Napoli, il pasillo, le lacrime e l’abbraccio di Insigne: “Grazie, mi avete dato tutto”
50mila, tutti azzurri, tutti con la mano aperta come in un saluto. Lorenzo ha la testa bassa come a non voler guardare in faccia la realtà. Poi l’ingresso sul verde, il boato, il nome cantato a squarciagola.
“Insigne, Insigne, IN-SI-GNE”, di solito lo si sente quando la palla va in rete ma effettivamente oggi il capitano del Napoli ha fatto gol ancora prima di scendere in campo. La città gli regala il tributo più atteso: tutti a Fuorigrotta oggi per salutare l’ultima volta Lorenzo, il napoletano che è stato il Napoli, il ragazzino di Frattamaggiore - periferia della città - che faceva il venditore ambulante vent’anni fa e oggi chiude la sua carriera in azzurro con oltre 400 presenze e 121 gol: solo Dries Mertens - uno di quelli che l’ha abbracciato forte negli spogliatoi prima di entrare in campo, così come l’ha abbracciato forte negli ultimi anni - ha saputo fare di più con l’azzurro addosso.
Insigne ringrazia, tira svogliatamente in porta sotto la Curva B, dove ha tante volte segnato e festeggiato, alza il braccio sinistro (quello dove stringe la fascia da capitano) verso il pubblico, protagonista di una contraddizione: negli ultimi giorni in città è scattata la contestazione contro tutti, squadra e allenatore, club e presidente, persino contro la stampa. Eppure, oggi, al Maradona sono tutti (o quasi) lì, ad attendere gli ultimi 90 minuti del proprio capitano.
NAPOLI, INSIGNE RINGRAZIA: “QUESTA CITTÁ MI HA DATO TUTTO”
Poi il momento dei saluti. Sul campo di gioco c’è Luciano Spalletti con Aurelio De Laurentiis: il patron che lo lascerà andare con il contratto in scadenza gli consegna il meritato “pasillo”, i compagni gli lasciano una Coppa e un regalo, lui la afferra e la mostra al pubblico - che un po’ applaude e un po’ fischia il patron delle contraddizioni - prima di prendersi la scena.
“Scusate, con le parole non sono bravo” esordisce Lorenzo, che poi si lascia andare “La sola cosa da dire è grazie a una città che mi ha dato tutto. Sono nato e cresciuto insieme a voi. Abbiamo gioito e sofferto, anche litigato, ma sempre insieme come una enorme famiglia. Ogni addio lascia l’amaro in bocca, ma questo un po’ di più: lascio casa con la consapevolezza che mi mancherete sempre. Grazie ai miei compagni di squadra che hanno reso tutto più semplice, all’intero staff e al mister. Alla società che ha reso possibile tutto questo. Alla mia famiglia, a chi ha sempre creduto in me”.
Sono le parole più crude, quelle più vere, quelle che da settimane sta provando a trascrivere su un foglio mettendo in ordine le emozioni vissute negli ultimi dieci anni, stagioni in cui il Maradona è stato casa sua, in cui ha sfiorato scudetti e portato in dote al club due Coppe Italia (una alzata da capitano) e una Supercoppa Italiana. In cui ha sognato e fatto sognare in Italia e in Europa. Alle sue spalle il tempo è scandito dai suoi gol: Borussia Dortmund, Paris Saint Germain, Barcellona e Real Madrid, Liverpool e Juventus. Insigne ha fatto gol a tutte le big del continente e con il suo destro è diventato il gigante che per natura non è mai stato.
C’è chi piange sugli spalti, chi gli sorride in segno di gratitudine. Tutti, però, hanno addosso una maglia numero 24, quella che ha sempre indossato da quando è in squadra. Quella che userà per l’ultima volta contro lo Spezia tra una settimana. Poi la porterà a casa, la piegherà e la metterà in valigia. Ce ne sono tante nella sala d’ingresso di casa Insigne. “Send to” e qualche riferimento da aggiungere. Toronto, Canada. Lontano da qui dove ha lasciato il cuore. E anche qualche lacrima in più.
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