Liverani: "Che bravi Inzaghi e Simeone! Deluso dal Genoa, ora mi godo il Lecce"

strong>Ha dato uno schiaffo, con i risultati, a chi non ha creduto in lui. Fabio Liverani, da quando è arrivato sulla panchina del Lecce, ha conquistato 26 punti in 10 gare: 8 vittorie, 2 pareggi, nessuna sconfitta, media punti di 2,6, grazie alla quale i giallorossi sono diventati quasi inarrestabili. Finora, un capolavoro. Non il primo compiuto da un allenatore che ha appena 41 anni. Nello scorso marzo, Fabio ha preso il comando della Ternana. Fino a quel momento, i rossoverdi avevano collezionato appena 23 punti. Arriva lui e colleziona 26 punti in 13 partite, fondamentali per conquistare una salvezza che sembrava davvero insperata.

Dopo il miracolo a Terni, probabilmente, avrebbe meritato un salto di qualità. “E chi dice che non l’ho fatto? - spiega l’allenatore ai microfoni di gianlucadimarzio.com - Ciò che conta, quando valuto un’offerta da una determinata squadra, è la serietà della società e l’importanza della piazza. Certo, sarà anche facile parlare quando tutto va bene, ma a Lecce ho trovato davvero il binomio perfetto tra le due cose”. Quello di Terni, adesso, “è un capitolo chiuso. Ringrazierò sempre i miei ragazzi per l’impresa che siamo riusciti a realizzare insieme. Ora, però, penso al presente”. Che, da due mesi, si chiama Lecce. Il capoluogo salentino ha intrigato Liverani: “Mi avevano parlato bene della città e ho capito subito il motivo. Lecce è a misura d’uomo, bella e soprattutto ‘educata’. Diciamo che, sotto questo punto di vista, mi ha sorpreso. Spesso, al sud, non è così”.

Dalla squadra alla città, Fabio è soddisfatto del cammino percorso. Magari, il Salento l’avrà colpito anche dal punto di vista… gastronomico: “Rustico o pasticciotto? Il primo l’ho mangiato, l’altro non ancora. Ma, siccome sono più per il salato… dico rustico!”. Rimandato: le prelibatezze salentine non sono ancora il suo forte. Il meglio di sé, d’altronde, lo deve dare in panchina. Anzi, sul campo, dove "la bravura di un allenatore sta nell’esprimere, attraverso i suoi giocatori, le proprie idee”. Un esempio? “La Lazio di Inzaghi e l’Atletico di Simeone. Negli anni passati a Roma, ho condiviso lo spogliatoio con tutti e due e adesso, quando guardo giocare le loro squadre, rivedo in campo ciò che Simone e Diego vogliono trasmettere, la loro personalità. Quando eravamo calciatori, ero sicuro che Simeone sarebbe arrivato dov’è oggi. Su Inzaghi ero un po’ meno convinto. Simone, però, ha sempre avuto una grande cultura calcistica e si sta affermando grazie alla sua grandissima voglia di fare”.Genoa, fu concessa una “promozione” alla guida della prima squadra in A. “Non ero pronto? Più che altro, direi che ebbi troppo poco tempo - spiega Liverani -. Sicuramente, anche io ci misi del mio e ho avuto le mie responsabilità. Ma, in assoluto, non trovo corretto esonerare un allenatore dopo solo sei partite. Fortunatamente, adesso noto un’inversione di tendenza, almeno in Serie A: prima di prendere decisioni affrettate, i club aspettano una decina di giornate”. E’ stata, comunque, un’esperienza, per quanto breve, che l’allenatore porta nel suo bagaglio: “Quelle settimane in A con il Genoa mi hanno aiutato a crescere; ora ne sto raccogliendo i frutti”. Con lui, gode una piazza intera. A Lecce, da anni, non si vedeva una squadra così. Determinata, grintosa, unita, con un solo obiettivo comune: la promozione in Serie B. “Firmando il contratto, mi sono detto che voglio dare il massimo per i giallorossi. I miei ragazzi stanno migliorando, ogni partita noto differenze importanti rispetto a due, tre giornate prima. Ciò che mancava, probabilmente, erano l’organizzazione e la concentrazione giuste. Adesso le cose vanno meglio”. Il Lecce, in campo, riflette la personalità dell’ex centrocampista: proprio come vorrebbe lui. Grinta e carattere a parte, però, i giallorossi sono cresciuti tanto anche sul piano tattico. Dopo anni di moduli e schemi utilizzati per esaltare gli esterni, infatti, l’arrivo di Liverani in panchina ha segnato un punto di svolta per il Lecce: 4-3-1-2. “In Serie A, ho giocato con quel modulo solo nel Palermo. Dove, però, dietro le punte c’era Simplicio o Javier Pastore, mentre io ero più arretrato. Non ho schemi prefissati, cerco di esaltare le caratteristiche dei miei ragazzi adattandomi alla rosa che ho a disposizione”.

Non è un caso, quindi, che lo ripeta sempre ai suoi: “Non è il singolo a esaltare la squadra ma la squadra a esaltare i singoli”. E i giocatori hanno recepito il messaggio. “Qui, ho una vasta libertà di scelta su chi schierare sulla trequarti - continua Liverani -. Centrocampisti offensivi, dribblomani o tipici “10”, decido di partita in partita”. Cambiano gli interpreti, ma non il risultato: per Fabio parlano i numeri di un Lecce che guarda tutti dall’alto, con 5 punti di vantaggio sul Catania (che, però, ha già osservato il turno di riposo). Un’orchestra di successo, diretta dal maestro Liverani, che prendeva le redini del gioco già da calciatore. Ottimo regista con le maglie di Perugia, Lazio, Fiorentina e Palermo, ha collezionato anche tre presenze in Nazionale nel corso della sua carriera. L’ultima di queste nel 2006, l’anno della grazia calcistica per l’Italia. Quello del Mondiale, tasto delicato dopo la figuraccia con la Svezia: “Che dovessimo giocarci la qualificazione agli spareggi, era scontato già dopo il sorteggio dei gironi - commenta -. Ma il problema non va individuato soltanto nell’allenatore. Se, ai miei tempi, Lippi poteva contare su un gruppo solido e ormai in sintonia, oggi il c.t. è in difficoltà persino nelle convocazioni. Perché molti ragazzi non giocano titolari nei loro club, mentre i più giovani non hanno sufficiente esperienza a livello internazionale”. Per il rilancio, il nostro calcio andrebbe rifondato, ripartendo proprio dai ragazzi. L’obiettivo è quello di tornare a sognare come una volta. Proprio come fa, oggi, il Lecce di Liverani. Google Privacy