Dentro al mondo Pontedera, laboratorio di calcio

La terra delle due ruote. Prima la bici, poi la Piaggio. Pontedera ha sempre corso, anche se non sembra. Le strade sono tranquille, gli studenti le affollano dopo essere usciti da scuola. Un tempo ci camminava Giovannino Agnelli, principe sfortunato. La vita era stata particolarmente generosa con lui: bello, ricco, famoso. Si è ripresa tutto quando aveva appena 33 anni. Il cancro non guarda al cognome, colpisce senza pietà anche chi fa grande un’azienda. 

In città adesso c’è un museo dedicato a lui. Chissà cosa avrebbe detto di questo Pontedera, certamente lo avrebbe applaudito. Secondo posto, davanti c’è solo il Monza di Berlusconi, Galliani e Brocchi. Dovesse finire oggi il campionato, sarebbe Serie B. Da quelle parti non l’hanno mai vista, ma solo sfiorata. Hanno battuto perfino l’Italia di Sacchi, però nessuno si sarebbe mai immaginato di essere ora così in alto.

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Maraia, studiando Gasp

“Maragià”, così erano chiamati i sovrani in India. Ivan Maraia, adesso, è il grande Re di Pontedera. Lo guida dal 2017 e porta avanti il 3-5-2 del suo maestro Paolo Indiani. Ne è stato il secondo per anni, ne ha rubato i segreti. Gli piace parlare alla squadra negli attimi che seguono il riscaldamento e precedono l’inizio della partita. Non si esalta: “Ci troveremo davanti a tante difficoltà che dovremo superare”, racconta a Gianlucadimarzio.com. 

L’anno scorso ha vinto 10 partite in campionato, ora è già a sette. Eppure il primo giorno di ritiro è sempre uguale: “Insegno ai ragazzi i valori di questa società. Sacrificio, lavoro, umiltà. Sono più importanti di un passaggio fatto bene, se li dimentichiamo facciamo brutte figure”. Fare un punto in più della scorsa stagione, a Pontedera si parte sempre con questa idea. Come Ivan, arrivato alla prima esperienza fra i professionisti dopo Larcianese, Sestese e San Gimignano. 

Ai suoi ragazzi parla di Totti e Del Piero: “Straordinari in campo e fuori”. Quando è a casa si aggiorna sugli altri sport: “Perché c’è sempre da imparare”. Ciclismo e tennis, ammira Federer ma ama Nadal. Grinta e corsa, come lui da giocatore. Centrocampista di quantità: “Di quelli che facevano il lavoro sporco per aiutare i più bravi”. Si è innamorato del calcio giocando con gli amici per le strade di Montecalvoli, ora studia Gasperini: “Mi piace vedere la sua Atalanta. Gioca un calcio dinamico, come piace a me. E poi è bravissimo con i giovani”. 

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Caio, tutto Brasile e gol

Maraia ha un altro maestro, si chiama Semplici e adesso è in Serie A. Hanno giocato insieme, si sono ritrovati alla guida dell’Arezzo: “Siamo arrivati con grande entusiasmo, poi ci siamo scontrati con uno spogliatoio dal carattere forte. Leonardo aveva bisogno di una mano, che però non sono riuscito a dargli”.

C’è la Spal anche nel passato di Caio De Cenco. E’ lui il bomber di questo Pontedera. Oggi è a 5 gol, ieri abitava a Ferrara nello stesso palazzo di Lazzari: “Ragazzo dolcissimo – ci racconta – quante sfide alla play o a carte”. Caio è un brasiliano atipico: “Dopo gli allenamenti torno a casa. Mi piace cucinare con mia moglie Clara e guardare Serie Tv. Il Pontedera sarebbe una bella storia da raccontare. Il classico ragazzo di un college americano al quale nessuno darebbe un dollaro e che poi diventa il protagonista”.

Ha perso la testa per Sons of Anarchy e Bates Motel. Adesso ha iniziato Peaky Blinders e si immagina papà. Ha diversi tatuaggi, il prossimo sarà per il figlio. Sul polpaccio una dedica al padre: “Ad ogni tua decisione, in qualsiasi momento sarò sempre con te”. Poi un’altra scritta che riassume l’anima del Pontedera: “Getta il cuore in campo, il corpo ti seguirà”.

Appena può torna in Brasile, dove ha lasciato la sorella Mariel e tutta la famiglia. I primi passi da pivot nel Futsal, come il padre che però era un’ala professionista: “Ho iniziato con il calcio a 11 a dodici anni. A sedici Gianfranco Mancini mi ha portato in Italia con altri sette ragazzi”. Arriva nel caldo di luglio al Boca San Lazzaro: “Subito in ritiro, due allenamenti al giorno, tattica e corsa. E stata dura”. 

Numero nove, mancino: “Lasciamo perdere Ronaldo, che è il Fenomeno. Io amo Adriano. Punta di forza, un tiro della madonna. Lo seguo sempre sui social, anche se purtroppo non l’ho ancora mai incontrato”. Caio la B l’ha già assaporata. Ha sfiorato perfino la A. Con il Trapani, infatti, ha perso la finale playoff nel 2017. In panchina c’era Cosmi: “Uno di noi. Dopo le vittorie, lo chiamavamo e lui ci raggiungeva a cena. Un grande”. 

Giovannini, l’arte dei giovani

De Cenco è alla sua seconda vita a Pontedera. Ci era già passato nel 2015, anche se per pochi mesi: "Ci conosceva, per questo ho tentato di riportarlo da noi - ci racconta il direttore generale Paolo Giovannini - sono andato a prenderlo direttamente in Trentino, dove era in ritiro con il Padova. Sette ore di auto, era agosto e c'era un traffico tremendo. Quando sono arrivato gli ho detto: 'Caio, o scendi con me oppure mi arrabbio sul serio".

C'erano altre due o tre squadre su di lui, tutte di assoluto livello per la categoria. Alla fine, però, la scelta è stata Pontedera: "Il regolamento ci ha imposto di fare una squadra più esperta, ma la nostra tradizione non si è snaturata. Abbiamo otto Over, poi 16-17 Under. Vogliamo far crescere i giovani". Bernardini, Cicagna, Serena e Tommasini tanto per citarne alcuni. Paolo è un maestro con chi è al primo contratto da professionista: "Non voglio la supponenza del ragazzino sbruffone ma nemmeno il compitino da sei. Questo è un mondo in cui è tutto uno sgomitare per trovare successo. Il ragazzo ci deve provare, anche sbagliando. Non deve giocare con il braccino del tennista".

Paolo giocava a calcio da ragazzo: "Solo nei dilettanti, fino a 25 o 26 anni. Ero una mezz'ala, un simulatore. Oggi avrei preso un sacco di gialli", scherza. Poi si rompe il crociato, continua a lavorare da ragioniere in un'azienda e decide nel 1991 di fare l'esame da procuratore: "Nel 1998 il Castelnuovo Garfagnana mi chiede una consulenza per alcuni giocatori. Vincono il campionato anche grazie ai miei consigli e mi offrirono l'incarico di direttore generale. Da lì è cominciata la mia storia". 

Una parola d'ordine, continuità. L'esonero a Pontedera è visto come un fallimento di tutti, per questo lo si evita: "Con Indiani, un anno, avevamo tre punti dopo otto giornate. Con Maraia solo due nelle prime sette. Ma abbiamo sempre creduto nel lavoro e nei frutti che riesce a dare". 

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Caponi, il capitano con la maschera

Giovannini meriterebbe almeno una Serie B. Poteva diventare realtà, perché Corsi lo avrebbe inserito volentieri nella famiglia Empoli: "Una realtà che ammiro tantissimo. Piccolissima, riesce a stare sempre nel grande calcio e a sfornare giocatori, direttori e allenatori". Chi la conosce bene è Andrea Caponi. Oggi ha 31 anni, a 10 ha iniziato il proprio percorso nelle giovanili azzurre. 

Con lui pure Eder, Saponara e Iacoponi: "Anni bellissimi, abbiamo perso anche una finale del Torneo di Viareggio ai rigori contro l'Inter di Balotelli - ci racconta - tornai nella Primavera dopo l'esperienza al Figline. Mi spogliavo con Chiesa e Robbiati, che impressione. Dopo 10 giorni, però, mi sono rotto il ginocchio". Ne ha vissute tante Andrea, l'ultima ad agosto. Gioca contro la Pistoiese, in uno scontro si frattura osso orbitale, mascella e zigomo. Oggi gioca con una maschera, perché è rientrato dopo appena 75 giorni: "I medici temporeggiavano, dicevano che sarei rientrato nel 2020. Io però sono stato bravo a non avere paura e a ributtarmi subito dentro". 

Merito anche della sua piccola Caterina: "In ospedale mi vedeva tutto gonfio. Non volevo si spaventasse, altrimenti non sarebbe più venuta a trovarmi e io sarei morto", sorride. Merito anche del fratello Manuel, che nel 2011 giocava con lui a Pontedera e in un violentissimo scontro stava per rimetterci la vita. La testa che sbatte, danno assonale diffuso e un coma lungo 18 giorni, per nove dei quali profondo: "Speravo di arrivare in ospedale la mattina e di trovarlo sveglio. In confronto al suo, il mio incidente non doveva essere nulla. Anche per questo ho trovato la forza di riprendermi subito".

Manuel ha dovuto smettere con il calcio, oggi allena gli Allievi del Pontedera. E guarda il fratello, secondo in classifica con la fascia al braccio: "Il nostro segreto? Lavoriamo bene, la società è professionale e ti permette di pensare solo ai 90' della domenica. Non succede spesso in C". Il gruppo è forte, merito anche di De Cenco e delle cene brasiliane organizzate dai suoi amici: "Vengono da Treviso. Il magazziniere apparecchia e loro portano cibo e bevande. Mangiamo tutti insieme sotto la tribuna". 

Andrea si è innamorato del calcio guardando le cassette del padre, bandiera del Pontedera. Studiava Baggio, ha la faccia da bravo ragazzo ma non si è fatto problemi a discutere con Gattuso: "Quella di Pisa non fu una parentesi molto fortunata. All'inizio c'era Favarin, che mi disse che avrebbe puntato su di me. Poi fu esonerato dopo una settimana". Arriva Ringhio, ex campione del mondo: "Dopo 48 ore ebbi un comportamento sbagliato e ci scontrammo in allenamento". Zero partite con lui, zero presenze in Serie B. Come il Pontedera nella sua storia, chissà che non cambi velocemente. Bici, Piaggio e non solo. Qui si fa molto bene anche calcio. Guardare per credere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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