"Inter, pensavo di restare. Manchester mi ha cambiato la vita": i segreti di Mikael Silvestre

Meteora o stella, flop o campione. Non sembra, ma il confine può essere sottilissimo a certi livelli. Estate 1998, quando Mikael Silvestre firmò con l’Inter aveva 21 anni. Era stato pagato 14 miliardi, lo volevano Sandro Mazzola e Gigi Simoni che ne appressava la duttilità in difesa, per rafforzare una squadra infarcita di campioni ma con un po’ di confusione. C’è chi pensava che sarebbe stato di passaggio, che non avrebbe sfondato. Giocò solo 18 partite, segnò una rete, venne ceduto subito: destinazione Premier, gli cambiò la vita. “E manco pensavo che sarei andato via”, confessa lui, che di anni ora ne ha quasi 42, a Gianlucadimarzio.com, “è stato tutto così improvviso”. Ha giocato “solo” 361 partite nel Manchester United in otto stagioni. 

Gentile, ma di una gentilezza reale, non di facciata. Prima di riuscire a parlargli, per i tanti impegni, abbiamo dovuto chiamarlo più volte: “Scusami, proprio non riuscivo a risponderti. Possiamo fare domani?” ti dice in un italiano ancora perfetto. Appuntamento fissato, impegno rispettato con estrema puntualità. Torniamo alla sua storia: “All’Inter avevo giocato poco, ma non era un problema. Nella mia seconda estate italiana arrivò Lippi che fece firmare Georgatos: era lui la prima scelta, mi venne comunicato che non avrei avuto tanto spazio. Accettai di restare comunque, solo che poi si fecero avanti il Manchester United, il Liverpool e l’Arsenal: cambiò tutto. In Premier mi dicevano che avrei giocato sicuramente”.

Silvestre e l'Inter: "Moratti, i retroscena su Ronaldo e Ferguson..."

Mai previsione fu così azzeccata. Eppure in nerazzurro era arrivato con la voglia di crescere con calma. L’obiettivo? “Diventare come Thuram”, un difensore di riferimento per ogni squadra. Con lui giocavano Baggio, il primo Pirlo, Zamorano. “E poi c’era il Fenomeno, Ronaldo. Un giocatore pazzesco. Era bravissimo pure in cucina: spesso ci invitava a cena e faceva tutto lui”. Inevitabile parlare del brasiliano: “Sai, quando ci allenavamo ci veniva dato un preciso compito: non andare troppo forti su di lui. A parte che era difficilissimo riuscire a fermarlo...”.

Ma allora perché quella squadra è andata così male? Una risposta difficile da trovare: “Gli allenatori cambiavano, i tifosi si arrabbiavano perché un anno vinci la Coppa Uefa e poi con la stessa rosa l’anno dopo vai male. Avevi addirittura Baggio e non riuscivi a fare niente. Moratti era sempre presente, anche se rispetto a me aveva rapporti più con i francesi da maggior tempo in rosa: Djorkaeff e Cauet. Però insomma, alla fine ho imparato molto anche così”. Sembra strano, vista l’esperienza. Ma Silvestre sa da dove è partito e quanta fatica ha fatto per arrivare dove voleva. “Ho avuto tanti maestri” dice. Silenzio, un momento di riflessione. “Mi fa impressione pensare che all’inizio non pensavo nemmeno di fare il calciatore: fino a 16 anni giocavo solo per divertirmi. Ma poi il Rennes mi ha messo sotto contratto con la sua Primavera. Quindi ci ho pensato. E quando arrivi all’Inter e ti trovi giocatori come Zanetti, lo zio Bergomi, Roberto Baggio, inizia a pensare che qualcosa di diverso ci sia”. 

Questi sono i nomi che gli vengono in mente pensando all’Inter. Ma il maestro indiscusso è un altro. E l’ha conosciuto in Inghilterra: “Ferguson”. Lo dice subito, voleva farlo. “Era come un padre per me, e non scherzo. Ma poi pariamo di una persona che era innamorata del calcio e di quello europeo in particolare. Ai miei primi allenamenti mi raccontava del Marsiglia e Psg, per farmi sentire a casa. All’inizio lo ascoltavi e basta. Ti raccontava la sua storia per filo e per segno, anche di quando era lui un giocatore. Sapeva di non essere forte. La cosa bella è che i primi anni stava anche tanto in campo con noi, batteva i rigori, giocava a calcio. A poco a poco era passato a delegare: aveva anche tanti altri impegni”. Come scoprire talenti. Uno degli ultimi? Un certo Cristiano Ronaldo. (A pagina 2: l'episodio di Ferguson e Cristiano Ronaldo)

Si vedeva che era forte. Ma non come adesso. Ha lavorato a tutti i livelli o non avrebbe vinto così tanto nel Real e al suo primo anno in Italia. Tanto è vero che è passato dall’essere esterno al diventare punta: ha lavorato su tecnica, tattica e fisico. E Ferguson glielo aveva detto. Si arrabbiava tantissimo con lui”. Ronaldo che fa arrabbiare un allenatore? Veramente? “Gli diceva che poteva fare molto meglio di così. Una volta, non ricordo quale partita fosse, stavamo vincendo per 3-0. Cristiano si divorò il quarto gol perché era stato superficiale: Ferguson gli disse che o si è professionisti fino alla fine, o si può già smettere di giocare”. Una strigliata non da poco, gli è servita.

Silvestre: "Manchester United, un gruppo straordinario"

Ma la sensazione è che a Manchester tutto il gruppo facesse crescere i giocatori. È capitato proprio con Silvestre, che all’inizio aveva il compito di sostituire uno come Rio Ferdinand. Non un’esperienza facile. “Ah, tra i miei riferimenti non posso non citare Roy Keane e Giggs. Giocatori di un livello incredibile. Ma quando arrivai a Manchester venni accolto soprattutto da due persone: Wes Brown e Nicky Butt. Avevo firmato da due giorni, dormivo in albergo. Non potevo giocare in Champions fino a gennaio, allora decisero di venire a trovarmi per portarmi in giro per la città. Mi fecero chiamare dalla reception, chiedendomi di scendere. Io rispondevo solo yes, yes, convinto che sarebbero saliti. Mi hanno aspettato mezz’ora! Ma la colpa è della lingua, a Manchester la pronuncia è difficile...”.

In quella squadra c’erano anche Beckham, Solskjaer e Taibi: un gruppo stranissimo, molto diverso. “Ma bello”, continua Mikael, che adesso fa l’agente dei giocatori dopo una breve esperienza da dirigente proprio del Rennes. Era un ritorno alle origini il suo, ha preferito cambiare strada: la società nella quale lavora gestisce i contratti, tra gli altri, di Coutinho e David Luiz. Lui segue i giovani talenti da portare in Europa. “Dove si continua a giocare il calcio più bello del Mondo”. Esclusa la Spagna, lui ha girato in tutti i campionati più importanti: Premier, Ligue 1, Serie A e Bundesliga (al Werder Brema): “Tutti diversi, tutti difficili. Non chiedetemi del migliore: proprio non lo so. Posso dire quale mi sembra il più divertente, e credo sia la Premier. Ci sono sempre sei squadre che lottano per il titolo e hanno la forza per farlo fino alla fine. Forse non è il più tecnico ma resta difficile fino all’ultimo”.

Tra Manchester e Arsenal ha superato le 400 partite: sa bene quel che dice. Ma chi si aspetta frasi come “sono stato fortunato” sbaglia di grosso. Perché Silvestre è consapevole di quello che ha fatto e come l’ha conquistato. E l’umiltà che ancora adesso dimostra non si maschera dietro alla falsa modestia. Forse è anche grazie a questo atteggiamento che dall’esperienza dell’Inter ne è uscito comunque più forte. D’altra parte, se ti poni un obiettivo, cerchi di arrivare fino in fondo. Lui ce l’ha fatta.

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