Da riciclare rifiuti alla Champions con il Lens, Medina: “Devo tutto a mia mamma”

Un argentino nel cuore di una tifoseria francese. Difficile da immaginare dopo il rigore di Montiel a Doha o se custodiamo il recente trattamento riservato a Messi dai tifosi del PSG . Ma a 178 chilometri da Parigi, nell'Alta Francia, c'è un ragazzo di 184 cm con il cappello platinato che con le sue prestazioni e la sua personalità si è conquistato l'affetto dei tifosi del Lens, squadra che a distanza di 21 anni torneranno a giocare la Champions League nella prossima stagione. “Per ora siamo ai preliminari, ma ci mancano ancora 3 finali e vogliamo arrivare più in alto possibile. È un orgoglio e una soddisfazione enorme essere riusciti a conquistare qualcosa di così importante per il club.Peccato per la Coppa di Francia dove siamo stati eliminati presto e io mi sono infortunato al ginocchio. Abbiamo sempre cercato di vincere partita dopo partita, di andare passo dopo passo: con molto lavoro e sacrificio oggi siamo in questa situazione. All'inizio non potevamo immaginarlo, ma eravamo sicuri di una cosa: che in ogni gara avremmo dato tutto. Ancora non abbiamo gioito a pieno, ma dopo queste 3 gare che restano diremo: “¡Che! ¡Puta madre!”. Tutto questo è merito del lavoro di ognuno di noi” . Così Facundo Medina a Gianlucadimarzio.com. 

 

 

Insieme all'ex Udinese, Fofana e all'attaccante Openda , il classe 1999 è una delle colonne portanti della squadra sangue e oro che vanta la miglior difesa del campionato. Mancino di piede, solido in marcatura, abile nel gioco aereo e nell'impostazione, Medina ha realizzato più passaggi in avanti in questa Ligue 1 di qualsiasi altro difensore ed è il quarto giocatore con la media-voto più alta secondo L'Equipe , dopo Neymar, Messi e Nuno Mendes. Merito anche dell'allenatore Frank Haise . “In questi 2 anni e mezzo è stato fondamentale: è quello che mantiene sull'attenti il ​​gruppo. Sono orgoglioso di essere allenato da lui. Entrambi abbiamo una personalità forte e abbiamo avuto anche qualche confronto. Per esempio, nella prima partita quando sono rientrato dall'infortunio al ginocchio, lui mi ha sostituito e io sono andato a chiedergli come mai mi aveva tolto a 5 minuti dalla fine. Gli spiegai che avevo i crampi, invece lui pensava che avessi ancora dolore al ginocchio. È bello avere questi confronti. Lui gestisce bene lo spogliatoio e se abbiamo raggiunto questo obiettivo è grazie al collettivo che ha sempre remato dalla stessa parte e per fortuna poi non abbiamo avuto infortuni gravi: questo la dice lunga anche su come lavoriamo, con quanta serietà e rispetto abbiamo per la maglia ”.

 

 

3 gol e 2 assist in 28 presenze stagionali per il 24enne, che il Lens aveva acquistato dopo la promozione per 3,5 milioni nell'estate 2020 dal Talleres e che negli scorsi mesi ha rinnovato fino al 2026. Ma l'inizio della sua avventura in Francia non è stato semplice. “Se mi chiedi come ho fatto a farmi capire non lo so neanche io. Quando sono arrivato c'erano altri 4 ragazzi che parlavano spagnolo e questo mi ha aiutato tanto. Soprattutto però è stata fondamentale la fiducia incondizionata che mi hanno dato gli altri compagni, l'allenatore e lo staff: per sdebitarmi non potevo far altro che dare la vita in campo per loro”. E all'apprendimento del francese è legato anche un aneddoto: “I primi giorni ho detto alla traduttrice: “L'unica cosa che voglio sapere sono le parolacce, poi possiamo passare a 'ciao', 'come stai', 'scusami'…Quelle mi servivano per il campo, ma anche per generare un bell 'ambientale” . Racconta sorridente l'ex River Plate e Talleres de Cordoba, che si definisce un 'loco lindo', un pazzo buono. “Ma cerco di essere umile e rispettare tutti: questi sono i valori che mi ha insegnato mia mamma. Cerco sempre di tenere i piedi per terra e alla fine credo che la cosa più importante sia essere una brava persona”. 

 

 


La lingua come ostacolo però non è niente rispetto a quelli superati durante la sua infanzia a Villa Fiorito, lo stesso barrio di Buenos Aires dove è cresciuto Maradona. Lì, Facu ha iniziato a giocare a pallone nel solito campetto di terra dove palleggiava Diego e come lui ha vissuto la prima esperienza in un club professionistico con la maglia del Granate . Ho iniziato al Lanús, ma dopo un anno nel calcio a 11 sono tornato al club del mio barrio dove si giocava a 5 in un campetto di cemento”. Dall'attacco alla fascia sinistra, dall'esterno basso fino al difensore centrale. All'età di 3 anni aveva provato anche in porta con i suoi amici, ma con scarsi risultati.“Oggi è più difficile per i bambini giocare per strada, prima era più tranquillo. È qualcosa che noto anche con i miei 3 fratellini, poi con tutti i social... Ma se vai a Villa Fiorito puoi incontrare giocatori che non immagineresti mai, che poi per diverse circostanze non riescono a farcela. I miei 8 zii per esempio sono ottimi giocatori e ogni volta che torno affittiamo un campetto e passiamo 2 ore a giocare insieme ai miei tanti cugini”.

 

  

 

La famiglia gli ha passato la passione per il calcio ed è stata importante nel suo percorso, così come il River Plate. “Dai 9-10 anni io ho sempre voluto giocare a calcio e non pensavo di poter raggiungere questo livello. L'educazione e la formazione poi l'ho completata al River Plate, la mia seconda casa: mi hanno accettato nella pensione. Sarò sempre grato al River perché mi hanno insegnato a restare con i piedi per terra”. Ma la figura più importante per Facundo è mamma Monica. Lo si capisce anche dall'espressione del suo viso quando ne parla, dagli occhi lucidi e da come si accarezza le braccia come a far capire che ha i brividi.“Anche lei è appassionata di calcio ed è tutto ciò che c’è di buono. Non si può descrivere tutto quello che le devo. La parola tutto le sta stretta e glielo dimostro ogni giorno: tutto ciò che ho nella mia vita lo devo a lei. La ringrazio. Sono grato di avere una madre combattente, positiva e con tanti valori. Sono privilegiato a essere suo figlio. È la cosa più importante della mia vita. La maglia numero 14 la uso per 2 motivi: il primo è la data del suo compleanno, il 14 novembre, il secondo è il numero dei Los Borrachos del Tablon, la tifoseria del River Plate. Lei ha fatto tanti sacrifici come quello di digiunare per far mangiare me. I primi soldi dopo aver firmato il primo contratto col River li ho dati a lei”. Il volto di sua mamma se l’è tatuato insieme a quello di sua nonna. “Lei è come se fosse mia madre: sono sullo stesso gradino. Quando mia mamma lavorava per sfamarmi e per comprarmi qualche giocattolo, lei era quella che mi accompagnava sempre a giocare a calcio”. 

 

 

 
Da cartero alla Selección e la Champions

Da bambino non aveva un idolo, ma guardava i grandi campioni senza dare importanza al ruolo. “Oggi quello che mi piace di più nella mia posizione è Lisandro Martinez, credo sia il migliore. Non è molto alto, ma quello non conta. Nella mia squadra lo vorrei sempre”. Per le strade di Villa Fiorito ha lavorato come cartero, ovvero raccoglieva i rifiuti per poi riciclarli e veniva continuamente derubato nel tragitto da casa al campo di allenamento. “Quando vedevo arrivare 3-4 persone per derubarmi, io non facevo resistenza. I soldi non me li portavo dietro, mi rubavano gli scarpini, lo zaino, ma per fortuna non è mai accaduta una disgrazia. La vita è una lezione continua”. Tra gli insegnamenti c’è anche quello di rispondere sempre al telefono. “Una volta mi ha chiamato un numero che non avevo salvato: ho pensato fosse qualcuno del barrio e non ho risposto. Poi ho scoperto che era Scaloni che voleva convocarmi. A cena durante il ritiro è venuto al tavolo e mi ha detto davanti a tutti: “Qui abbiamo quello che non risponde alle mie telefonate”, volevo piangere". La Selección resta il suo sogno e obiettivo per il futuro dopo che è stato escluso dalla lista per Qatar 2023. “ Ora voglio vincere queste ultime 3 partite che mancano con il Lens e tornare in nazionale per restarci”.

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