Modesto, fra ricordi e opportunità mancate: "Vi racconto la mia storia"

Schietto, sincero, diretto. Francesco Modesto è così, da giocatore come da allenatore. Oggi allena il Cesena (che in queste ultime settimane ha concluso delle operazioni di mercato), dodicesimo nel girone B di Serie C. E sa bene che a 37 anni, una panchina del genere, è un’opportunità niente male: “È una piazza importante, ambita, bellissima da allenare. Non sembra nemmeno di stare in C, per la gente che c’è e per l’attaccamento alla squadra. Diecimila persone allo stadio, in questa categoria, le fanno in pochi”. Oneri e onori. Obiettivi chiari: “La società mi ha chiesto di lavorare con una rosa giovane e di raggiungere la permanenza in C. La squadra è tutta nuova, stiamo andando un po’ a corrente alternata… però vedo i miglioramenti dei ragazzi”. 

E pensare che lui, da calciatore, la Serie C non l’aveva mai fatta. Più di 200 presenze in A, 150 in B, anche una ventina in D. Ma per vivere la C ha dovuto cambiare mestiere. Evidentemente aveva le qualità per stare più in alto, da subito. Eppure prima della Serie A ne ha fatta fatta di strada: Cosenza, Vibonese, Palermo, Ascoli. Cinque anni di B e una parentesi in D: a Modesto nessuno ha mai regalato niente. Poi però, il salto. Estate 2005: “Dopo i playoff persi con l’Ascoli tornai al Palermo che aveva vinto la Serie B…avrei giocato in Serie A”. Ma l’anno, a Palermo, è decisamente quello sbagliato, specialmente per un terzino sinistro: “Scelsi subito di andarmene perché davanti a me c’era… Fabio Grosso. Sapevo bene che non avrei giocato, e non lo accettavo. Quindi decisi di andare a Reggio per giocarmi le mie carte”.

REGGINA, GLI ANNI D’ORO

E chi trova a Reggio? Walter Mazzarri. “È uno molto esigente, ti dà molto ma tu gli devi dare altrettanto. È stato lui a darmi la fiducia di giocare in Serie A…gli devo tanto”. Tre anni speciali, un ricordo indelebile: “Il secondo anno fu incredibile. Partivamo da meno quindici e raggiungemmo una salvezza impressionante, con una cavalcata storica e dei giocatori che poi hanno fatto carriere importanti…è un’impresa che rimarrà nella storia”. È la Reggina di Walter Mazzarri, ma soprattutto di Rolando Bianchi e Nicola Amoruso: 18 gol il primo, 17 il secondo, in un solo anno. Se li ricorda bene Modesto, uno dei due in particolare: “Di compagni forti ne ho avuti tanti…Milito, Thiago Motta, Palacio. Ma per me quello che aveva qualcosa in più era Nicola Amoruso. Ebbe uno stop giocando a Messina, poi a Reggio è rinato. Era troppo determinante, quando arrivava davanti alla porta non sbagliava mai. E poi… faceva giocare bene la squadra”. 

ROMA E NAPOLI, LE OCCASIONI MANCATE 

Rimpianti? Qualcuno. Modesto fatica ad ammetterlo, ma ha la voce di chi sa di aver perso un treno: “Ci fu l’opportunità di andare alla Roma. Poi però il presidente Foti non volle vendermi e allora rimasi ancora alla Reggina. Purtroppo la scelta del presidente fu questa…io dovetti accettare”. È un “purtroppo” eloquente, un po’ di amarezza traspare. Dell’anno prima invece parla in un altro modo, ha un altro tono: “Era arrivata anche la chiamata del Napoli, dopo il primo anno alla Reggina. Ma fui io a non accettare, secondo me dovevo crescere ancora prima di arrivare lì, quindi scelsi di restare a Reggio”. 

GENOA, L’EUROPA E I CAMPIONI 

L’addio all’amaranto arriva comunque. Anche se con un paio d’anni di ritardo e, forse, non nel posto giusto. Anzi, non nel Momento giusto: “Al Genoa ebbi un infortunio alla caviglia all’inizio, saltai tante partite… poi non sono più ritornato quello di prima. Purtroppo era un periodo in cui arrivavano tanti giocatori forti. Dovevi fare una scelta: cercare di giocare o vivacchiare. E a me vivacchiare non è mai piaciuto”. E in effetti, specialmente al secondo anno, vivacchia poco. Per la prima volta in carriera gioca in Europa, e non con squadre qualunque: “L’Europa League è stata un’esperienza bellissima. Giocai al Mestalla…contro il Valencia, perdemmo 3-2. C’erano David Silva, David Villa, Banega, Mata…gente fortissima. Fu incredibile, anche se perdemmo”. Da quel Genoa passano giocatori come Amelia, Criscito, Crespo, Palacio, Milito, Thiago Motta: fenomeni. Ma il denominatore comune sta in panchina, e si chiama Gian Piero Gasperini. Uno diverso, già dieci anni fa: “Si vedeva che aveva qualcosa di nuovo, non solo a Genova ma anche a Crotone. Anche noi giocavamo in un modo particolare…la difesa a tre ai tempi la faceva soltanto Mazzarri, oltre a lui”. E adesso? “Adesso si è ancora più evoluto, all’Atalanta ha giocatori che glielo permettono. Per fare quel tipo di gioco i calciatori devono avere la stessa mentalità dell’allenatore”. 

CROTONE, LA CHIUSURA DEL CERCHIO

Dopo Genova, altra Serie A: prima Parma, poi Pescara. Ma nella storia di Modesto c’è una tappa che prescinde da ogni categoria, momento inevitabile della sua storia calcistica: Crotone. Ci arriva a 32 anni, dopo aver giocato in tre delle cinque province della sua Calabria. In rossoblu si chiude semplicemente un cerchio. Per lui che era cresciuto alla Vibonese, sbocciato al Cosenza e diventato grande alla Reggina. Ma che il suo cuore lo aveva lasciato a Crotone, dove è nato e dove tutto è iniziato. “Sono di Crotone e tifo Crotone, giocare con quella maglia è stato bellissimo. La prima fu una stagione di sofferenza, ci salvammo all’ultima giornata. Ma l’anno dopo, con mister Juric, fu strepitoso…la prima promozione nella storia del Crotone, da Crotonese”. Rincara: “Avevamo tanti giovani, anche qualche sconosciuto per la categoria. Strameritammo di vincere il campionato…per il modo di giocare, per la cattiveria che ognuno di noi aveva in campo”. Cattiveria - calcistica si intende - in campo, ma anche in panchina: “Ho avuto tanti allenatori importanti in carriera…Mazzarri, Giampaolo, De Rosa. Ma Juric è quello in cui mi rivedo di più. Abbiamo la stessa mentalità…siamo schietti, sinceri, diretti”. Non è un caso se due anni dopo aver vissuto l’Ivan Juric allenatore, Modesto decida di fare lo stesso: dal campo alla panchina, da giocatore ad allenatore. Anche lui schietto, sincero, diretto.

Di Lorenzo Del Papa

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