Se ne va Giorgio Rossi, addio al “Signor Roma”
Lo potevi incontrare per le vie a testa in su come un qualsiasi turista innamorato della città, quasi sempre a Trigoria diventata per lui più di una casa. Lo vedevi lì ai margini della panchina pronto ad entrare qualora ce ne fosse stata la necessità, oppure claudicante che per ultimo e con la sua borsa degli attrezzi in mano, quando anche l’ultimo calciatore era seduto sul pullman, lasciava gli spogliatoi. Se ne è andato Giorgio Rossi, un pezzo di storia di Roma e della Roma. Uno di quelle persone in grado di raccontare come la capitale si è trasformata nel corso dello scorso secolo. Dentro e fuori dai campi di calcio.
Era il tipico nonno romano, che seduto su un tavolino di un bar a ogni racconto riusciva ad aggiungere un particolare in più ai ricordi, che libri o immagini difficilmente possono catturare. La sua storia però, quella personale è stata a tinte giallorosse. Per più di cinquanta anni con quei colori addosso. Inevitabile essendo nato a Via Pietro Verri, a due passi dal Colosseo, zona e feudo giallorosso. Nella Roma, Giorgio Rossi è stato molto più di un massaggiatore, anche perché in fin dei conti lui massaggiatore di professione non lo è mai stato.
Ufficialmente è stato un pompiere, ma un giorno mentre trasportava un ferito all’ospedale San Giovanni incontrò Roberto Minaccioni, un altro storico massaggiatore giallorosso che lo fece entrare nella società. In un’epoca nella quale i massaggiatori erano ex calciatori o infermieri. Entrò per la prima volta nella Roma nel 1957. Non a Trigoria, quella fu costruita qualche anno dopo da Dino Viola. Visse il Tre Fontane e il “Campo Roma” quello che ancora oggi si affaccia sulla Chiesa di San Giovanni e nella quale gioca la storica squadra giovanile della Romulea.
Diventò il massaggiatore della prima squadra 22 anni dopo e ci rimase fino al 2012, riprendendo il posto sulle tribune lasciato libero negli anni ’50. Cinquanta anni con un contratto annuale. Da conquistarsi sul campo, anno dopo anno. È stato il testamento vivente della storia della Roma. Il filo rosso tra lo scudetto del 1983 e quello del 2001 porta dritto a lui. L’unico ad aver vissuto il secondo ed il terzo scudetto della Roma da protagonista sul campo. L’unico che potevi individuare nelle foto in bianco e nero e in quelle a colori, con qualche capello in meno e qualche bianco in più.
Perché lui in campo c’era, giusto qualche metro al di là della linea laterale. C’era a Genova quando Pruzzo regalò lo scudetto alla Roma e c’era all’Olimpico quando nel 2001 Batistuta segno il terzo gol contro il Parma. In quel giorno in cui i tifosi romanisti invasero il campo prima ancora del triplice fischio e lui che cercò di fermarli semplicemente allargando le braccia. Forse era un abbraccio, di chi conosceva bene quei sentimenti e non faceva niente per nasconderli.
C’era però anche in quel Roma-Lecce dell’86 che regalò lo scudetto alla Juventus e nella finale di Champions League persa ai rigori all’Olimpico contro il Liverpool: “Bruno Conti e Falcao, stavano nella vasca e non dicevano una parola. Nessuno parlava. Nessuno ha parlato per tutto il tempo dopo”. Istantanee e momenti chiusi a chiave dentro gli spogliatoi dell’Olimpico e ricordati da Giorgio Rossi.
Nella storia però, almeno quella che ogni tifoso tramanda ci sono finiti altri nomi. Quelli che hanno portato la fascia da capitano: Di Bartolomei, Giannini, Totti e ancora e ancora…
I presidenti, da Dino Viola: “Sempre l’ultimo a lasciare Trigoria”, a Franco Sensi: “Si sposò di notte per andare a prendere la squadra a Fiumicino”, disse di loro. E poi gli infiniti aneddoti di Liedholm: “Ogni volta ci portava da Mario Maggi, il suo mago. Col pullman andavamo in ritiro vicino alla casa del mago, vicino Milano, perché così eravamo influenzati positivamente”, Capello: “Era quello che si faceva più sentire negli spogliatoi”, fino a Carlos Bianchi a cui stavano antipatici i romani, per questo stava per mandare via Totti.
Conosceva così profondamente la Roma, perché ne sentiva i dolori e le sofferenza. Tastava i muscoli dei suoi protagonisti, arrivando fino al cuore, partita dopo partita. Ne curava i malanni e ne coccolava i capricci. Nelle segrete stanze di Trigoria, dove tra un massaggio e l’altro raccontava cosa era stata la Roma fin dai tempi in cui ai palloni venivano stretti i lacci.
A 87 anni lascia orfana la sua città. Nel giorno in cui la Roma esce sconfitta da Bologna in uno dei momenti più difficili degli ultimi anni. Ma Giorgio Rossi, ne aveva visti di peggiori e avrebbe avuto le parole giuste da dire a ogni giocatore mentre ne riparava i postumi della fatica. Gliene avrebbe raccontato di altri e sicuramente più vincenti. Perché la storia della Roma negli ultimi 50 anni è stata così: piena di alti e bassi, ma con un unico protagonista, Giorgio Rossi.