L'ultima pedalada: Robinho-Santos, atto quarto

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Il Rei do drible è tornato a casa. Robinho di nuovo al Santos, atto quarto. Con la speranza di vedere un'ultima pedalada. Certo, non è più qel ragazzino di 12 anni tutto velocità, tecnica e dribbling che fece commuovere Pelè. Era il 1996, O Rei era il responsabile del settore giovanile e rimase a bocca aperto quando, passando dal campo di allenamento, lo vide toccare la palla: "Mi è venuta la pelle d'oca - avrebbe poi raccontato - mi sono rivisto in lui". Sono passati 24 anni, Robinho oggi ne ha 36 ed è tornato in Brasile dopo le esperienze in Turchia con Sivasspor e Istanbul Basaksehir. Nessun contratto milionario, guadagnerà 230 euro al mese. Perché il coronavirus ha gettato il mondo e il suo Brasile in una crisi profonda. Ognuno deve recitare la sua parte, lui lo farà per i prossimi cinque mesi. 

I primi successi

Solo sei vittorie in 15 partite per il Santos, al momento sesto in classifica e distante sei punti dall'Atletico Mineiro capolista (e con una partita in meno). Non sarà facile replicare i successi del 2002, quando Robinho esordì in prima squadra e portò a casa il titolo ad appena 18 anni. Dieci gol in 30 presenze nell'annata del debutto da professionista. Ci aveva visto bene Pelè che, pazzo di lui, decise di farlo trasferire in una specie di foresteria divisa in camerate all'interno dello stadio del Santos. Lontano da mamma Marina, di professione casalinga, e papà Gilvan, idraulico. Dispiaciuti nel non vederlo più palleggiare con la pallina da tennis in corridoio, ma fieri del loro "bambino", che nel 2003 si consacra (53 partite, 8 gol in campionato e 7 in Libertadores) e che nel 2004 diventa un campione con 32 gol in 55 incontri e con il terzo posto nel Balon de oro dietro a Tevez e Mascherano. 

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Un Galacticos

La seconda vita al Santos inizia nel luglio del 2010. Durante i sei mesi in prestito gioca 23 partite e segna 11 gol, aiutando la squadra a vincere il campionato Paulista e la Coppa del Brasile. Non fa più notizia però, perché nel frattempo Robinho hanno imparato a conoscerlo in tutto il mondo. Nel 2005 il Real lo paga 30 milioni e gli fa dà la 10 di Figo. All'esordio è subito amore, perché entra al posto di Gravesen e il primo pallone toccato è un sombrero sopra la testa del difensore del Cadice. E' uno dei Galacticos insieme ai vari Zidane, Roberto Carlos, Ronaldo e Beckham.

Nel 2008 il City fa ancora meglio degli spagnoli, perché lo paga oltre 40 milioni di euro e lo strappa al Chelsea. Contratto da 180mila euro a settimana, altro che i 250 al mese di ora: "Sono molto contento di essere un giocatore del.. Chelsea", il lapsus che lo condanna fin dal giorno della presentazione. Da lì anni complicati, fra infortuni, saudade, dissidi con Mark Hughes e Mancini e ritorni in Brasile senza permesso. Tutto questo lo riporterà appunto al casa.

Pupillo di Allegri

La terza vita al Santos comincia invece nell'agosto del 2014. Sempre in prestito, giocherà 20 partite con sei gol e in seguito si trasferirà in Cina al Guangzhou Evergrande con un contratto di sei mesi a 12 milioni di euro. Parla la sua lingua con Scolari e vince il quarto campionato in tre continenti diversi. Qualche mese prima, infatti, aveva fatto la stessa cosa con il Milan. In rossonero arriva nel 2010, dopo il triplete dell'Inter. A Milano sta 4 anni, si sente a casa grazie a Thiago Silva, Pato e Ronaldinho. Nell'anno dello scudetto è il giocatore più impiegato da Allegri (45 partite) e chiude a 14 gol (come Ibra). Insomma, dal 2002 ad oggi ne ha passate e fatte tante. Ora Robinho è di nuovo a casa sua, al Santos, per un'ultima pedalada.

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