Palladino: "Juve, scuola di vita. Crack Parma, che dolore"

Si è goduto Napoli, la sua terra. Sole, mare, famiglia. Anche i grattacieli di New York, sempre con il solito motto: “Sorridi per essere felice”. Raffaele Palladino ha vissuto la sua seconda estate da svincolato. La prima tre anni fa, dopo il fallimento del Parma: “Poi andai a Crotone, feci una grande stagione e vincemmo il campionato - ricorda in esclusiva a Gianlucadimarzio.com speriamo di ripetersi” Sorride.

I presupposti per farlo, ci sono tutti: “Fisicamente sto bene – continua – mi sono allenato regolarmente e mi sono ripreso anche dal problema al polpaccio accusato con lo Spezia. Sono carico per iniziare una nuova sfida e spero di farlo quanto prima”.



Intanto non si perde neanche una partita: “Perché sono un amante del calcio”. Dall’Italia alla Spagna, dalla Serie A alla Premier: “La squadra che più mi ha deluso? L’Inter – ammette – credevo iniziasse meglio, ma occhio a Spalletti. E’ un grande allenatore, si riprenderà e farà un campionato di vertice”. Poi il “suo” Napoli. Suo perché Raffaele è nato a Mugnano di Napoli, a una ventina di chilometri scarsi dal San Paolo: “Ancelotti è il top, il cambio con Sarri mi incuriosiva. Sta cercando di conservare l’ossatura già esistente e di aggiungere qualcosa di suo. Ma la squadra con gli occhi puntati addosso è la Juventus…”

Già, i bianconeri. Tifava per loro, da piccolo. Cosa non scontata se nasci da quelle parti. Nella cameretta abbondavano i poster, soprattutto quelli di Baggio e Zidane: “I miei idoli. Poi sono diventato calciatore e quindi anche più imparziale. Adesso faccio il tifo per la squadra della mia città e per tutte quelle in cui ho giocato”. Anche la Juventus, appunto.

Sì, perché c’è pure il suo volto (e i suoi gol) nella Juventus che è ripartita dopo calciopoli: “Ricordo tutto benissimo, avevo 21 anni ed ero reduce dalla mia prima avventura in A con il Livorno. Certo, era una Juve totalmente diversa da quella di oggi. Se mi aspettavo una rinascita del genere? Non in così poco tempo ma sì, ne ero sicuro. Conosco la mentalità dei dirigenti e della famiglia Agnelli. Di Nedved, mio ex compagno. So la fame che hanno di vincere, la voglia di primeggiare”.

Sette Scudetti e due finali di Champions fa, la Juventus di Deschamps si apprestava a ripartire: “Con lui fu amore a prima vista – ricorda Palladino – ero il sesto attaccante nella gerarchia, venivo dietro anche a Bojinov e Zalayeta. Avevo tante richieste, ma lui mi vide in ritiro e mi disse: ‘Tu rimani qua’. Ed è stato di parola, perché giocai tanto e segnai”. Cosa niente affatto semplice se davanti hai una certa coppia, Del Piero-Trezeguet: Devastante, una delle più forti di tutta la Serie A. Alex era più serio, arrivava al campo sempre per primo, faceva tanta palestra. Era grande anche a livello umano, cercavo di rubargli tutti i segreti. David era sempre sorridente, uno che amava scherzare e fare i dispetti nello spogliatoio”.

E pensare che, nella prima fase di ritiro di quella nuova Juve, c’era anche Zlatan Ibrahimovic, poi trasferitosi all’Inter: “E c'ero in camera con lui – ricorda ridendo – che partite alla play! Però vinceva sempre lui, altrimenti se lo facevi arrabbiare… Zlatan è un tipo particolare, non lega con tanti, ma con quei pochi con cui lo fa è una persona vera, sincera, di cuore. Era uno dei miei idoli”. Due i ricordi più beli di quell’annata: “Prima di tutto le cene di metà settimana – racconta – Zanetti, Giannichedda, Chiellini… ogni tanto qualcuno le organizzava. Serviva per aiutarci a legare, perché dietro ad ogni vittoria c’è un grande gruppo. E noi lo eravamo. Poi, ovviamente, la festa finale ad Arezzo. Avevamo conquistato la promozione dopo una cavalcata dispendiosa, soprattutto psicologicamente. Vedere la Juve in Serie B era troppo strano”.




Raffaele verrà confermato anche l’anno successivo, in Serie A. Con Ranieri farà 25 presenze: “Ed era dura ragazzi – scherza – lì c’erano campioni del mondo e palloni d’oro…”. Come nella prima Juve in cui arrivò. Anno 2002, provenienza Benevento, destinazione Primavera. Con qualche avventura, però, anche fra i grandi: “Noi delle giovanili ci allenavamo al Combi, la prima squadra al Comunale. Due stadi l’uno davanti all’altro, spogliatoi quasi comunicanti. Ogni tanto Lippi chiamava qualche giovane. Una volta mancava mezz’ora all’inizio dell’allenamento e gli sento fare il mio nome. Mi tremava tutto”.

I campioni, però, lo accolgono subito a braccia aperte. Soprattutto uno, Pablo Montero: “Con lui ho legato fin da subito, tutt’ora siamo grandi amici. Meglio avercelo come compagno, perché da avversario sarebbe stata dura (Ride n.d.r)”. La vittoria più grande, al suo arrivo, non è sul campo però: “Feci un patto con mio papà: qualora fossi arrivato a giocare in Serie A lui avrebbe smesso di fumare. E’ dal 2005 che non si accende una sigaretta. Sono arrivato alla Juve a 16 anni. Non mi hanno trascurato in nulla, dalla scuola al calcio. Quando entri lì dentro diventi professionista per forza, è una grande scuola di vita”.


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Gli servirà nella sua carriera per affrontare i momenti più duri. Uno di questi è al Parma, sette anni dopo. Nell’aprile del 2015 al Tardini arriva proprio la Juventus di Allegri, lanciata verso lo Scudetto e la finale di Champions. La squadra di Donandoni è ultima, già quasi retrocessa. Una settimana prima il club è stato ufficialmente dichiarato fallito e in città da qualche giorno sono arrivati i curatori fallimentari. Ma quella partita il Parma la vince, 1-0, gol di Josè Mauri: “Era una delle ultime giornate, non avevamo nulla da chiedere al campionato. Tutti ci davano per sconfitti, ma con orgoglio abbiamo scritto una bella pagina di storia”

L’anno prima il Parma aveva agguantato l’Europa League, a maggio però l’Alta Corte del Coni lo “elimina” ancora prima dell’inizio. Niente Licenza Uefa, colpa dei 300 000 euro di IRPEF non pagati sugli stipendi di qualche giocatore in prestito: “Fu il primo di tanti campanelli di allarme – ricorda Palladino – non si capiva niente. Solo un anno prima avevamo uno squadrone. Poi la mancata iscrizione alla coppa e la richiesta della società di spostare dei soldi che dovevamo avere sul contratto successivo. Dicevano che mancava liquidità, ma che il club era sano. Poi vedere il Parma ceduto a tre presidenti senza nemmeno un euro… che sconfitta per il calcio italiano”.




La disperazione dei dipendenti l’immagine più brutta di quei mesi: “Perché noi calciatori abbiamo la fortuna di guadagnare bene e possiamo campare anche senza ricevere lo stipendio per un anno. Loro no, non riuscivano ad arrivare a fine mese. Questa è la cosa che mi ha toccato più di tutte le altre”.

Adesso, però, il Parma è rinato. Domani tornerà ad affrontare la Juventus dei giganti, che Raffaele ha visto piccola. Lui, ovviamente, se la guarderà dalla televisione, con il cuore diviso in due. Fra un allenamento e l’altro, perché sta bene e la voglia di tornare è tanta. "Sempre con il sorriso", anche a 34 anni, anche dopo tante battaglie. In attesa di... tornare a fare gol

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