"Facciamolo saltare in aria". Escobar voleva uccidere Gareca
Film, libri, storie e leggende. Che Pablo Escobar sia diventata una figura di culto è quasi indiscutibile. Che abbia avuto una grossa voce in capitolo anche in materia calcistica, questo forse non in tutti lo sanno. L'amore del re del narcotraffico nei confronti di questo sport è noto ai più. Lo ha dimostrato nel corso della sua vita, facendo costruire per esempio molti campi da calcio. Il primo paio di scarpe che gli fu regalato, come raccontò la sorella, furono un paio di scarpe da calcio. Con che scarpe morì? Con quelle da... calcio.
Fu anche il presidente, o comunque uno dei proprietari, dell'Atletico Nacional de Medellin, che arrivò a giocarsi perfino la finale della coppa del mondo per club con il Milan di Sacchi. Forte, fortissima la rivalità con l'America di Calì, squadra che apparteneva all'omonimo cartello, letteralmente in guerra con Escobar e i suoi sicari. Con l'America giocava anche Gareca, l'attuale allenatore del Perù: "Sì, Pablo lo voleva uccidere". A raccontarlo è John Jairo Velásquez, detto Popeye, uno dei fedelissimi di Escobar, alla testata peruviana El Popular.
Durante il conflitto armato fra i due cartelli, i calciatori hanno rischiato grosso: “Tutti i giocatori dell’ América de Cali erano scrupolosamente osservati da Pablo. Eravamo in guerra - prosegue così il racconto - e Ricardo Gareca è sempre stato nel mirino del boss. Ma non è mai riuscito a raggiungerlo. All'inizio l'idea era di farli saltare in aria con un’autobomba dopo che il Cartello de Calì aveva tentato di fare lo stesso con la famiglia di Escobar. Poi l'amore per il calcio di quest'ultimo lo ha fatto tornare sui suoi passi“.
Il calcio per raggiungere i propri obiettivi. Una pratica frequente fra i narcotrafficanti, come testimonia l'ex fedelissimo del re del narcotraffico: "Spesso ha fatto rapire giocatori dell’America per far uscire allo scoperto i fratelli Rodriguez (i capi del Cartello di Calì) Ha fatto uccidere la famiglia di Pedro Sarmiento, che ora è un allenatore famoso, ma che all’epoca non ha collaborato". E che ha lasciato il calcio ad appena trent’anni… E forse anche per questo che Popeye conclude che “i signori della droga hanno fatto parecchi danni al calcio colombiano“.