Rimini, parte la mobilitazione social contro la retrocessione a tavolino
Il Rimini non ci sta. E protesta affinché la decisione del Consiglio Federale sulle retrocessioni a tavolino dalla C alla D non vengano confermate nel prossimo consiglio dei primi di giugno. I tifosi si sono organizzati e hanno lanciato un'iniziativa via web. È nata una mobilitazione in cui i supporters biancorossi chiedono rispetto per la propria squadra e la propria città. Per questo stanno cambiando le immagini dei loro profili Facebook con la foto della bandiera a scacchi biancorossa sul pennone della storica facciata del "Romeo Neri".
Anche la società si è unita alla protesta e ha cambiato la propria immagine profilo nei vari social come i tifosi, postando la bandiera con la scritta: "Rispetto per il Rimini". In settimana il presidente Grassi aveva scritto ai vertici del calcio contro la decisione del Consiglio Federale. Anche il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e l'assessore allo Sport Gian Luca Brasini sono scesi in campo per chiedere rispetto con un comunicato:
“Abbiamo appreso in queste ore l’intenzione del Consiglio direttivo della Lega Pro di comunicare al Consiglio Federale l’impossibilità di completare i campionati nel termine fissato dallo stesso consiglio al 20 agosto, procedendo quindi ad una “cristallizzazione” delle classifiche così come composte prima dello stop dettato dall’emergenza Covid. Il quadro configurato dalla Lega Pro, se confermato, comporterebbe la retrocessione a tavolino della Rimini Calcio sulla base di una logica ben lontana dai principi di buon senso, onestà, trasparenza, rispetto delle regole che dovrebbero disciplinare il mondo dello sport. Usiamo il condizionale perché ci aspettiamo che il prossimo Consiglio Federale, chiamato a deliberare sul futuro di questa anomala stagione stravolta dall’emergenza sanitaria, riveda una decisione inaccettabile, dove la competizione sportiva viene ridotta a calcolo di variabili numeriche e cavilli. La Rimini Calcio, con undici partite di campionato non disputate, si ritroverebbe nel calcio dilettantistico non per demerito sportivo, né per mancanze sotto il profilo economico-amministrativo, ma solo perché così è stato deciso sulla base di una classifica virtuale. Non è accettabile che la prima squadra di calcio della nostra città sia ‘vittima’ di un modo di interpretare lo sport ormai snaturato nella sua essenza, che si regge solo su logiche commerciali, su “cordate” di potere che oramai non tengono nemmeno in considerazione i principi basilari: il merito e il rispetto degli sportivi, del lavoro degli atleti, della piena osservanza dei bilanci societari e, non da ultimo, della passione di quel pubblico di cui lo sport non può fare a meno. Al di là della posizione in classifica e del fatto che ognuno può avere una personale considerazione sulla gestione sportiva e i risultati, la decisione presa a tavolino con accordi e accordicchi di far retrocedere una squadra – che con 11 partite di campionato di fatto sarebbe ancora in piena corsa – crea un non senso, che snatura il campionato, i valori dello sport e del calcio. A pagare sarebbe una città intera e una società che in questi anni ha oltretutto rispettato norme, bilanci e pagamenti, elemento questo purtroppo non frequente nel mondo del calcio, dove si affacciano spesso personaggi improbabili e faccendieri. Va ricordato infine che si tratta dell’unica realtà calcistica professionistica dell’intera provincia: far retrocedere il Rimini significherebbe dunque penalizzare l’intero movimento calcistico, compreso il settore giovanile che coinvolge circa novemila ragazzi e ragazze. Sappiamo delle difficoltà legate alla gestione di una fase di emergenza e di ripartenza fa covid 19. Lo sappiamo perché come sindaci e amministratori tutti i giorni, più di altri, viviamo le difficoltà di far conciliare l’esigenza improrogabile di spingere la ripresa di ogni settore della vita economica e sociale della comunità con la necessità di allontanare lo spettro di un ritorno dell’emergenza epidemiologica che comprometterebbe il futuro del nostro Paese. La ripartenza dello sport – tutto lo sport, e non solo la Serie A di calcio che accentra la discussione pubblica – assume in questo senso un valore simbolico ulteriore, il segno di un Paese che riconquista una ‘normalità’ dopo mesi passati in stand by. Ma davvero quello che si sta via via definendo in questa fase di transizione avete il coraggio di definirlo sport? È un mondo sempre più virtuale, dove il pubblico sugli spalti si può rimpiazzare con i cartonati, dove una partita di calcio rischia di essere vissuta come una sfida alla PlayStation, dove sono gli interessi commerciali ad orientare, ancor più di quanto è stato finora, ogni decisione, fino a colpire una società sportiva fondata nel 1908 che tra alti e bassi è nella storia di una comunità; che dopo le vicissitudini degli ultimi anni, fino al fallimento, si è rimessa in moto, con limiti certo, ma con onestà e nel rispetto delle regole. Un cammino che rischia con palesi forzature di colpire una società, la Rimini Calcio, a prescindere dai suoi meriti e demeriti sportivi sul campo. Se la decisione fosse confermata, sarebbe una vergogna tale che la nostra città, ospitale e aperta al mondo, la griderebbe a ministri e autorità sportive. Se lo sport ai tempi del Covid deve essere questo, difficile da praticare e svuotato di motivi per cui goderne, tanto vale fermarsi, aspettare e ripartire quando ci saranno le condizioni per farlo senza tradire l’essenza stessa dell’agonismo. Si dice che l’Italia sia nel pieno della Fase 2: sul fronte dello sport, a tutti i livelli e in tutti i campi, possiamo dire di essere fermi alla fase zero. Anzi alla fase della peggiore tradizione italiana di gestione dello sport e del calcio. Ad oggi non ci sono le basi per la ripartenza della pratica sportiva vera. Come amministrazione comunale, a nome della città e di tutti gli sportivi, sosterremo la Rimini calcio in ogni azione che intenderà portare avanti per tutelare quello che da oltre 100 anni, rappresenta un pezzo importante dell’identità e della comunità cittadina“.