Megan Rapinoe, la libertà di una calciatrice-icona negli USA e la politica del gol
Per parlare di Megan Rapinoe si entra e si esce dal campo di gioco. E non è per i suoi capelli, adesso più sul fucsia che platino. E' per i gol e per le 'battaglie' che porta avanti quando non indossa gli scarpini. E' per una doppietta fondamentale come quella di ieri sera che ha eliminato la Francia dal Mondiale femminile e per quel concetto di libertà che difende come e più del pallone in campo. Come un contropiede a campo aperto, come il bacio tra Magdalena Eriksson e Pernille Harder.
Libertà di espressione, razza, genere, orientamento sessuale. Megan Rapinoe negli USA è più di una calciatrice. Ha dei piedi che l'hanno resa la più forte negli States al momento, una voce più forte di altri che usa per affrontare temi delicati e porta avanti la sua politica del gol in Francia.
Argomento spinoso, la politica.
Megan non è certo una che le manda a dire e la poca simpatia nei confronti del presidente Trump non è un segreto. Niente dribbling, su certi argomenti ci va dritta a gambatesa: "Non ci andrò a quella fottuta Casa Bianca, anche se dovessimo vincere e ce lo chiedessero. Cosa di cui dubito". E il cambio di gioco è presto passato dall'altro lato dell'oceano con la risposta di Trump: "Non avevo ancora invitato la squadra, ma lo faccio adesso, sia che vinca sia che perda. Megan dovrebbe portare rispetto alla Casa Bianca, o alla nostra bandiera, soprattutto per tutto quello che abbiamo fatto per lei e per la squadra. Dovrebbe pensare a finire il suo lavoro, perché non abbiamo ancora vinto".
Il riferimento è ai suoi silenzi durante l'inno e alla sua mano che non si posa più sul cuore quando risuona in uno stadio. L'aveva promesso prima dell'inizio del Mondiale, così continua a fare. Ma senza inginocchiarsi, come vietato dalla Federazione USA.
C'è chi la considera antinazionalista, chi solo anti-Trump; e la memoria torna a quando nel 2015 (anno in cui vinse il Mondiale ed entrò nella “Gay and Lesbian Sports Hall of Fame”) provò a spiegare cosa le passa per la testa in quei momenti: "Ho il massimo rispetto per la bandiera e la promessa che rappresenta. Quando non lo canto, sto abbracciando la bandiera con tutto il mio corpo e fisso dritto nel cuore del simbolo supremo della libertà del nostro paese. Perché credo che sia mia responsabilità, proprio come è tuo, di voi tutti, assicurare che la libertà sia garantita a tutti".
C'è il calcio e c'è sempre molto altro alle spalle. C'è la centrocampista e la portavoce dei diritti delle minoranze. Non pensa agli haters, quelli che la giudicano per la sua relazione con Sue Bird, giocatrice di basket, o chi la critica più fuori dal campo che per le sue prestazioni. Anche perché su queste ultime c'è poco da dire.
Rapinoe, 'Born in the USA'. L'ha cantato nel 2011 sentendosi 'Boss' e prendendo il microfono di una tv a bordocampo durante il Mondiale del 2011 dopo un gol alla Colombia.
In Francia ora il cammino Mondiale continua ancora, dopo aver eliminato le padrone di casa. Da centrocampo, pronta all'attacco. Si tutti i campi, su più fronti. Ma anche se Megan Rapinoe è più di una calciatrice, è proprio il pallone la dimensione che la definisce. Con i traguardi di oggi e per gli obiettivi di domani: "Da atleta, la mia missione è lasciare questo gioco in una condizione migliore per la prossima generazione femminile".
Un po' come ha detto anche Marta. Chi ha la voce la tira fuori, soprattutto nel momento in cui la cassa di risonanza ha il volume al massimo.
Anche Megan lo sa, volto della nazionale statunitense di calcio femminile che segna coltivando la sua politica (del gol).