Battute, sentimento, voglia di vincere: la Juve scopre già il suo Sarri
Abito su misura, confezionato ieri sera in poche ore. Sbarbato. Sorridente. Il battesimo di Maurizio Sarri alla Juventus è quello che ci si aspetta. O forse no. L’emozione è tanta, perché la percezione di essere arrivato al top in Italia c’è tutta. E Sarri entra quasi in punta di piedi, senza esagerare. Spiega le motivazioni che lo hanno portato ad accettare subito i bianconeri, spiega perché non si sente un traditore. Si toglie qualche sassolino dalle scarpe, ma garbatamente. Senza eccedere.
Non vuole passare per traditore, ma per coerente. “È un percorso, rispetto la mia professionalità”, ripete più volte a chi glielo chiede. Perché si rende subito molto disponibile: risponde a tutti, la sua conferenza stampa dura un’ora. Non vuole sentire parlare di Sarrismo o di stile Juve, non sono concetti che rifiuta ma non vuole nemmeno ricamarci sopra. Vuole vincere, questo sì: sa che in bianconero il motto è uno e viene spesso ribadito. Vuole centrarlo, mantenendosi coerente, di nuovo, con quella che è stata la sua storia: “Quando ero al Napoli davo il 110% per cercare di battere la Juventus. Da napoletano, allenare il Napoli il mio sogno. Ed era il mio obiettivo vincere con quella maglia. Non ci siamo riusciti e mi dispiace”.
Qualche eccesso c’è stato, chiede scusa di quello. Ma per l’impostazione della “battaglia” portata avanti contro la Juve no, non la rinnega: “Lo rifarei”. Perché il Sarri bianconero non vuole essere diverso dal Sarri napoletano. O da quello che allenava nei Dilettanti. Vuole solo sembrare maturo, adatto al ruolo.
Le battute non mancano: “Preferirei andare in campo in tuta. Cosa non vorrei? Scenderci nudo”. Non mancano la serietà e lo spazio ai sentimenti. La frase più bella gli esce naturale, non è costruita. Ma impattante: “Se esco tra gli applausi al San Paolo è perché i tifosi del Napoli mi vogliono bene. Ma vi dirò di più: se esco tra i fischi, è perché i tifosi del Napoli mi vogliono bene”.
E adesso gli si presenta un’enorme sfida, con un’eredità pesante da gestire, con il l’onore e l’onere di essere la favorita d’Italia e una delle favorite d’Europa, con uno spogliatoio da costruire e modellare secondo il suo pensiero. Che non può essere prevaricatore. A parte Paratici, al suo fianco ("È sempre stata la nostra prima scelta"), la dirigenza lo guarda. Non interviene. È seduta in prima fila, rappresentata da Agnelli e Nedved, non due qualunque. Si alzerà solo alla fine per le foto di rito. Un modo per rendere ancora più protagonista l'allenatore a cui è stata data in mano una creatura forte, ma che dovrà plasmare e irrobustire ancora di più.
L’era Sarri comincia così, tra i sentimenti passati, la voglia di successi futuri e una patina di scetticismo presente che l’ha sempre accompagnato a ogni presentazione. “Ci ho fatto l’abitudine, ma vincere aiuterà sicuramente”. Alla Juve, direbbero che è l’unica cosa che conta. Lui ci aggiunge anche un “convincere”, sinonimo di “divertire”. Che è il marchio di Sarri. Ma non chiamiamolo Sarrismo: “Io sono sempre stato così...”.
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