"Sfide, cambiamenti, ricordi. Tutto in pochi mesi": l'anno in cui Delneri allenò Porto e Roma

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Porto-Roma sullo sfondo, una notte di Champions League che vale tutto per la stagione di entrambe. Luigi Delneri quelle squadre le ha allenate addirittura nello stesso anno, il suo anno, quello in cui passò dal suo piccolo "Chievo delle Meraviglie" a diventare l'allenatore della squadra Campione d'Europa in carica. Compito per nulla facile essere l'erede di José Mourinho nell'anno del double campionato-Champions e spostarsi da una realtà familiare come quella di Verona a una grande panchina estera.

"Fu una grande soddisfazione, ricevetti una chiamata da Jorge Mendes che all’epoca era l’alter ego del presidente, era un’avventura importante che mi proiettava nel calcio internazionale. L’inserimento non è stato dei più semplici, loro erano campioni d’Europa, erano abituati a una gestione diversa. La voce in capitolo più forte era quella dei calciatori. Se uno voleva arrivare e proporre il 4-4-2, all’epoca non era ancora il momento" dichiara ai microfoni di Gianlucadimarzio.com.

Entusiasmo fermato da un adattamento difficile per colpa di una proposta di calcio innovativa che non ha trovato terreno fertile però nella nuova squadra. "Il rapporto è stato complicato, abbiamo fatto un buon pre-campionato e lavorato bene in ritiro ma i cambiamenti che volevo portare hanno un po’ stravolto quello che voleva fare la squadra. I giocatori avevano abitudini un po’ diverse e l’assorbimento è stato complicato per loro, così come l'adattamento a loro per me. L’ambiente era buono ma a Oporto non ci sono mai stato praticamente: siamo andati in Canada, in America, in Olanda, ci siamo mossi parecchio. C’è stata poca adattabilità da entrambe le parti ed è stato meglio lasciarsi prima dell’inizio. Resta la soddisfazione di esser stato chiamato da una squadra che aveva vinto la Champions e che continua a fare bene".



D'altronde rifondare una squadra che aveva vinto tutto non era facile e se i segnali erano quelli allora sì, meglio provare altre esperienze. "Quando le squadre vincono tanto, loro venivano da un triplete sfiorato, subentrare diventa complicato. Quell’anno c’erano molti ricambi, perché c’erano giovani Pepe, Quaresma, Bosingwa, c’è stato un cambio generale. Dovevano avere la pazienza di vedere dei cambi, infatti quell'anno hanno cambiato tanti allenatori. È stata però una buona esperienza per me, insegnano anche quelle. Il difficile è stato provare a fare cambiare mentalità di colpo e venire da una realtà piccolissima come il Chievo. Io avevo le mie idee ma non sono riuscito a inculcarle ai giocatori per avere dei risultati, ma poi quella squadra lì è cambiata tutta nel giro di un anno".

E allora fu tempo di ricominciare, da subito. Da Oporto a Roma in pochi mesi, una stagione di grande voglia per Delneri, che si rimise subito in gioco accettando la panchina di una squadra in difficoltà dopo la gestione Voeller. "Anche alla Roma fu un anno di grandi cambiamenti, avevano venduto Emerson e Samuel. Poi è stato l’anno della monetina a Frisk e delle partite senza tifosi, non era una situazione serena e raggiungere risultati non era facile. Io sono andato via che ero quinto-sesto, in piena zona coppe, poi la squadra è arrivata a rischiare la Serie B e si è salvata alle ultime giornate.

La mentalità però era sempre quella: giocare per proporre, valorizzare le fasce e sfruttare l'attacco, tanto da creare un quartetto lì davanti da più di 60 gol in stagione. "Avevamo un grandi giocatori in attacco ma più problemi dietro. Giocavano Ferrari, Scurto, Mexes non ha potuto giocare tutto l’anno perché ha avuto i problemi con l’Auxerre. De Rossi e Aquilani erano giovani, Dacourt si era infortunato, giocavano Corvia e Virga, non era facile combattere ad armi pari con le grandi squadre. Montella, Totti, Cassano e Mancini hanno fatto credo 65 gol assieme, però serviva un po’ più di tempo per avere ordine, perché giocavamo di fatto con un 4-2-4. Volevano ricostruire ma per farlo o spendi molto o devi avere del tempo".









Roma e Porto intrecciate nella sua travagliata stagione, con il comune denominatore delle leggende Totti e Vitor Baía , due istituzioni per ciascun club. "Totti è una leggenda a prescindere, un uomo che sceglie la Roma per la sua vita rinunciando a tutto è un prodotto introvabile. Ho avuto molto più rapporto con lui che con Vitor Baía, con cui ho avuto dei colloqui per conoscere meglio la società. Sono stati due riferimenti importanti ma uno come Francesco non si può trovare altrove".

E allora sguardi che volgono al futuro, che in questo caso è rappresentato sia dalla partita di Champions League che dalle possibili nuove avventure in panchina. "La Roma sta programmando bene per il futuro, ci sono dei momenti di alti e bassi: adesso sta puntando su Pellegrini, Zaniolo, Under che sono molto giovani, e se la gioca comunque alla pari con grandi squadre. All’andata ha vinto 2-1, può farlo anche al ritorno. Ha avuto delle difficoltà ma ha chance sia di arrivare nelle prime quattro in campionato che di andare avanti in Champions".

E per la sua nuova avventura non si disdegna nulla, nemmeno un ritorno all'estero per prendersi la rivincita dopo le poche settimane al Porto. "Allenare mi va bene ovunque. Ho ancora delle idee importanti per il calcio che seguo, ho grande voglia di farlo e mettere in pratica quello che penso viste le cose che ho fatto in passato. Ho giocato le coppe con Samp e Chievo, ho fatto cose buone e altre meno buone. Se trovo una soluzione importante io sono pronto, allenerei volentieri anche all’estero se ci fosse un progetto convincente per creare un calcio propositivo".

Calcio che Delneri potrà vedere nella notte di Champions del Do Dragao, in quel Porto-Roma che è un po' la sua vera partita europea.


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