“Mamma farò il calciatore”. Pasquale Foggia si racconta: “Il mio sogno ora si chiama Benevento”
PASQUALE FOGGIA, IL “BAMBINO DI SOCCAVO” E QUELLA PROMESSA NEL CUORE
Nato nel tempio di Diego Armando Maradona, Pasquale Foggia ha imparato a vivere e sognare. Diego era lì, a due passi, al Centro Sportivo Paradiso quartier generale del Napoli dei sogni. La “casa” del mito distava dieci minuti. Quella strada percorsa tante volte, correndo, sorridendo, cadendo. Lui, per tutti, era “il bambino di Soccavo”, quello forte. Inizia così il racconto di Pasquale Foggia in esclusiva per gianlucadimarzio.com, fiato corto e nostalgia negli occhi: “Ero un bambino che ha sempre pensato solo al calcio, nel mio quartiere c’era poco. Ricordo che mi chiamavano tutti, mi bussavano sotto casa, litigavano per avermi in squadra, mi regalavano la Coca Cola, le patatine, quella era la mia vita”. Cos’era Soccavo per Pasquale Foggia? “Il Tempio di Maradona, il posto dove coltivare il nostro sogno”. Nostro, avete letto bene, qui gli occhi diventano lucidi, Pasquale fa un lungo respiro, poi ci confessa: “Mia madre era il mio tutto. Avevo 7 anni quando gli feci questa promessa - non preoccuparti giocherò in Serie A, cambierà tutto - ”. A soli 11 anni salutò il suo Rione, la sua Napoli, direzione Padova: nebbia, freddo ma soprattutto 860 km di distanza da sua madre: “Andare via non è stato facile, mi mancava tutto e sentivo che lei soffriva lontana da me. Ricordo che dopo il primo allenamentole dissi – mamma come faccio, qui non c’è il sole, il mare, faccio fatica a capirli, come faccio a scuola -”.Tante volte, quel bambino, è stato sul punto di mollare: “Prima era diverso. Una scheda da diecimila lire doveva bastarmi una settimana, era durissima”, ma … “C’era quella promessa, il nostro sogno”. Padova-Napoli, quella tratta che Pasquale ogni volta affrontava con paura: “L’aereo costava troppo, tornavo a casa in treno. Ricordo che ero piccolo, e stavo nella mia cuccetta da solo, avevo paura. Una volta a casa però mi sentivo rinato”. Tre anni a Padova poi il Milan, lì “il bambino di Soccavo” capì che quel sogno si sarebbe potuto realizzare: “Fu devastante per me ritrovarmi al Milan”. Cosa ricordo? “Con mia madre passammo più tempo a piangere che a parlare. Quando firmai con il Milan, ci venne a prendere un’autista e ci portò in albergo, eravamo increduli. Dissi a mia madre – svegliami mamma -.
IL SOGNO SI REALIZZA, INIZIA LA VITA
Una promessa lunga vent’anni, un giorno tatuato nella sua mente. 14 settembre 2003, arriva l’esordio in Serie A: “In pochi attimi mi passò davanti agli occhi tutta la mia vita. Sapevo di aver dato una soddisfazione importante alla mia famiglia”. Cosa mi disse mia madre? “Nulla. Mi guardò. Lo stesso sguardo di quando firmai al Milan, indimenticabile”.Tanti gli allenatori avuti, ma nessuno come Marco Giampaolo: “A Treviso mi adottò come un figlio. Mi è entrato dentro calcisticamente ed umanamente”. Poi ricorda: “Mi chiamò e mi disse di raggiungerlo ad Ascoli, io potevo andare in A, il suo fu un colpo basso. L’Ascoli fu ripescato ed iniziò a comprare tanti calciatori forti, così io gli dissi - mister ma cosa resto a fare qui, la società continua a comprare - e lui, ricordo che stava fumando un sigaro, mi rispose - tu da qua non ti muovi possono prendere chi vogliono - ”. Risultato stagionale? “Feci 34 presenze, e l’Europeo Under 21”.Un’altra esperienza importante è stata quella con la Reggina: “Calciatori che accettano quella situazione non sono persone comuni. Ricordo che vivevamo insieme, andavamo a casa del presidente Foti con la moglie che cucinava, chiamarla squadra sarebbe riduttivo”. Poi Roma, la sua seconda casa, quella della maturità umana e calcistica: “. Vivere Roma e giocare all’Olimpico, è stato spettacolare”. La sua, era la prima Lazio targata Claudio Lotito, prima solo un presidente, poi qualcosa di più: “Mi accordai con lui ad Ottobre per il rinnovo e lo firmai a Giugno. Avrei potuto prendere un’altra strada, vincere qualcosa di importante, ma non mi sono sentito di tradire la fiducia della gente. Andando via avrei fatto un torto alla mia coscienza”. E Lotito? “Un giorno mi prese in disparte e mi disse che sapeva tutto, da lì il nostro rapporto è cambiato”. Un periodo particolare quello di Roma, e Foggia ci spiega anche il perché: “Quando ero alla Lazio, per me era un punto d’arrivo. Spesso quando ero a casa pensavo a quella promessa fatta a mia madre. Quella frase ha segnato la mia vita”.
LA PASQUALE FOGGIA ACADEMY, UN’ALTRA PROMESSA MANTENUTA
Appese le scarpette al chiodo, nasce la Pasquale Foggia Academy, una possibilità da dare a quei bambini che guardano la vita con i suoi stessi occhi: “Vedo in quei bambini la mia stessa voglia di sognare. Volevo offrire qualcosa al mio quartiere che mi ha dato tanto”. La sua scuola calcio, nasce di fronte il balcone dove Foggia è cresciuto, proprio dove ha mosso i primi passi. Anche qui un’altra promessa mantenuta: “Quello era un campo di pietre, e c’era un piccolo ciuffo d’erba nei pressi dei calci d’angolo. Un giorno dissi al custode - non ti preoccupare che qua facciamo crescere l’erba fra qualche anno -”. Come mi sento quando torno lì? “Un bambino”. Il primo incontro con Oreste Vigorito, avvenne nella scuola calcio a Napoli del Patron del Benevento, e non fu un incontro banale. Si dice spesso che i dettagli facciano la differenza e Pasquale ci racconta: “Quando arrivò vide che nell’ufficio delle figlie c’era una piantina fuori posto rispetto alle altre, prese un bicchiere e si mise ad innaffiarla. Io rimasi colpito, fu la prima cosa che mi fece capire che mi trovavo di fronte ad una persona diversa. Poi aggiunge: “Con il presidente e con la sua famiglia ho un rapporto unico, che resterà in futuro. Vigorito è una persona che ti ammalia e che ti apre la mente. E’ speciale”
IL NUOVO SOGNO SI CHIAMA BENEVENTO
“Benevento è una città che se senti tua, ti trasmette tanto”. Esordisce così Pasquale Foggia, parlando della “sua” Benevento. Poi sceglie un’immagine per raccontarla, 12 maggio 2018.
Ma riavvolgiamo il nastro. Tutto nacque grazie a … facebook: “Postai una foto, ero in viaggio per una trattativa. Mi commentò Diego Palermo, e poco dopo mi chiamò, dicendomi che Vigorito voleva affidarmi il Settore Giovanile. Rimasi spiazzato”. Come andò a finire? “Presi tempo, ed il giorno dopo mi incontrai con la famiglia Vigorito. Sentii subito che Benevento era la scelta giusta”. Una vera e propria toccata e fuga, quella come Responsabile del Settore Giovanile, marchiata nel nome di Enrico Brignola: “Sono orgoglioso che lui sia esploso in Serie A con me alla guida del Settore Giovanile”. Un’operazione quella di Brignola al Sassuolo di cui Foggia va fiero: “La società ha fatto una plusvalenza importante, ed abbiamo anche il 50% sulla futura rivendita”. Un’ascesa senza precedenti, che in cinque mesi l’ha portato a ricoprire il ruolo di DS: “Ho sempre voluto fare il Direttore Sportivo. Un Ds incide sulla squadra, sceglie i calciatori, l’allenatore. Gestisce una macchina organizzativa che comprende tutte quelle persone che lavorano dietro le quinte”. Un cambio di ruolo decisamente inaspettato: “Esattamente un anno fa, la squadra era in ritiro a Lecce, ed il presidente mi disse di accompagnarlo”. Pensava sarebbe durata poche ore la permanenza in Puglia, invece … “Una volta lì, mi chiamò in disparte e mi disse che da quel momento avrei seguito la prima squadra”. Cosa risposi? “Che non avevo i vestiti per restare in Puglia”. In un pomeriggio è cambiata totalmente la vita di Pasquale Foggia: “Sono passato dal trattare un ragazzino 2005, a confrontarmi con tutt’altra realtà”. Un mercato importante quello portato avanti l’anno scorso a gennaio, per credere in un sogno: “Tutti credevamo nella salvezza, e ci siamo mossi in quella direzione”.
Poi la retrocessione è però diventata una realtà da affrontare: “Accettare una retrocessione è difficile, per tutti. Per il Benevento siamo in un momento di profondo cambiamento. Stiamo cercando di costruire qualcosa di diverso”. Cosa? “Qualcosa che resti nel tempo, che ci permetta di presentarci in modo importante in Serie A. Dobbiamo strutturarci per la categoria. La Serie A è l’obiettivo di questa società ma vogliamo andarci sapendoci camminare. Non so se succederà fra quattro mesi o fra anni, ma l’importante è costruire una base solida”. Un Benevento, che dopo la retrocessione, è partito da zero: “Abbiamo fatto un mercato importante, trattenendo calciatori che erano attratti dalla Serie A, offrendogli il nostro progetto e spalmandogli il contratto. Abbiamo acquistato 17 calciatori, un nuovo staff tecnico e sanitario”. Ma soprattutto ci tiene a sottolineare: “Siamo rientrati nei parametri della Serie B, abbiamo bilanciato l’aspetto sportivo e quello economico”. Chi sarebbe potuto restare? “Abbiamo provato concretamente a trattenere tutti, ma in B bisogna calarsi in una mentalità diversa”. Poi ci parla di Bucchi, e di come si è arrivati alla sua scelta: “Quando ci siamo incontrati, lui aveva il fuoco negli occhi. E’entrato nell’ufficio del presidente sentendosi già l’allenatore del Benevento, ed è uscito con quell’idea”. Con il presidente non servirono parole: “Ci siamo solo guardati, come accadeva con mia madre, per capire che Bucchi era l’allenatore giusto per costruire il progetto che avevamo in testa”. Il momento più difficile della stagione è stato dopo la sconfitta con lo Spezia: “Cristian è un allenatore preparato, mette l’anima in quello che fa durante gli allenamenti. Esonerarlo sarebbe stata la cosa più facile, ma il problema non era l’allenatore. La responsabilità era di tutti, ma ciò che non vedevo era la risposta dei calciatori. Questa è una squadra forte che andava responsabilizzata”. Obiettivi? “Questa squadra ha lasciato qualcosa per strada, ed è a tre punti dalla promozione diretta. Dobbiamo lavorare per raggiungere un sogno. In questa squadra ci sono io, c’è la mia anima, c’è tutto di me”. Il mio sogno? “Restare dieci anni a Benevento e raccogliere i frutti di ciò che stiamo seminando".
Testardo, Vero e Sognatore, sono questi gli aggettivi con cui si è descritto. Salutiamo Pasquale Foggia, che intanto continua a guardare il mondo con gli occhi di quel “bambino di Soccavo”.
A cura di Francesco Falzarano