La storia di Banchieri, dai campetti in terra alla panchina del Novara
Ci sono tre parole che Simone Banchieri usa spesso. Scetticismo, valorizzazione e ambizione.
Scetticismo è il punto di partenza, valorizzazione l’obiettivo, ambizione un modo di essere. Tre chiavi per leggere la sua storia. Già perché oggi fa l’allenatore del Novara, sesto nel girone A di Serie C, a quattro punti dal secondo posto. Ma qualche anno fa il calcio, per lui, non era nemmeno un lavoro. Basta tornare indietro al 2013:
“Il calcio da solo non poteva bastarmi - racconta in esclusiva ai microfoni di gianlucadimarzio.com - ho una famiglia, una moglie e due figli da mantenere. Lavoravo in amministrazione in una grande azienda, dovevo abbinare le due cose, calcio e lavoro. Finivo da una parte e andavo dall’altra. Tanta volontà… ma anche tante difficoltà”. Per questo, oggi, a chi dice che quello dell’allenatore è un lavoro risponde “che il lavoro, quello vero, è un’altra cosa”. Altro che pressioni per una partita persa o una prestazione fatta male: “La vera pressione è quando ti alzi alle cinque del mattino per portare a casa uno stipendio con cui mantenere la famiglia”.
Che la vita da calciatore non l’avrebbe mai fatta, del resto, l’ha sempre saputo. Motivo? Abbastanza semplice: “Ho giocato poco e male… al San Mauro, la squadra del mio paese. Diciamo che il calcio non ha perso nulla quando ho smesso di giocare”. Piedi buoni, niente di più: lo ammette lui stesso. Eppure qualcuno aveva giù intuito che la sua strada sarebbe stata un’altra: “Mi ricordo che il mio primo allenatore quando mi vide disse a un tizio 'Guarda quel ragazzino lì, a 12 anni allena giù tutti gli altri' ”. Ci prese in pieno: qualche anno dopo, da allenatore, Banchieri portò il San Mauro al suo miglior piazzamento di sempre in Promozione. Arrivarono secondi, un mezzo miracolo.
Partito da zero. Anzi, da nove: “Mi ricordo che al primo allenamento che diressi, con la Berretti del Collegno, c’erano solo nove ragazzi. Arrivai a inizio settembre, perché l’allenatore prima di me li aveva lasciati. Finimmo il campionato in diciotto, al primo posto e senza mai perdere una sola partita. Iniziai così”. Mica male. In quel gruppo, tra l’altro, c’era una coppia di fratelli decisamente interessanti: “I due Lapadula… Gianluca, che era appena stato scartato dalla Juve, e Davide, anche lui bravissimo. Io li feci giocare insieme, anche se Gianluca era più piccolo. Lì iniziò la sua ascesa, ma anche la mia”.
Già perché da quel primo allenamento al Collegno, Banchieri, non si è più fermato. Prima il San Mauro, poi la Canavese. Anche qui, un altro miracolo: “Vincemmo la Berretti nazionale, arrivando davanti al Milan di Nunziata (oggi allenatore della Nazionale Under 17, appena eliminata dal Mondiale ndr). Era il Milan di De Sciglio e Fiammozzi. Fu davvero un’impresa… vincere il campionato con una squadra che l’anno dopo non sarebbe più esistita”. Anche qui, a partire dallo scetticismo generale. Perché all’inizio, come al solito, non ci credeva nessuno: “Non bastò nemmeno un 2-1 al Milan, in nove contro undici”.
Ce lo racconta lui stesso, in un aneddoto dei suoi.
Il primo plot point della sua storia arriva al termine di quella stagione alla Canavese. Lo chiama la Pro Patria, sempre in Berretti. E lui, a quarant’anni, decide di puntar tutto sul calcio: “A quel punto decisi di mollare il certo per l’incerto… di pensare solo ad allenare”. Rischia, ma fa la scelta giusta.
Non è un caso se qualche mese dopo lo cerca la Juve, sempre per la Berretti. Poi però non se ne fa niente: “Ci fu un contatto, fu una possibilità…poi loro decisero di non allestire la squadra”. Nessun problema, Banchieri è abituato a fare le cose per step. Dal basso verso l’altro, ma gradatamente. Dopo la Pro Patria torna ad allenare i grandi, in Serie D: Derthona, Novese e ancora Derthona. Ma il bello viene dopo, alla fine di un altro anno da sogno in D: “Mi chiamò il direttore del Novara e mi propose di allenare gli allievi nazionali. Accettai subito”.
Lui è perfetto per il Novara e il Novara è perfetto per lui: “Qua ci sono organizzazione, strutture e una società importantissima”. Ma al punto più in alto - la prima squadra - ci arriva per step, come sempre. Nei due anni con gli allievi i risultati sono impressionanti. Al primo arriva dietro soltanto alla Juve. Al secondo vince lo scudetto senza perdere nessuna partita. Ma la festa dura più o meno tre giorni: “Prima della finale scudetto con gli allievi la società aveva annunciato di volersi prendere ancora un po’ di tempo prima di scegliere l’allenatore.
Una settimana dopo mi convocarono dicendomi che c’era la possibilità di allenare la prima squadra”. Reazione? “Una felicità immensa”. Dall’under 16 alla prima squadra, da un giorno con l’altro… questa volta, forse, qualche step l’ha saltato. Vero, ma quei numeri non potevano passare inosservati.
La nuova politica del Novara parte proprio dalla scelta di Banchieri in panchina. Lui lo sa bene: “La società quest’anno ha deciso di puntare tanto su quello che già ha in casa. Abbiamo ottime strutture e uno dei sei settori giovanili, credo, migliori d’Italia: lo abbiamo dimostrato coi risultati. L’idea è quella di valorizzare chi è cresciuto qua ed è una cosa che io mi sento dentro”. Insomma la linea è chiara: valorizzare i propri prodotti, alimentando il senso di appartenenza alla città. Perché vincere è la prima cosa, ma non l’unica. Banchieri ha due chiodi fissi in testa: “Fare i risultati e far crescere individualmente i ragazzi. La società deve avere un seguito, andare avanti, e per questo non bastano i numeri”.
Mentre parla ha il volto di chi non si accontenta, ma sa che gli è cambiata la vita: “È cambiato tanto, ma in positivo. In D è tutto molto più difficile…devi allenare gente che ha una famiglia da mantenere e magari anche un secondo lavoro. Qui è un’altra cosa”. Guarda avanti, ha sempre fatto così. Ma qualche volta gli fa bene pensare al passato: “Ogni tanto quando mi guardo indietro ho le vertigini… ma per me aver avuto un pregresso, un percorso è un vantaggio. Partire dal punto più basso e arrivare in alto, conoscendo man mano tutto quello che c’è da conoscere…è un po’ il succo della la mia storia”. L’impressione è che quello che ha vissuto lo aiuti ad apprezzare ciò che vive adesso e ne alimenti l’ambizione: “Quest’anno stiamo facendo bene, ma l’obiettivo resta quello di fare ancora meglio”. Vero, anche se forse lui, il suo obiettivo - quello vero - l’ha già raggiunto: “La vera libertà di ognuno di noi è fare quello che ci piace. E io, oggi, lo faccio”.
di Lorenzo Del Papa
Google Privacy