Quando il calcio chiedeva il permesso. Addio Luigi Necco, cantore del Napoli di Maradona
Quando Milano chiamava, il “suo” Napoli rispondeva. Di una sola frase ne aveva fatto un vero e proprio cult. Ma ora che a chiamare è stata Torino - nei panni della Juve - la risposta non è arrivata. È forse anche per questo che il cuore di Luigi Necco si è rallentato fino a fermarsi. Se ne è andato un altro dei volti storici del calcio degli anni ‘80. Dei Tonino Carino e Gianni Vasino, dei palloni che facevano la barba al palo e dei pareggi a reti bianche.
Quello era il calcio di Luigi Necco e della grande rivalità tra il nord (del Milan di Sacchi e Berlusconi) e il sud (di Maradona e Ferlaino). Un calcio che Luigi Necco ha saputo raccontare con una faziosità sempre garbata, con quell’ironia tipicamente napoletana: sofisticata e mai vogare. Spinto da una passione che lo ha portato in gioventù a prendersi anche tre pallottole in un agguato camorristico. Voleva raccontare la verità, quella delle mazzette e del calcio scommesse. Perché per lui il pallone non era solo una sceneggiata napoletana, ma una passione che ha portato avanti per 84 anni. Ancora andava su e giù per i campi. Seppure le sue condizioni di salute non fossero più quelle di una volta. Perché la passione e la voglia di raccontare i fatti in prima persona non conosce le rughe del tempo che passa.
È entrato nelle case di tutti. Sempre di domenica, sempre alla stessa ora e sempre con quella classica aria di chi - dispetto di un fisico imponente - sapeva farlo con delicatezza. In punta di piedi. Come si usava in quel tempo. Bussando alla porta e chiedendo il permesso. Diventando per forza di cose icona di un’epoca. Quella del Napoli di Maradona. Quella del Napoli di Luigi Necco.