Morto Pelé: addio al Dio del Pallone dai mille gol che ha rivoluzionato il calcio del suo tempo
Raccontare cosa è stato Pelè per il mondo del calcio è difficilissimo, forse quasi impossibile. La sfida più complessa è quella di cercare di lasciare un’immagine chiara, definita e che lo racconti, descrivendo l’enormità della sua figura, l’influenza che ha avuto sul calcio del suo tempo e quella che ha e avrà per sempre anche su quello del presente e del futuro. Perché Pelè oltre essere un campione assoluto, probabilmente il più forte (o uno dei più forti) di tutti i tempi, è stato un calciatore-nazione, un’icona, un riferimento e poi ancora un ministro e un ambasciatore dello sport. O meglio lo è diventato in via ufficiale post ritiro dopo esserlo stato da giocatore per oltre vent’anni. In tre parole: Guida, Simbolo, Leggenda. Ma non basta certo questo.
Pelé e Maradona, giocatori-nazione
Quando lo abbiamo letto non volevamo crederci. Era la notizia che nessuno voleva sentire, che ci lascia increduli, disarmati e profondamente impotenti. Abbiamo tutti sperato che potesse uscire dall’ospedale come usciva da un raddoppio di marcatura e che potesse sconfiggere quel maledetto tumore al colon come ha sconfitto tutti gli avversari che si è trovato di fronte in carriera. Non può essere vero su. Sarà l’ennesimo dribbling, l’ennesima finta di corpo che apre un nuovo capitolo della storia. Questo si racconta chi ancora adesso non vuole credere ai suoi occhi.
Per decenni lui e Maradona sono stati paragonati, messi a confronto. Tanto diversi nella vita quanti simili in campo. Uguali nell’impatto che hanno avuto sul calcio del loro tempo: dirompenti, innovativi, dominanti. Perché se Diego è stato un rappresentate del popolo con indosso una “diez de cuero blanco”, Pelè è stato allo stesso modo un rivoluzionario, diventando un giocatore-immagine: è stato forse il primo o comunque sicuramente il primo ad aver avuto un impatto così forte su un movimento intero. Un volto pop, che sembra accerchiato da aurea calma, quasi divina, che infonde sicurezza. Scomodando Nietzsche e il Super Uomo, si può vedere come Pelè lo sia stato si per il mondo del calcio ma come allo stesso tempo sia andato oltre, travalicando i confini dello sport in un mondo non globalizzato come era il suo. Ma non solo. No, non è stato solamente questo. È stato anche la rappresentazione vivente - poi forse seguita in scia dai vari Ronaldinho, Ronaldo & co - di quell’identità carioca ancora presente nella cultura occidentale. Un’idea di un paese che vive di calcio, che di calcio si nutre e che dal calcio è influenzato in tutti suoi aspetti. E Pelè, anche nella percezione dell’epoca, ne è sempre stato ambasciatore e portavoce. Probabilmente senza neanche saperlo. Semplicemente O Rey.
Pelé, il "Dico" della famiglia e la promessa mantenuta al padre
C’è poi una contrapposizione importante da fare. Un confronto che non solo umanizza incredibilmente il personaggio, ma che allo stesso tempo ci aiuta a cogliere la grandezza di quello che è stato, di quello che è e sempre sarà. Da una parte c’è un uomo di 82 anni che su Instagram incoraggia il suo Brasile alla vittoria del Mondiale e lo fa con una faccia visibilmente stanca, ma che cerca di trasmettere energia, con un sorriso che occupa l’intero schermo. Dall’altra c’è ‘Dico’ - così veniva soprannominato in famiglia - che, non ancora maggiorenne, alza al cielo la sua prima Coppa del Mondo, dopo aver segnato tre gol in semifinale e due in finale contro la Svezia padrone di casa. Altri mondi, a sessant’anni di distanza. Guardando attentamente i filmati dell’epoca si può pizzicare un sorriso di Pelè, con gli occhi scaltri e vispi, che sembra dedicare il successo al Papà, che otto anni prima piangeva disperato dopo il Maracanazo. Quel giorno lo guardò e gli disse “un giorno vincerò la Coppa del Mondo per te”. Gli occhi probabilmente saranno stati gli stessi. Decisi, convinti. Promessa mantenuta. Frammenti di storia che ci portano indietro nel tempo.
Un simbolo per i bambini che sognano nella povertà
Già perché Pele è stato un simbolo anche in questo. Un esempio, un riferimento. Perché se le storie di lui bambino ci riportano a un mondo lontanissimo, in un Brasile diverso, è stato però lo stesso Pelè a cercare di portare la sua terra a una condizione di normalità. A livello di vita, di sogni ma anche e soprattutto a livello di considerazione globale. Il Mondo era in guerra e non conosceva quelle terre abbandonate, arretrate, dove regna la povertà e niente sembra essere degno di nota. Ci ha pensato lui a reinventarne l’immagine, a mostrare a tutti il Brasile, incuriosendo chi guardava questa squadra di fenomeni che vinceva ovunque andava. La vittoria dei Mondiali del 1958 e del 1962 lo ha eretto a modello, simbolo per i bambini che sognano di scappare dalla povertà e di regalarsi una vita migliore. Ma non è stato un riferimento solo per loro. Lo è stato anche per una nazione che veniva riconosciuta come “la nazione di Pelè” e che in lui si rivedeva, come fosse il riflesso nello specchio che inquadra la condizione di un paese intero. Fotografia di un movimento di riscatto di un popolo che cresce e sogna con e grazie al calcio. Per dirla con Victor Hugo Morales, dopo il gol di Maradona contro l’Inghilterra, “de que planeta viniste? “ La domanda si potrebbe fare tanto a Maradona, quanto a Pelè. La risposta però non la sa nessuno, neanche loro. Ne lui, né Diego. Così diversi, così lontani, ma allo stesso tempo così vicini. Eternamente immortali.
C’è poi un’immagine di un gol che in pochissimi hanno visto. Una perla rara riservata agli eletti che erano presenti al Maracana il 2 agosto del 59’. Gioca il Santos, primo in classifica, e il protagonista della storia indossa il numero dieci, cucito in nero sul bianco della maglia. Altri tempi. Pelè recupera palla in difesa e salta tutti gli avversari, portiere compreso, prima di appoggiare in porta. Per molti quello segnato sarà il gol del secolo, peccato che lo abbiano visto in pochissimi. Fuori dallo stadio Rua Javari c’è una targa che recita “qui è stato segnato il gol più bello della storia”. Negli anni a venire sarà chiamato il gol della Targa. Chi era lì la racconterà come “La pena de ouro da literatura esportiva do Brasil”. Giusto per rendere l’idea. Anche se le parole non bastano.
Per rendere l’idea di che giocatore è stato Pelè in ottanta anni, si potrebbero citare i gol, i tre mondiali vinti, le oltre mille reti segnate in carriera e tantissimi gesti extra calcio, ma quello che più ci resterà sarà l’uomo, il simbolo. Ha vissuto un’epoca in cui in pochi l’hanno visto giocare, è entrato nel mito, nella leggenda e ci resterà per sempre. Resterà il ricordo di un ragazzo brasiliano che realizza i sogni di una nazione intera, ne eleva la considerazione a livello Mondiale e la rende unica. “Il Brasile, la nazionale di Pelè”. Niente da aggiungere. Questa fuga in avanti non ce la aspettavano, pensavamo avresti vinto ancora, uscendone con un sombrero e ora nessuno vuole crederci. Più delle parole, potrà il tempo. Rimuoverà questo senso di maledizione, che oggi ci fa sentire parte di un calcio che non ha più magia, che perde una parte pura, rara. Resterà però sempre nella storia, nei ricordi e nei racconti. Resta il Dieci. In eterno.
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