"Juve-Manchester fu il mio esordio in Champions": garra e ricordi, Paolo Montero (si) racconta

Mostri a Paolo Montero una vecchia foto in cui strappa il pallone non da un piede qualsiasi, ma da quello di Eric Cantona. Per un attimo non dice nulla e chilometri che separano Milano e l'Uruguay impediscono di cogliere la sua espressione. Che si addolcisca, però, si percepisce: il ricordo della Juve per un attimo gli fa mettere da parte quell'indole da duro, quasi minacciosa.

Quella foto risale ad uno Juventus-Manchester United dell’11 settembre 1996: il primo capitolo di una saga che si rinnoverà martedì prossimo. Una saga che fino agli anni ’90 aveva vissuto di episodi isolati, ma che da quell’11 settembre 1996 fino al 2003 vedrà ben 8 scontri diretti ad alimentarla. Da Del Piero-Inzaghi e Yorke-Cole, Beckham e Davids, Zidane e Cantona, Conte e Scholes, Nedved e Giggs: ora ci sono Ronaldo, Pogba, Dybala e Lukaku. Ma c’è soprattutto il fascino di una sfida che per Paolo Montero – intervistato in esclusiva su gianlucadimarzio.com – è stata l’esordio in Champions League. Dopo quell'attimo di silenzio, rivela cosa suscita in lui quell’immagine: “Emozione. Quello fu il mio debutto in Champions League, contro Cantona. Arrivavo dall’Atalanta nella Juventus campione d’Europa”. La Juventus vinse entrambe le partite di quella fase a gironi contro i Red Devils per 1-0: Boksic a Torino, un rigore di Del Piero a Old Trafford: “In quegli anni – aggiunge Montero – da Manchester arrivarono diversi attestati di stima nei confronti della Juventus. Ricordo una dichiarazione di Giggs, per noi è stato un orgoglio. In quella stagione iniziò il ciclo che avrebbe portato i Red Devils a vincere la Champions nel 1999. Ma prima arrivammo altre due volte noi in finale. Non vincere quella Coppa resta il mio rammarico più grande”.


L'ALLENATORE MONTERO




Un giovane Montero che si ritrova contro Cantona all’esordio in Champions, dopo gli anni all’Atalanta: “Una società e un presidente, Percassi, che ringrazio per avermi scelto e per aver creduto in me quando ero ancora più giovane. E poi è arrivata la Juve: mi vollero la società e Lippi. Trovai un gruppo di grandi uomini, devo molto a loro”. E probabilmente deve anche all’esperienza in bianconero la sua attuale vocazione: quella dell’allenatore. Dopo essersi ritirato nel 2007 con la maglia del suo Peñarol, ha infatti deciso di seguire le orme dei suoi ex compagni Zidane, Deschamps, Conte, Inzaghi: dal campo alla panchina, proprio come Paolo che ha recentemente preso il patentino con qualifica UEFA A, che lo abilita ad allenare fino in Serie C e a fare il vice in A e B. Ma che allenatore è Paolo Montero? “Ho avuto la fortuna di avere tanti grandi allenatori. Non solo Lippi, Ancelotti e Capello. Ma anche Prandelli, Guidolin ed Emiliano Mondonico. Ho ‘rubato’ qualcosa ad ognuno di loro e l’ho messo nella ‘licuadora’. Hai presente quando fai il frullato? Ecco, quella cosa lì, noi la chiamiamo così”. In ogni ricetta però c’è sempre l’ingrediente forte: per Montero è la capacità di adattarsi. “Ancelotti e Lippi, ma anche Allegri: in questo sono dei fuoriclasse. Adeguarsi ai giocatori a disposizione è una conseguenza dell’intelligenza nell’adattarsi alle diverse culture, non solo calcistiche. Si vive e si gioca a calcio in modi diversi: per questo – aggiunge Montero è importante studiare e viaggiare: io appena posso lo faccio. Recentemente sono stato anche a Torino ad assistere all’allenamento di Max Allegri: è il numero 1 nella gestione del gruppo”.


LA JUVE DI BENTANCUR?




Un gruppo espressione di una rosa super, quella bianconera. Una Juve 2018/19, che Montero dipinge così: “Non importa il punteggio, guardandola da fuori sai che vincerà. Per ogni squadra arriva un momento giusto, grazie all’età e al mix di giocatori: per la Juve è questo. È reduce da tante vittorie in campionato e resterà nella storia come una delle squadre più forti di sempre. Da tifoso quale ancora sono, mi auguro che quest’anno possa vincere la Champions League. A Valencia – prosegue – l’ho vista davvero bene sia in 11 che in 10 ed ero a Torino per Juve-Napoli. Dopo un inizio così così ha finito alla grande. Gli acquisti sono stati perfetti e stanno facendo bene. Ok Ronaldo, ma vogliamo parlare di Cancelo?” Mentre su chi è il Montero di questa Juve, Paolo taglia corto. Tackle ruvido: “No, no. Nessuno. Non mi piacciono i paragoni. Ma Bonucci-Chiellini è una coppia tra le più forti e le più complete del calcio mondiale”. Questa, impossibile non chiederglielo, potrà essere anche la Juve di Bentancur, uruguaiano come lui? Risposta secca, perché Paolo non ci gira mai troppo intorno. Così in campo, palla o gamba, così nelle risposte: “Rodrigo ha tutto per diventare un fenomeno. E in questo gruppo, con questo allenatore… è l’ambiente ideale per lui”.


LA GARRA CHARRÚA




Uruguaiano come Montero”. Bentancur è solo l’ultimo calciatore che può ulteriormente arricchire la già gloriosa tradizione uruguagia in Italia. Ma perché, qui da noi, si trovano così bene? “Perché siamo uguali – risponde Montero – e abbiamo le stesse abitudini. La maggior parte di noi discende da italiani o spagnoli, come nel mio caso. Lo vedi dai cognomi. Certo, per fortuna noi a Montevideo non abbiamo il freddo di Torino o Bergamo…”. E allora, la ormai famosa garra charrua? Che cosa è e che cosa è rimasto “dell’artiglio che graffia” e degli indios precolombiani che vivevano sulle sponde del Rio della Plata? “Quando a scuola si studiava – spiega Montero – si diceva che i charrua erano molto valorosi in guerra e forti nella lotta. Ora però ne sono rimasti pochi e questo è diventato più un mito: la cosa che conta di più è la convinzione che abbiamo in testa. Sappiamo che per ogni uruguagio che nasce, nascono cinquanta brasiliani e venti argentini: quindi per riuscire ad essere qualcuno, un uruguagio deve lottare con le unghie e con i denti. E questo vale anche e soprattutto nel calcio, sin da bambini. Le partite dei piccoli qui sono una pazzia, i genitori urlano come i matti e dicono ai loro figli che se non giocano bene, a casa non mangiano! Spesso i calciatori uruguaiani arrivano da famiglie umili, per le quali il calcio è l’unica via per scappare dalla povertà”.

A lezione di calcio e di ricordi, di storia e di vita: avete preso appunti? Insegna il professor Paolo Montero.


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