Artista, genio, ispiratore: Luis Alberto e la licenza di poter sognare

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Ribelle come Basquait, spontaneo come Pollock, pieno di colori. Inzaghi mette la tela e Luis Alberto prende il pennello, inventa e crea, detta anche i colori. L’artista è lui, e la Lazio diventa arte, una conseguenza diretta del genio: verticalizzazioni, uscite eleganti, palloni sporchi, assist, giocate di qualità e tocchi di fino.

I suoi schizzi di colore sparsi sul campo, l’estro del fantasista catalizza tutto. Se la Lazio sogna è grazie a lui, al suo modo di interpretare il gioco che esalta il collettivo. Ribelle, mai domo, a volte si arrabbia. Prende un fallo? Sbraccia. Sostituzione? Sbuffa. Poi rifinisce e inventa, dirige e crea, la pazienza è quella di uno scacchista alla mossa decisiva. 

ESTRO

I suoi guizzi sono graffiti, i palloni sporchi diventano gemme da galleria d’arte, roba arrivata dalla strada e ora da esporre. L’estro lo avvicina a Pollock, il carattere a Basquait, writer americano, uno che a 11 anni parlava già tre lingue. Luis Alberto, a quell’età, era appena arrivato nelle giovanili del Siviglia, scoperto da José Calderon in un campo in terra. “Predestinato”, diceva. Ci è voluto un po’ per farlo vedere a tutti. 

Se Caicedo segna è perché il Mago alza la testa, crossa e combina qualcosa. “Palla a Klose e s’abbracciamo”, dicevano. “Palla a Luis Alberto e annamo a vince”, dicono ora. Il nuovo ruolo lo legittima, mezz’ala di qualità con licenza di fare ciò che vuole, lì davanti.

SOGNO

Inzaghi lo gestisce e ogni tanto lo lascia a casa, perché forse il fisico è il suo unico limite, a volte troppo fragile. Ma la Lazio è lì, a -1 dalla vetta, Inter e Juve a braccetto a 54 punti, alpinisti esperti e navigati.

53 punti in campionato, dopo 23 giornate non era mai successo. E soltanto altre 3 volte, in 120 anni di storia, la Lazio si era piazzata così vicina alla vetta. L’ultima nel 2000, anno dello Scudetto. I numeri definiscono le stagioni.

STORIA

Inzaghi batte anche il Parma e vola: 18 risultati utili di fila, 14 vittorie e 4 pareggi, mai nessuno come lui. Neanche Eriksson. All’Olimpico sognano, domenica prossima arriva l’Inter, Inzaghi ha restituito alla piazza la licenza di sognare, di provarci, di esserci. L’obiettivo numero uno resta la Champions, “di scudetto non parla”.

Qualcuno lo sussurra, ma a voce bassissima. Prima l’Europa vera, sfumata tre anni fa all’ultimo gong. Era un sogno di cristallo, leggero e fragile, sfortunato e maledetto, la Champions League come Godot. Stavolta per vederlo manca poco. 

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