Napoli-Ancelotti, una parabola tutta da interpretare

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Era cominciata con una sorpresa, altrettanto sorprendente è stata la fine. Carlo Ancelotti aveva abbracciato Napoli con il sopracciglio alzato, lo stesso che dopo il fischio finale di Napoli-Genk prova a scrutare l’orizzonte di un club che aveva già deciso ben prima dei 4 gol rifilati ai belgi. L’allenatore non è più azzurro, guarda già altri lidi, ma alle spalle lascia una squadra che aveva trovato da record e ora deve affidarsi a Gennaro Gattuso per tornare a sorridere. “Rino è un fratello”, ha detto più volte. Lo conosce bene e l’ha svezzato in campo e fuori quando aveva addosso i colori rossoneri del Milan. Ora dovrà passargli il testimone: l’ultima volta in città si erano incontrati in occasione dell’ultimo compleanno, a Capri, coi colori dell’Isola Azzurra che mai avrebbero potuto predire un epilogo simile.

L'inizio della parabola

La parabola ancelottiana a Napoli è stata un’altalena di emozioni e speranze, poi disilluse. Un avvio incoraggiante quello dello scorso anno, con una squadra da rianimare dopo i 91 punti da record, lo scudetto mancato sul rettilineo finale, l’addio di un Santone come Sarri. Ma per la vittoria finale serviva qualcosa in più: la stagione degli azzurri si era conclusa esattamente un anno fa, l’11 dicembre a Liverpool, con la sconfitta contro i Reds (poi campioni della Champions) che aveva segnato anche l’eliminazione dalla competizione europea. Un rospo troppo grande da mandare giù che faceva il paio con quanto accaduto due settimane più in là. A Milano, contro l’Inter, il Napoli crolla nei giorni di Natale e lascia la corsa per il trono nelle mani della Juventus che scapperà fino al tricolore.

L'addio di Hamisk

L’equilibrio crolla tutto a febbraio. Marek Hamsik fa le valigie con direzione Cina, il Napoli perde il primo tassello della vecchia guardia nello spogliatoio così come l’uomo di equilibrio in mezzo al campo. Ne risentono i compagni di squadra così come quel 4-4-2 che si era preso il posto del più amato 4-3-3 senza mai convincere pienamente gli addetti ai lavori. Le altre squadre, però, si eliminano da sole e il Napoli viaggia tranquillo al secondo posto che vuol dire nuovi introiti e nuova Champions. Dimenticando anche l’amara eliminazione in Coppa Italia.

Il Napoli più forte

Il mercato dell’ultima estate faceva presagire ben altri risultati. Aurelio De Laurentiis alza ancora il tetto ingaggi, regalando ad Ancelotti il Napoli più forte - sulla carta, almeno - della sua gestione. Arrivano Manolas e Di Lorenzo, l’acquisto più costoso di sempre come Lozano. Tutti gli uomini di Carletto, aveva detto qualcuno, ma l’avvio di stagione già denuncia una squadra in difficoltà. Solo il Liverpool regala sorrisi, ma la classifica piange e la coppia Inter-Juventus è già irraggiungibile a novembre. L’agonia tecnica dura due mesi, gli azzurri raccolgono 5 punti in 7 partite e anche la zona Champions è a rischio. Lo stesso rischio che si assume Aurelio De Laurentiis allontanando Carletto dalla panchina. I 18 mesi più lunghi della carriera di Ancelotti si chiudono con la qualificazione agli ottavi di Champions in una serata che restituisce gol, sorrisi e vittoria. L’ennesimo paradosso di una parabola tutta da interpretare.

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