vita. Arriviamo nel Rione San Tommaso di Avellino. Chiediamo di Carmine Cucciniello e tutti nessuno escluso, ci indicano dove trovarlo. Barba lunga, fare da burbero. Animo buono e gentile. Carmine ha 88 anni. Segni particolari? Tifoso dell’Avellino, anche se questo appellativo risulta essere alquanto semplicistico. Un vero e proprio amore quello per il “lupo”. Due colori, il bianco e il verde, a cui è sempre rimasto fedele aldilà delle vittorie o delle sconfitte. Un “patto di sangue” che dura da una vita e che ha superato fallimenti, delusioni, passando per gioie e successi. C’è chi lo ammira, chi lo invidia. Carmine, padre e nonno di un Rione intero, ha vissuto la sua vita sempre con un’unica religione: “Per me l’Avellino è tutto. Non sarà mai solo una squadra di calcio”. Ci accoglie con il sorriso, offrendoci un piccolo dono: del torrone tipico della zona, avvolto in una carta regalo. Un uomo genuino, d’altri tempi. La chiacchierata ha inizio, e lui fiero ci confessa: “Quest’anno sono stato il primo abbonato del nuovo Avellino targato Gian Andrea De Cesare. Non meritavamo il fallimento e non meritiamo questa categoria”. Carmine è sempre lì su quei gradoni, a tifare la sua squadra nonostante l’età e le intemperie. Lo dimostra anche la foto postata sui canali ufficiali dell’SSD Avellino Calcio dopo l’ultimo match contro il Budoni: “Il clima non mi ha mai fermato. E’ stata una bella partita. Raggiungere il Lanusei però non sarà impresa facile ma dobbiemo crederci”. Una naturalezza disarmante. Una capacità di metterci a nostro agio come pochi. Se c’è una cosa a cui non ha mai rinunciato è la sua curva: “Spesso in passato ho avuto la possibilità di avere un abbonamento in tribuna, ma ho sempre rifiutato. Il mio posto è in curva. Sono un tifoso come gli altri, non ho bisogno di privilegi”.
Ha vissuto tutte le fasi della storia dell’Avellino: “La prima volta che sono andato allo stadio avevo 11 anni”. Il ricordo più bello? “La vittoria contro il Milan di Liedholm. Abbiamo battuto una squadra di campioni. E’ una partita che porterò sempre nel cuore”. Poi sottolinea: “Ad Avellino o con il buono o con la forza bisognava lasciare i punti”. Il libro dei ricordi torna con la mente alla stagione 1987-1988, l’unico anno senza abbonamento. Qui la voce diventa più sibillina e l’occhio inequivocabilmente lucido: “Ebbi un problema di salute. Ad Avellino veniva la Juventus e i biglietti erano introvabili. Andai dall’allora presidente Sibilia raccontandogli il mio problema e dicendogli che mia moglie aveva il desiderio di guardare la Juve. Così mi procurò due tagliandi per quella partita. Fu un grande gesto da parte sua che ricorderò sempre”. C’è però una squadra per il signor Carmine che risulta indimenticabile. La mente ritorna alla stagione 1944-1945. Da Giudice a Landolfi. Da Kovac a Fabbri. Tutta la formazione d’un fiato, con riserve annesse. Una vera e propria enciclopedia a tinte biancoverdi. Poi ricorda: “Quando c’è stato l’evento delle vecchie glorie dell’Avellino, tutti si ricordavano di me. I calciatori mi hanno abbracciato. Mi sono sentito parte della storia della mia squadra”. Infine un pensiero per i tifosi: “Siamo un popolo fiero. Abbiamo vissuto due fallimenti ed il primo fece molto male, ma siamo stati anche protagonisti in Serie A. Questo Avellino a volte ci ha dato, altre ci ha tolto. Il nostro compito è quello di amarlo. Sempre”
Salutiamo il signor Carmine, che ci ha fatto sentire a casa. Una storia che ci ha emozionato, e che emoziona ogni giorno il suo rione. Perchè in fondo si scrive calcio, si legge vita.